Repubblica 12.12.16
Il voto e i dolori del giovane adulto
È
quella parte della popolazione che ancora adesso fatica a rendersi
autonoma dai familiari. I millennials, tra i 18 e i 24 anni, meno
sfiduciati dei loro “fratelli maggiori” che ne hanno dieci di più
di Ilvo Diamanti
IL
POST-REFERENDUM procede rapido. Dopo le dimissioni di Matteo Renzi, il
premier incaricato, Paolo Gentiloni, ha già iniziato le consultazioni. E
presto presenterà il programma e la compagine del nuovo esecutivo.
Tuttavia, conviene valutare bene il voto referendario, prima di
riprendere a governare.
E A FARE opposizione. Insomma, a “far
politica”. Perché il risultato ha, sicuramente, “punito” Renzi, che, per
primo, aveva “personalizzato” questo voto. Ma è difficile individuare
il vincitore. Meglio “un” vincitore. Visto che i partiti del No sono
diversi. Anzi, diversissimi… per storia, progetto, identità. Per questo,
è impossibile, sulla base di questo voto, individuare una nuova e
diversa maggioranza “elettorale”. Conviene, invece, ragionare ancora – e
di più - sul significato di questo voto. Da dove origina, che
destinazione e che bersagli abbia. Oltre a Renzi. L’analisi del
risultato ha già offerto alcune indicazioni chiare ed evidenti. Riguardo
al “retroterra” – letteralmente – del No. Le radici territoriali del
rifiuto, infatti, affondano anzitutto e soprattutto nel Mezzogiorno. Nel
Sud il No ha, infatti, superato il 70%, nelle Isole. E vi si è
avvicinato altrove. In Campania e in Calabria, in particolare. Più del
sentimento contrario al Pd e anti-renziano, in alcuni casi (come in
Campania) difficile da sostenere, hanno pesato altre ragioni di
ri-sentimento. Collegate al malessere sociale che pervade quelle aree.
Sul piano economico e occupazionale. Si tratta di un’indicazione utile a
valutare un’altra “frattura”, che ha caratterizzato il voto
referendario in modo evidente. Quella generazionale. Com’è già stato
osservato, il No è stato espresso, in misura largamente superiore alla
media, soprattutto dai giovani.
L’indagine dell’Osservatorio di
Demos-Coop, condotta giusto alla vigilia della consultazione, lo
conferma. Ma fornisce alcune ulteriori precisazioni. Importanti. In
particolare, sottolinea come il dissenso verso la riforma e verso il Pd
di Renzi sia meno ampio presso i giovanissimi, che hanno fra 18 e 24
anni. Mentre ha raggiunto il livello più elevato (7 su 10 No) tra i
“fratelli maggiori”, fra 25 e 34 anni. I “giovani adulti”, come vengono
spesso definiti. Per sottolineare la “difficoltà” di affrancarsi dai
vincoli della giovinezza. In particolare, dalla dipendenza dalla
famiglia. Sotto il profilo economico, ma anche “domestico”. Due su tre,
fra loro, vivono (meglio: risiedono) ancora con i genitori. Il doppio
rispetto ai coetanei francesi e tedeschi. Ricordo ancora quando, dieci
anni fa, a Parigi, chiesi ai miei studenti i motivi della protesta
giovanile – allora dilagante - contro la riforma sul Contrat première
embauche (primo impiego), che agevolava alle aziende la possibilità di
licenziare i giovani senza giustificazione, nei primi due anni. Gli
studenti mi risposero, senza imbarazzo: «Non siamo italiani come lei.
Quando andiamo a lavorare, poi non rientriamo. A casa e in famiglia.
Andiamo a vivere – e ci manteniamo - da soli».
In realtà, anche in
Italia i giovani vorrebbero diventare autonomi. Dalla famiglia. Come i
coetanei di altri Paesi europei. Ma non se lo possono permettere. Perché
la legislazione in materia non li aiuta. Mentre i tassi di
disoccupazione giovanile non hanno pari, in Europa. Così, quando
finiscono gli studi, spesso defluiscono nel mondo dei Neet. Quelli che
non studiano e non lavorano. Non perché non vogliano, ma perché non
trovano occupazione. Si muovono, invece, nella selva oscura dei lavori
intermittenti e precari. Dove riescono a sopravvivere grazie
all’appiglio familiare. Al quale ricorrono in caso di emergenza. Cioè,
spesso. Così si spiega la ragione per cui fra i giovani- adulti si
osservino i picchi di incertezza nel futuro (62%), ma anche la
convinzione generalizzata della necessità di “emigrare” all’estero, per
fare carriera (73%). Mentre la maggioranza di essi (63%) è consapevole
che difficilmente riuscirà a raggiungere – non dico a superare - la
posizione sociale dei genitori. D’altronde, solo il 21% di loro pensa
che esistano opportunità e possibilità adeguate.
Così, nonostante
l’età, circa il 40% dei “giovani adulti” ammette di sentirsi spesso
“solo”. Molto più, rispetto ai genitori e ai nonni. Ma anche rispetto ai
fratelli minori, che hanno meno di 25 anni. Sono “le pene del giovane
adulto”. Che, perlopiù, ha concluso gli studi, oppure li prosegue, per
non sentirsi “disoccupato”. Magari intermittente o precario. Come,
inevitabilmente, avverrà. I giovani nati negli anni Ottanta. Sono
divenuti “invisibili”. Mimetici. In continua fuga. Alla ricerca di un
lavoro. Un futuro.
Così, non è difficile comprendere le ragioni
del No al giovane Renzi. Proprio perché “giovane”. Perché aveva
“promesso” di rottamare i vecchi e di dare più spazio ai più giovani. Ma
i “giovani adulti” vivono sospesi. Non più giovani e non ancora adulti.
Confusi. Perché nella nostra società, tutti, o quasi, si dicono
giovani. E all’improvviso diventano vecchi. Senza mai conquistare l’età
adulta. La maturità.
Così “giovani adulti” si sentono vicini al
M5s. E hanno votato No perché non hanno speranza. Non vedono il futuro.
Ma senza speranza e senza futuro anche la famiglia diventa una prigione.
Anche l’Italia. E a loro non resta che la speranza di “fuggire” dal
Paese. E dalla solitudine che incombe. Tanto più quando vivono in mezzo
ad altri giovani. In-sofferenti come loro. Ma senza dare loro risposta
neppure l’Italia può avere un futuro. È destinata a restare un Paese
“giovane adulto”.