L’anno indimenticabile che travolse un intero partito
Un incontro a Roma sulla sinistra italiana e i fatti internazionali del 1956
di Guido Liguori
1956:
dopo di allora nulla fu come prima nella storia del movimento comunista
internazionale. Son passati sessant’anni, ma il carattere di vero e
proprio spartiacque di quell’anno «indimenticabile» non viene meno. Per
milioni di comunisti di tutto il mondo il 1956 rappresentò il crollo di
certezze consolidate, la crisi del mito e del modello sovietico, il
venir meno del monolitismo del mondo comunista, mentre
contemporaneamente si passava dal marxismo ai marxismi. Si riaprivano
con questo anche la ricerca e il dibattito teorico-politico, nonché –
soprattutto in Italia, per il Pci, alla fine di non lievi travagli – il
rilancio di una specifica «via italiana al socialismo», più
consapevolmente democratica e legata alla Costituzione, dopo che la
«politica di Salerno» aveva subito, negli anni più duri della Guerra
Fredda, una parziale messa tra parentesi.
TUTTO EBBE INIZIO con le
rivelazioni di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista
dell’Unione Sovietica, nel febbraio: il suo «rapporto segreto» sui
crimini dello stalinismo (ben presto diffuso in Occidente) e ancor di
più la drammaticità dei fatti d’Ungheria, nell’ottobre-novembre, erano
avvenimenti troppo dirompenti per non mettere in crisi anche quella
«sapienza storicista» dei comunisti italiani che tutto sembrava saper
relativizzare e spiegare e far convivere, anche sincreticamente, e che
invece mostrò allora alcuni limiti importanti. Anche se Togliatti diede
prova di grande capacità di governo del suo partito: Rossana Rossanda, e
anche due storici severi verso il Pci come Marcello Flores e Nicola
Gallerano, hanno concordato sul fatto che difficilmente questo partito
avrebbe mantenuto il suo radicamento sociale se allora avesse rotto il
«legame di ferro» con «il Paese dei Soviet».
Eppure nel ’56 – ecco
il dramma dei comunisti di allora – i Soviet degli operai ungheresi non
ebbero dubbi a schierarsi con la rivolta iniziata per sostenere – non
va dimenticato – il comunista riformista Imre Nagy, anche se in essa
inevitabilmente confluirono elementi ambigui e a volte decisamente
reazionari, che anche grazie agli errori interni ed esterni presero
gradualmente il sopravvento.
I COMUNISTI ITALIANI diedero vita
alla fine del 1956 a un ripensamento strategico; ma non riuscirono a
evitare i contraccolpi dei drammatici avvenimenti ungheresi, pagando
anche il fatto di non vedere che la rivolta ungherese esprimeva, sia
pure in forma spuria, «una esigenza di libertà e di protagonismo operaio
e popolare», come avrebbe più tardi scritto Pietro Ingrao. E se la base
popolare del partito tese ad arroccarsi attorno al gruppo dirigente e
non venne sostanzialmente erosa, per molti intellettuali si ruppe allora
quel rapporto con il Pci che costituiva un suo indubbio punto di forza.
TOGLIATTI
NON ACCOLSE con entusiasmo le «rivelazioni» del XX Congresso. Ma non
solo perché egli era stato un dirigente della Internazionale comunista.
La ragione – che spiegò in giugno nella famosa Intervista a Nuovi
Argomenti – stava anche nel fatto che la denuncia di Krusciov aveva in
sé indubbi elementi di debolezza: si caricavano tutte le colpe delle
storture del sistema sovietico sulle spalle di un singolo, Stalin, e sul
«culto della personalità», che aveva costituito pure un tratto reale
delle sue modalità di esercizio del potere, e non si vedevano i problemi
più vasti della società sovietica e del suo apparato politico-statuale.
Se i «compagni sovietici» – sosteneva Togliatti – non avessero
affrontato i nodi reali, il come e il perché era stata pesantemente
violata la stessa legalità socialista, per non parlare del tema più
ampio della «democrazia politica e di quella economica, della democrazia
interna e della funzione dirigente del partito», il necessario processo
di rinnovamento non avrebbe condotto lontano. Come di lì a pochi anni
apparirà evidente.
IL MOMENTO PIÙ DURO per il Pci fu – come
accennato – quello legato ai fatti d’Ungheria. I comunisti ressero
botta, sia pure non senza difficoltà ed errori. Ma con l’VIII Congresso,
nel dicembre, alla fine di un anno per loro terribile, seppero
rilanciare la loro politica e un forte distinguo dal modo in cui era
stato costruito il socialismo in Unione Sovietica. La Dichiarazione
programmatica approvata da quel congresso resta uno dei punti più alti
nell’intera storia del Pci, che suggellava la diversità dei comunisti
italiani, fondata sulla coniugazione di socialismo e democrazia. Una
specificità – disse più volte in quel drammatico anno Togliatti – che
poggiava in primo luogo sul pensiero di Gramsci e sulla sua elaborazione
prima e durante il carcere.
Di tutti questi temi e di altri
ancora (il contesto internazionale e il capitalismo italiano, ad
esempio) discuterà il convegno su Il 1956, il Pci e il progetto di una
nuova società, promosso da «Futura Umanità. Associazione per la storia e
la memoria del Pci», che il 16 dicembre si aprirà a Roma con una
relazione di Aldo Tortorella.
Il convegno di «Futura umanità»
L’incontro
di «Futura Umanità» su «Il 1956, il Pci e il progetto di una nuova
società» si svolgerà il 16 dicembre presso la Casa della storia e della
memoria a Roma (ore 10, via S. Francesco di Sales 5). Il convegno sarà
introdotto da Aldo Tortorella. A seguire, Raffaele d’Agata («Il contesto
internazionale»), Piero Di Siena («Il capitalismo italiano nell’analisi
del Pci»), Michele Prospero («Gli intellettuali e il dibattito sulla
cultura politica»), Gianni Ferrara («La Costituzione come progetto di
trasformazione della società»), Paolo Ciofi («Premesse e valori
costitutivi di un nuovo socialismo»).