La Stampa 14.12.16
Jobs Act, c’è la mina referendum
Il Pd pensa di ripristinare l’art.18
A gennaio l’ok della Consulta ai quesiti della Cgil. I timori di un voto anti-governo
di Amedeo La Mattina
Una
nuova bomba ad orologeria è stata azionata sotto la poltrona del
segretario del Pd Renzi e dello stesso governo Gentiloni. È il
referendum promosso dalla Cgil con 3,3 milioni di firme con l’obiettivo
di ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, cancellare i
voucher (ribattezzati dal sindacato «la nuova frontiera del
precariato»), riesumare la responsabilità in solido di appaltatore e
appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore.
Una
bomba sotto il Jobs Act, una delle punte di lancia dell’esecutivo Renzi
che ha aperto una guerra con il sindacato guidato da Susanna Camusso e
ha fatto scoppiare una furiosa polemica tra i Democratici. L’Ufficio
centrale per il referendum della Cassazione ha già dato il via libera.
Ora (il 10 gennaio) spetta alla Corte Costituzionale pronunciarsi e
nessuno dubita sull’ok della Consulta. Da quel momento il governo dovrà
fissare una data per il referendum tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Tranne se in quel lasso di tempo non venissero indette elezioni
anticipate: in quel caso la consultazione referendaria verrebbe rinviata
di un anno. Ma il governo Gentiloni non ha una scadenza e non è
prevedibile cosa accadrà nei prossimi mesi, allora a Palazzo Chigi è
scattato l’allarme rosso.
Tic-tac. È partita la corsa a
disinnescare l’ordigno e l’artificiere non potrà che essere il
riconfermato ministro del Lavoro Poletti. Un'operazione difficilissima
soprattutto per quanto riguarda l’articolo 18 modificato dal Jobs Act
che ha liberalizzato i licenziamenti economici. Come riusciranno ad
evitare il referendum e allo stesso tempo impedire di tornare alle
vecchie tutele dell’articolo 18 contenuto nella famosa legge 300 del
1970? Una cosa è certa: nel governo, da ieri operativo con la fiducia
del Parlamento, la discussione è iniziata. Un’altra certezza è che il Pd
(né tantomeno il nuovo esecutivo) non ha intenzione di mettere la
faccia sul No al referendum, ricominciare in primavera una battaglia
politica nel Paese, nonostante si tratti di difendere uno degli
architravi della politica renziana.
«Dopo la sconfitta del Sì al
referendum costituzionale, non è il caso di rischiare un’altra batosta»,
spiega un renziano del giglio magico mentre entra nell’aula della
Camera per votare la fiducia a Gentiloni. E aggiunge: «Questo, a
differenza di quello costituzionale, è un referendum che prevede il
quorum, ma con l’aria che tira e visto l’argomento ad alto tasso di
sensibilità sociale il quorum verrebbe sicuramente raggiunto. In questo
caso vincerebbero i Sì e per noi sarebbe una Caporetto». Sarebbe un
«uno-due», nell’arco di pochi mesi, da stendere un toro. Allora la
parola d’ordine è disinnescare la bomba e per farlo le strade sono due: o
sconfessare il Jobs Act (sarebbe clamoroso) o andare a elezioni
anticipate.
Il tema è stato sollevato da Cesare Damiano,
presidente della commissione Lavoro, ieri mattina all’assemblea dei
deputati del Pd. «Attenzione, è un problema enorme da non
sottovalutare», ha detto dopo aver avuto un colloquio con il ministro
Dario Franceschini, presente alla riunione del gruppo parlamentare Pd.
Franceschini ha chiesto delucidazioni e l’ex sindacalista e ministro del
lavoro gli ha spiegato che è necessario al più presto affrontare questa
rogna enorme. «Sui voucher il problema si può risolvere tornando alla
legge Biagi e dando ai voucher carattere occasionale e accessorio. Molto
più difficile evitare il referendum sull’articolo 18 - ha spiegato
Damiano - ma non possiamo stare fermi quando i dati Inps indicano una
crescita dei licenziamenti, soprattutto di quelli disciplinari». La
conclusione di Damiano è stata: «Caro Dario, il Jobs Act mi sembra
defunto ».