La Stampa 2.12.16
Susanna Camusso
«Ai liberisti la Costituzione dà fastidio. I tecnici alimentano paura»
La
segretaria Cgil Camusso: schierati con il No in coerenza con la nostra
storia. Si riduce la partecipazione democratica. La riforma determina un
indebolimento, una confusione
«No a chi attacca la Costituzione»
Susanna Camusso, segretario della Cgil, ha firmato un appello per il No
al referendum con i presidenti di Anpi e Arci
di Enrico Marro
Susanna
Camusso, segretario della Cgil, ha firmato un appello per il No al
referendum con i presidenti di Anpi e Arci: «Avevamo già criticato il
Titolo V, approvato dal centrosinistra. E nel 2006 abbiamo preso
posizione contro la riforma del governo Berlusconi».
ROMA
Segretario, ha firmato un appello per il No al referendum con i
presidenti di Anpi e Arci dove si dice che la riforma della Costituzione
sarebbe «disastrosa per la democrazia». Davvero?
«Basti dire —
risponde il segretario della Cgil, Susanna Camusso — che i cittadini
avranno due possibilità in meno di eleggere direttamente i propri
rappresentanti: nel Senato e nelle Province. Si riduce la partecipazione
democratica. La riforma determina un indebolimento, una confusione e
uno squilibrio del quadro istituzionale».
La presidente della
Camera, Laura Boldrini, ha detto al «Corriere» che in questa campagna
elettorale si sono usati toni eccessivi. Anche quelli della Cgil, non
crede?
«Cosa vuol dire toni eccessivi? Dire quello che si pensa in
modo argomentato? Sono altri che li hanno usati. Ricordo benissimo il
presidente Matteo Renzi che, a proposito dell’opposizione interna al suo
partito, ha detto: “Userò il lanciafiamme”. O quando ha accusato chi
vota No di voler difendere i vitalizi dei parlamentari. O infine quando
ha parlato di “accozzaglia del No”. Questo significa denigrare chi ha
opinioni diverse. Oltretutto, spargere veleni porta dritti al governo
dei tecnici che Renzi dice di non volere. Alimentare la paura è il
modello che già portò al governo Monti».
Allora lei pensa che
dietro l’agitazione dei mercati e l’allarme lanciato in varie sedi
internazionali ci sia il complotto dei poteri forti a favore del Sì?
«Mah,
sono molto poco complottista. Però dobbiamo sapere che le agenzie di
rating e altri centri di interesse finanziario non sono estranei alla
battaglia politica. E si capisce perché: la nostra Costituzione, essendo
fondata sull’eguaglianza, va esattamente contro l’aumento delle
diseguaglianze causato in questi anni dal pensiero liberista. Una
Costituzione che dà quindi loro fastidio. Così non mi stupisce che ci
siano movimenti speculativi in vista del voto. Nel 2011 queste
operazioni ebbero successo, portando appunto al governo tecnico. Detto
questo, non è che vedo questi soggetti chiusi in uno scantinato a
complottare. Piuttosto fanno leva su debolezze che abbiamo, a partire
dalla precaria situazione delle banche».
Perché la Cgil, che non è
un partito, si è schierata? Tanto più che la riforma supera il
bicameralismo perfetto e il Titolo V, come chiedono gli stessi vostri
documenti. Una riforma, tra l’altro, voluta dal segretario del Pd.
«Ci
siamo schierati perché siamo un sindacato che ambisce a rappresentare
interessi generali e lo abbiamo fatto in coerenza con la nostra storia,
che vide il nostro segretario generale, Giuseppe Di Vittorio,
nell’Assemblea costituente. E ci siamo pronunciati anche in passato
sulle riforme costituzionali. Per esempio, abbiamo criticato il Titolo
V, anche se era stato approvato dal centrosinistra. Non è quindi la
prima volta. E nel 2006 abbiamo preso posizione contro la riforma voluta
dal governo Berlusconi. Allora andava bene schierarsi nel referendum e
oggi no? Quanto ai nostri documenti, lo abbiamo sempre detto: i titoli
affrontati dalla riforma Renzi-Boschi sono giusti, lo svolgimento è
sbagliato. Superare il bicameralismo non significa creare un Senato dei
non eletti che non può pronunciarsi neppure sulla legge di Bilancio,
fondamentale nei rapporti tra Stato e autonomie locali. E chiarire le
competenze legislative tra organi dello Stato e Regioni non significa
arrivare alla centralizzazione dei poteri».
L’ex premier Romano Prodi si è schierato per il Sì. Se l’aspettava? Sposterà voti?
«Non
lo so e in ogni caso non mi pare il problema. Quello che mi ha stupito è
che, a valle di argomentazioni di merito negative, Prodi scelga il Sì
in nome di una sorta di “salviamo la patria”. Non credo che il voto
possa mettere in pericolo la patria».
Se vincesse il No, cosa dovrebbe fare Renzi?
«Il
suo mestiere, il presidente del Consiglio. Non è possibile trasformare
tutto in un giudizio sulla sua persona. Non si vota sul governo, ma
sulla riforma della Costituzione. Del resto, lui stesso ha detto che ha
fatto male a personalizzare. E allora, sia coerente: se vince il No,
continui a governare e a fare politica».
L’imminenza del voto ha favorito lo sblocco dei contratti pubblici?
«Lo
pensano in molti, come lo pensavano anche quando abbiamo fatto
l’accordo sulle pensioni. In realtà credo che non sia così. Questi
risultati sono il frutto della nostra azione sindacale, che ha costretto
Renzi a prendere atto che la realtà va in una direzione opposta a
quella che immaginava. Abbiamo passato due anni a sentirci dire: “Voi
non esistete”. Invece i corpi intermedi, le associazioni di interesse
esistono e sono rappresentativi».
Lei ha sottolineato che l’accordo sblocca i contratti, che però devono essere ancora rinnovati. Quando pensa verranno firmati?
«Direi entro la prossima primavera».