martedì 13 dicembre 2016

La Stampa 13,12.16
Così l’Italia apre al Cremlino le porte del Mare Nostrum
Tutto torna in discussione, dal nostro sostegno a Sarraj in Libia ai rapporti con Al Sisi, finora condizionati dalla tragedia di Regeni
di Stefano Stefanini

Per l’Eni, la cessione a Rosneft del 30% della concessione di Zohr, nell’offshore dell’Egitto è una botte di ferro, economica, politica e strategica. Per la Russia è il biglietto d’ingresso nel gioco energetico del Mediterraneo. Per l’Italia è un cambio di scena alla porta di casa. Il governo Renzi non poteva non esserne informato; Gentiloni dovrà trarne le conseguenze.
La mossa dell’Eni dimostra che la diversificazione geografica perseguita dalla società italiana non sacrifica il rapporto privilegiato con la Russia, anzi ne allarga gli orizzonti ad aree terze, specie in Africa. Rosneft, che non si muove senza luce verde del Cremlino, piazza la bandiera russa nelle acque del Mediterraneo alla congiunzione fra Medio Oriente e Nord Africa. Non troppo lontano, la Russia ha stabilito una solida presenza militare nelle basi siriane di Latakia e Tartus; comunque vada a finire la tragedia siriana non sloggerà.
Appena riuscirà ad estrarsi dal psicodramma della crisi di governo, Roma dovrebbe domandarsi cosa significhi per l’Italia l’accordo fra Eni e Rosneft. La casella energetico-commerciale è fuorviante. L’operazione non poteva avvenire senza l’accordo, a livello politico, sia di Mosca che del Cairo. Se Roma non vuole accreditare il vecchio adagio che la politica estera italiana si fa fra Piazzale Mattei e San Donato Milanese, il neo-ministro degli Esteri Angelino Alfano dovrà affrontare rapidamente le implicazioni dell’ingresso russo nella nostra periferia mediterranea. Che non sono solo energetiche, ma fortemente politiche. Tirano in ballo sia i rapporti con l’Egitto sia la crisi libica.
L’Eni incassa, a un buon prezzo secondo gli analisti, i dividendi delle propria esplorazione e conserva la maggioranza di Zohr. A Bruxelles, Claudio Descalzi ha appena confermato al vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, il contributo articolato dell’Eni all’Unione dell’energia attraverso i gasdotti dal Nordafrica, i rigassificatori - e il rapporto con la Russia, di cui l’Europa «ha bisogno, come la Russia ha bisogno di noi». L’Eni di Descalzi è diplomatica e diversificata ma non tanto diversa da quella di Paolo Scaroni. Il rapporto con Mosca rimane centrale. Anzi, può passare dal bilaterale Italia-Russia al mercato energetico globale dove l’Eni, con un’aggressiva politica di esplorazione, è più avanti dei giganti russi ancorati alle radici territoriali. Per la Russia l’accesso, sia pure minoritario, al bacino di Zohr è gioco, partita, incontro. Sulla scia dell’intervento in Siria, Mosca si sta costruendo una presenza mediterranea che non aveva dagli Anni 70. Sul piano militare non è una passeggiata, come dimostra la controffensiva di Isis a Palmira, e porta sulla coscienza l’aver lasciato che Assad faccia terra bruciata ad Aleppo. Diventa importante allargare il raggio d’azione, politico e geografico.
Il Medio Oriente sente sulla pelle il ritorno russo, spalleggiato dall’Iran e non osteggiato da Israele. Nella totale incertezza sulla politica dell’amministrazione Trump, nell’inesistenza politica dell’Ue, la Russia naviga col vento in poppa. Ha già un buon rapporto con l’Egitto di Al Sisi; la crisi libica, dove entrambi appoggiano il generale Khalifa Haftar, le apre le porte del Nord Africa. Dove la dimensione energetica è dominante. L’accordo fra Eni e Rosneft le consente di metterci un piedino. Il Mediterraneo è stato a lungo un lago strategicamente occidentale. L’equilibrio si è incrinato per la tempesta perfetta di crisi siriana e libica, Stato islamico, terrorismo e migrazioni di massa, generando una pressione da Sud che la sponda Nord fa fatica a contenere. Adesso si aggiunge il terzo incomodo: una Russia ferocemente anti-terrorismo e affiliati, ma non compiacente verso Occidente ed Europa.
Questo il quadro cui il nuovo governo italiano deve cominciare a pensare. La nostra linea di appoggio al governo di Al Sarraj a Tripoli era in sintonia con Washington. Se la nuova amministrazione si disimpegna, rischiamo di trovarci isolati, mentre aumentano i sostenitori di Haftar. Si può ancora vedere in Al Sarraj il catalizzatore di una sfuggente unità nazionale o bisogna spingerlo a un compromesso? Quanto possiamo ancora tenere congelato il rapporto con l’Egitto? La tragica fine di Giulio Regeni resta un serio problema, ma l’incomunicabilità con il Cairo, dove non abbiamo ambasciatore da cinque mesi, è un lusso che non possiamo permetterci. Altrimenti il ministro Alfano scoprirà che la politica estera si fa a Piazzale Mattei anziché alla Farnesina.