Il Sole Domenica 11.12.16
Riviste
Inchiesta sulla psiche
Per i suoi 50 anni di «Psicoterapia e scienze umane» fa il punto sulla psicoanalisi e sulla sua efficacia
di Alessandro Pagnini
La
rivista «Psicoterapia e Scienze Umane» è al suo cinquantesimo
genetliaco. Sin dalla sua fondazione da parte di Pier Francesco Galli,
furono chiari gli intenti della rivista e del Gruppo Milanese per lo
Sviluppo della Psicoterapia, che ne era stato la premessa e che da essa
traeva spunto per ulteriori intense e importanti attività editoriali e
sociali: colmare il ritardo nazionale della psicologia, della
psichiatria e delle psicoterapie rispetto a quello che accadeva nel
resto d’Europa e in America; inserire un discorso teorico e metodologico
intorno alla psicoanalisi nel più ampio contesto dei problemi
istituzionali, sociali e giuridici delle cure «antipsichiatriche» senza
preclusioni «ideologiche» nei confronti delle scienze e della cultura
universitaria; aprire e problematizzare un dialogo tra psicoanalisi e
psicoterapie di diversa impostazione, concentrandosi sui temi della
formazione nella clinica, della teoria della tecnica, della
«metapsicologia», con una particolare attenzione alla storia delle idee e
alla dimensione interdisciplinare che la trattazione di quei temi
esigeva. E bisogna subito riconoscere un grande merito storico alla
rivista: non è mai stata di “scuola”, non ha mai avuto paura di
mostrarsi controcorrente o “eretica”, neanche (e soprattutto) nei
momenti di maggiore ortodossia freudiana nel campo della psicologia
italiana e delle talking cures, e ha sempre accolto voci critiche e
provenienti dalle aree di competenza più varie, svolgendo una funzione
di raccordo all’interno delle scienze umane (fra antropologia,
psicologia evoluzionistica, psicologia sociale, scienze cognitive) che
la cronica divisione dei settori scientifico-disciplinari della nostra
Accademia rendeva pressoché impraticabile.
Basta rileggere il
primo numero del ’67 per capire cosa è stata la rivista e cosa continua
ad essere anche oggi con Paolo Migone come condirettore (il terzo membro
della direzione è Marianna Bolko). In quel numero compariva un articolo
di Carlo Tullio Altan su i modelli concettuali atti a favorire un
«discorso interdisciplinare fra psichiatria e scienze umane»; Mario
Spinella parlava di Marx e Freud; Anna Maria Guerrieri apriva il
dibattito metodologico allo strutturalismo di Lévi-Strauss. Un anno dopo
compariva la prima intervista italiana a Jacques Lacan di Paolo Caruso.
Progressivamente, e sempre in anticipo sui tempi, si introduceva in
Italia il pensiero di Rapaport, di Kohut, di Bowlby; si parlava di
ricerca empirica evidence-based e di controlli sperimentali attraverso
Parloff, Luborsky, Meehl; si faceva “cadere il muro” tra psicoanalisi e
psicoterapie anche importando, cosa rara in Italia, teorie dall’America
(Holt, Wakefield, Eagle); si accoglievano voci singolari e “scomode”
come quelle di Giovanni Jervis, di Frank J. Sulloway e di Michele
Ranchetti. E fra le tematiche per le quali la rivista ha dissodato il
terreno vi sono stati anche i rapporti tra psicoanalisi e
psicopatologia, i criteri della diagnosi tra psichiatria e psicoanalisi,
e più di recente la «svolta narrativistica» e la «neuropsicoanalisi».
Il
numero speciale con il quale la rivista festeggia le sue nozze d’oro
con la cultura italiana e internazionale è un ennesimo atto di coraggio e
di spregiudicatezza: «Cosa resta della psicoanalisi. Domande e
risposte», cui si sono prestati più di sessanta psicoterapeuti,
psicologi e psichiatri di chiara fama, da Gabbard, a Kernberg, Fonagy,
Ogden, Eagle, agli italiani Ammanniti, Argentieri, Cancrini, Recalcati,
Zoja (e dovrei completare l’elenco per non far torto agli altri,
altrettanto importanti e influenti nel variegato mondo della cultura
psicoanalitica contemporanea). Difficile estrarre una morale univoca
dalle risposte, anche perché i curatori hanno voluto far parlare le
varie “scuole” e tendenze. E dunque il merito di questa “inchiesta” sta
proprio nel fatto che ogni risposta è un contributo analitico e teorico,
senza atteggiamenti “difensivi” e soprattutto senza metterla troppo in
“filosofia” e in epistemologia, come purtroppo è stato, secondo me
sciaguratamente, in recenti risposte italiane contro i “libri neri” e
contro la crescente letteratura “revisionista” sulla psicoanalisi e la
sua storia. E io credo che sia proprio la decisione di far camminare la
psicoanalisi con le proprie gambe, senza comprometterla con le filosofie
e le metafisiche di tendenza, il tratto virtuosamente distintivo dei
vari interventi (con la conseguenza, per esempio, di veder
ridimensionati autori come Lacan, e insieme a lui gran parte della
“filosofica” psicoanalisi francese). Per la maggior parte degli autori
intervenuti, non appoggiarsi alla filosofia, con la sola eccezione di
alcuni approdi della fenomenologia, sembra aver portato la psicoanalisi
verso una forma di “naturalizzazione” soft che la fa dialogare sempre
più intensamente con le scienze biologiche e sociali (il che, per la
rivista, è una sorta di conquista annunciata sin dagli inizi).
Insomma,
quello che l’interessante numero di «Psicoterapia e Scienze Umane»
suggerisce è che il mainstream psicoanalitico sembra essere oggi quello
che dai kleiniani e dagli indipendenti britannici incontra gli analisti
relazionali e culturalisti e non disdegna di confrontarsi con le teorie
dell’inconscio e dell’«autoinganno» di provenienza cognitiva e
biologico-evoluzionista. E quello che maggiormente conforta (soprattutto
nelle risposte di Eagle e di Lingiardi) è che la psicoanalisi sembra
sempre più disposta a riconoscere che il suo oggetto di ricerca è comune
con quello di altre discipline scientifiche e che non può sottrarsi da
confronti che mettano a prova anche l’accountability del suo metodo e
della sua efficacia terapeutica. Come potrebbe commentare qualcuno,
meglio tardi che mai.
Psicoterapia e Scienze Umane , numero
speciale su Cosa resta della psicoanalisi . Domande e risposte , L, 3,
2016, Franco Angeli, Milano, pagg. 351-640, € 21