Repubblica 11.12.16
Banche, la tempesta perfetta
di Massimo Giannini
LA
“BOMBA a grappolo” delle banche minaccia di mietere molte vittime,
dentro e fuori dal Palazzo. Non solo presidenti del Consiglio o ministri
uscenti (dei quali ci importa fino a un certo punto). Ma soprattutto
risparmiatori e obbligazionisti (dei quali invece ci importa
moltissimo). «Risolveremo la questione bancaria dopo il referendum,
l’Italia è un Paese solido», aveva promesso Renzi dieci giorni fa,
nell’ultimo videoforum a Repubblica Tv. Il 3 settembre, a Cernobbio, ai
grandi del pianeta aveva garantito il contrario: «Risolveremo tutto
prima del 4 dicembre ».
Ora, a “risolvere tutto” sul serio, ci ha
pensato la Bce. Non si conoscono le ragioni che hanno spinto l’Eurotower
a negare la proroga chiesta dal Montepaschi per completare la
ricapitalizzazione di 5 miliardi. Né quelle che hanno indotto la
Vigilanza guidata dalla francese Nouy a tacere, dando inopinatamente in
pasto ai mercati una semplice indiscrezione della Reuter.
Ma si
conoscono gli effetti di questo diniego. Il salvataggio della banca più
antica del mondo ora tocca allo Stato italiano, che a Siena interviene
per la terza volta in sei anni (dopo i Tremonti Bond del 2010 e i Monti
Bond del 2012). Il decreto salva-Mps sarà dunque il primo atto del
governo entrante. A dispetto delle malriposte speranze del vertice di
Rocca Salimbeni su una “soluzione privata”, senza denaro pubblico la
banca fallisce, portandosi dietro un’altra decina di istituti e
trascinando nel baratro l’intero Paese.
Almeno, nelle due
precedenti occasioni, Montepaschi ha restituito all’Erario i circa 8
miliardi avuto “in prestito”. Stavolta, vista la gravità della
situazione, le prospettive sono più incerte. Ma che questa fosse la fine
della storia non era prevedibile: era scontato. Forse solo l’ex
premier, stupito dal “plebiscito al contrario” di domenica scorsa,
immaginava un esito diverso. È stato il suo errore più grave:
scommettere su un salvataggio “di mercato” che fin dall’inizio appariva
azzardato. E soprattutto giocarsi quella scommessa al tavolo della
partita referendaria.
Possiamo cercare capri espiatori in giro per
il mondo. Possiamo prendercela con i perfidi diktat di Francoforte e
con le regole capestro di Bruxelles. Abbiamo qualche buona ragione per
farlo. Ma resta un fatto, incontrovertibile, che riguarda noi e nessun
altro. L’intera politica creditizia del governo è stata deludente. La
gestione della direttiva europea sul “bail in”, con il costo dei
salvataggi bancari scaricato sugli azionisti e gli obbligazionisti
subordinati, è avvenuta senza alcuna discussione pubblica, che avrebbe
aiutato a capire meglio la portata dei cambiamenti in arrivo. Il decreto
che ne ha recepito i principi nel novembre 2015, calandoli come una
mannaia sulla carne viva degli ignari clienti di Banca
Etruria-Marche-Cariferrara- Carichieti, è stato uno shock per il mondo
del risparmio. Costato inchieste, proteste e persino un suicidio
(colpevolmente ignorato dal potere).
Oggi i rimborsi “automatici”
liquidati sono solo 20 (su 130 mila risparmiatori), mentre di quelli
arbitrali non ne è stato definito neanche uno. E se nella Toscana del
Giglio Magico, che ha votato compatta per il Sì al referendum, uno dei
pochi comuni dove ha vinto il No è stato proprio Laterina, dove risiede
Maria Elena Boschi e il suo papà Pierluigi, indagato per il dissesto di
Etruria, qualche spiegazione deve pur esserci.
La gestione del
dossier Mps è stata ancora più avventurosa. Il 22 gennaio, a “Porta a
porta”, Renzi annunciava: «Mps è risanato, investire è un affare »: da
allora i titoli hanno perso il 70%. Il 6 luglio, a Palazzo Chigi, il
premier riceveva il “ceo” di Jp Morgan, Jamie Dimon e gli affidava
chiavi in mano l’aumento di capitale da 5 miliardi, in cambio di una
maxi-commissione da 450 milioni. Il 7 settembre, da via XX Settembre, il
ministro Padoan ordinava al cda, in nome del presidente del Consiglio,
di cacciare l’amministratore delegato Viola e di sostituirlo con Marco
Morelli.
Il piano Jp Morgan non è mai decollato (gli emiri del
Qatar e i fondi di Soros sono rimasti in finestra). Ed è stato
costellato da operazioni malfatte e omissioni sospette. Al primo tipo
appartiene la conversione dei bond in azioni, spacciata per “volontaria”
ma imposta agli investitori istituzionali, pena “l’applicazione
immediata del bail in” o la sicura cessazione della “continuità
aziendale”. Al secondo tipo appartiene il decreto sul salvataggio
pubblico, che secondo la puntuale ricostruzione di Andrea Greco (non
smentita) «era pronto da sei mesi, ma Renzi e la Boschi lo bloccavano».
Così come da giugno avevano bloccato il piano di “ricapitalizzazione
precauzionale” messa a punto da Viola, coerente con la normativa Ue che
consente l’intervento pubblico “temporaneo” in caso di “rischio
sistemico”.
Fermare la mano pubblica, anche in presenza di un
compromesso che allora la Commissione europea avrebbe accettato, si è
rivelato uno sbaglio fatale. Renzi non ha voluto azionare le leve del
Tesoro per due motivi. Il primo: evitare l’accusa, già bruciante su
Etruria, di salvare le banche e non i clienti. Il secondo: lasciare che
sul mercato finanziario, e su quello elettorale, la paura crescente di
un default a catena delle banche, come effetto di una vittoria del No al
referendum, facesse da spinta propulsiva per il Sì (vedi il “fumogeno”
lanciato dal “ Financial Times”, a una settimana dal 4 dicembre). Alla
fine, anche questo è stato un azzardo. L’incubo default non è bastato a
far passare la riforma costituzionale. E Mps andrà salvata comunque con i
soldi dei contribuenti (mettendo rigorosamente al riparo i circa 40
mila piccoli obbligazionisti). Ma tutto questo avverrà in assoluta
emergenza, dunque nelle condizioni peggiori. E con il rischio che
adesso, visto che in Italia finisce sempre per pagare Pantalone, si
fatichi ancora di più a trovare chi investe capitali non tanto su
Unicredit (che resta comunque una grande banca internazionale) quanto
sulle due venete Popolare di Vicenza e Veneto Banca (che il fondo
Atlante 2, con le sue sole risorse, non può certo sostenere).
La crisi politica e la crisi bancaria hanno finito per sovrapporsi. La tempesta perfetta, che si doveva e si poteva evitare.