Il Sole 6.12.16
Le eredità della Grande Crisi
La crisi d’identità dei socialisti europei
di Valerio Castronovo
Si
tratta della fine di un lungo ciclo storico o solo di una crisi
transitoria? Questo interrogativo è venuto ponendosi negli ultimi tempi a
proposito della perdita di consensi elettorali e d’influenza politica
dei partiti socialisti. È quanto ha cominciato infatti a manifestarsi
dalle elezioni europee del giugno 2009, quando il partito socialista
spagnolo di José Luis Zapatero venne sorpassato da quello di
centro-destra, il partito laburista di Gordon Brown uscì dalle urne con
le ossa rotte, la Spd tedesca non andò più in là del 20% dei suffragi e i
socialisti francesi subirono una pesante sconfitta.
Indubbiamente
le conseguenze della Grande crisi del 2008 hanno concorso a determinare
la parabola discendente della sinistra riformista, a causa
dell’azzoppamento delle due robuste gambe che avevano assecondato, dal
secondo dopoguerra in poi, le sue direttrici di marcia e segnato le sue
crescenti fortune politiche: ossia il welfare state, con le sue
applicazioni sempre più ampie e generose; e un processo di sviluppo
economico inclusivo con i suoi benefici effetti sul versante
dell’occupazione e della dinamica salariale. È vero che non erano
mancate lungo la strada, a seconda delle evenienze, certe restrizioni
nelle politiche dello “Stato sociale”, né alcune congiunture recessive:
ma non al punto da incrinare le fondamenta e le prospettive di un
sistema sostanzialmente saldo e inoltre accreditato per via di una
duplice conversione politica: quella, da un lato, di gran parte dei
partiti socialisti alle logiche del mercato, dopo il ripudio degli
assunti ideologici della lotta di classe; e, dall’altro, quella dei
principali partiti moderati che, non più arroccati su posizioni
conservatrici, s’erano aperti a politiche di equità sociale e di piena
occupazione.
Si spiega pertanto come fossero andati attenuandosi
certi irriducibili contrasti pregiudiziali fra l’uno e l’altro
schieramento, che avevano reso in passato particolarmente conflittuale
l’andamento della vita politica e trasformato sovente ogni tornata
elettorale in una sorta di resa dei conti per la propria sopravvivenza,
anziché in una normale contesa bipartitica per un’alternanza di governo.
Non
per questo i partiti progressisti avevano smesso di professare certi
motivi ideali di differenziazione sposando perciò, dagli ultimi anni del
Novecento, sia la causa di determinati diritti individuali (come quella
delle unioni civili fra coppie omosessuali) sia le istanze riguardanti
la qualità della vita e la tutela dell’ambiente. Ma ciò non è bastato,
evidentemente, ad arrestare il declino delle loro quotazioni politiche e
del proprio seguito sociale. Poiché sono andate allargandosi una serie
di fenditure in quello che era rimasto il terreno di riferimento per
antonomasia dei partiti socialisti, costituito da ampi strati della
classe lavoratrice e di piccola-media borghesia, in quanto essi non si
sono più sentiti debitamente protetti da un’ondata pervasiva di
depressione economica, marginalizzazione sociale e insicurezza del
futuro.
Non a caso, perciò, di fronte ai radicali mutamenti di
scenario determinati a catena dalla globalizzazione, dal sopravvento
sull’economia reale di un finanzcapitalismo speculativo e dell’impatto
della rivoluzione digitale, ma anche dalla persistenza nell’Unione
europea di una politica di austerità senza adeguati incentivi per la
crescita, una parte consistente della “middle class” ha abbandonato la
sinistra riformista per orientarsi verso quella antagonista, quando non
si è spostata verso i lidi di un’estrema destra nazional-populista,
xenofoba e autoreferenziale ma anche tendenzialmente dirigista e
protezionistica, e perciò apparsa alla fin fine più rassicurante.
Stiamo
così assistendo a un arretramento pressoché generale in Europa dei
partiti socialisti: da quello francese di Hollande ormai in caduta
libera, alla Spd ridottasi oggi a far da spalla nei governi tedeschi di
coalizione alla Cdu della Merkel; dal Labour britannico di Jeremy Corbyn
che, rifacendosi a un vetero-marxismo, non trova di meglio che
riproporre le nazionalizzazioni, al Psoe spaccatosi in due per non
uscire di scena rendendo così possibile, dopo nove mesi, il ritorno al
potere di Mariano Rajoy; dal Pasok, letteralmente sparito dal firmamento
politico greco avendo ceduto la propria base elettorale a Syriza di
Alexis Tsipras; alla scomparsa dalla ribalta del partito
socialdemocratico danese di Helle Thorning Schmidt, spodestato dalla
destra di Lars Lokke Rasmussen; dall’assottigliamento del partito
socialista olandese a meno del 10% dei consensi; alla defenestrazione
dal governo del partito socialdemocratico svedese per opera di una
coalizione di centro-destra. Peraltro l’attuale ventata antisistema
potrebbe prima o poi investire anche il centro-destra.