La Stampa 8.12.16
Tutti i generali del Presidente
Trump sceglie il marine John Kelly, difensore di Guantanamo, per la Sicurezza interna
di Paolo Mastrolilli
Definirla
una giunta militare sarebbe esagerato, ma almeno la sicurezza nazionale
nell’amministrazione Trump sarà in mano ai generali. Ieri infatti è
arrivata la conferma che il marines John Kelly, ex capo del Southern
Command e padre di un ufficiale ucciso in Afghanistan, verrà nominato
segretario della Sicurezza interna, cioè l’equivalente del «ministero
dell’Interno». Dopo il consigliere per la Sicurezza nazionale Flynn, e
il leader del Pentagono Mattis, è il terzo generale assunto dal nuovo
presidente, tutti più o meno in conflitto col governo Obama. Questo
forse allontana la possibilità che David Petraeus diventi segretario di
Stato, perché con lui si completerebbe un controllo dei militari sulla
politica estera e di difesa che non ha precedenti nella storia degli
Stati Uniti.
Kelly ha una storia personale che offre indicazioni
anche sulla linea politica. Era entrato nei Marines nel 1970, diventando
ufficiale nel 1976. Quaranta anni di carriera, in cui durante
l’invasione dell’Iraq nel 2003 era stato il primo colonnello del suo
corpo promosso generale sul campo di battaglia. Quindi aveva combattuto a
Falluja e guidato il Southern Command, cioè la struttura militare che
gestisce la presenza in 32 paesi, dai Caraibi all’intera America latina.
Il 9 novembre del 2010 suo figlio Robert, sottotenente dei Marines, era
morto a Sangin, nella provincia meridionale afghana di Helmand,
saltando su una mina mentre guidava il suo plotone in pattuglia. Durante
il funerale ad Arlington, invece di elogiare il figlio, Kelly aveva
onorato l’intera generazione che si era arruolata dopo gli attentati
dell’11 settembre 2001, «per combattere un nemico selvaggio come nessun
altro abbia mai camminato sulla Terra». Da generale è stato consigliere
dei capi del Pentagono Panetta e Gates, però aveva criticato
l’amministrazione Obama su due punti: la volontà di chiudere la prigione
di Guantanamo, perché il trattamento dei detenuti era umanitario e le
informazioni raccolte utili a proteggere il paese; e il progetto di
aprire alle donne tutti gli incarichi di combattimento, perché questo
avrebbe obbligato i militari a cambiare gli standard richiesti per il
servizio.
Tutti questi elementi aiutano a capire perché Trump
abbia scelto Kelly, che durante la campagna presidenziale non aveva
appoggiato alcun candidato, ma si era detto pronto a servire chiunque
vincesse. Il nuovo capo dell’Homeland Security aveva avuto attriti con
Obama, e questa sembra una caratteristica sempre vincente con Donald.
Poi ha operato nelle regioni da dove viene il terrorismo, e ha avuto la
supervisione di Guantanamo. Infine, quando guidava il Southern Command
aveva denunciato la gravità dei traffici lungo il confine col Messico,
esperienza che lo rende il candidato ideale per gestire la costruzione e
la difesa del muro. La perdita del figlio, però, aggiunge un aspetto
umano che aiuta a sedare le polemiche fatte da Trump in campagna
elettorale con Khizr Khan, padre di un capitano morto in Iraq, e
garantisce responsabilità quando si tratta di mandare i soldati a
rischiare la vita. Kelly non conosce l’apparato della Sicurezza interna
come Rudy Giuliani, che era in corsa per guidarla, ma sul tema della
sicurezza nazionale il presidente eletto ha una chiara preferenza per i
generali, in attesa di vedere se riequilibrerà il rapporto con i civili
attraverso la nomina del segretario di Stato.
Al puzzle del
governo potrebbe a breve aggiungersi un’altra tessera. Trump si
preparerebbe a nominare Scott Pruitt, fino ad oggi attorney general
dell’Oklahoma, a capo della Enviromental Protection Agency, l’agenzia
per la protezione ambientale Usa. Pruitt è tra gli ispiratori di una
azione legale contro il Clean Power Plan, il progetto messo a punto da
Obama per ridurre l’emissione di gas che provocano l’effetto serra.