il manifesto 9.12.16
Metalmeccanici, il contratto che fa discutere
Sindacato.
Welfare integrativo e inflazione ex post modello per tutti? Dentro la
Cgil molti frenano. E in alcuni territori la Fiom ha già votato contro
Landini. Una lettera inviata dal Comitato centrale impone ai direttivi
territoriali di non esprimersi: urne solo per i lavoratori
di Antonio Sciotto
Mentre
la politica dopo il referendum costituzionale si avvita in una crisi
dai tempi incerti, il mondo delle relazioni industriali ha ripreso
invece a dialogare: l’ultima tappa il faccia a faccia di mercoledì
scorso tra il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e i tre
segretari di Cgil, Cisl e Uil sul «Patto per la fabbrica», ma il vero
snodo è stato il contratto dei metalmeccanici. Unitario, è piaciuto
perfino a due fieri avversari di Fiom e Cgil come Pietro Ichino e
Maurizio Sacconi, perché apre in maniera decisa a welfare e prestazioni
integrative e insieme demanda tutti gli aumenti extra inflazione ad
aziende e territori.
IL CONTRATTO PERÒ dentro la Cgil ha trovato
delle voci critiche: come Alessandro Genovesi ed Emilio Miceli,
segretari generali di Fillea e Filctem, a loro volta impegnati sui
tavoli degli edili, tessili ed elettrici. Ma anche dall’interno della
Fiom si sono alzate diverse voci contrarie, e non solo da parte della
minoranza tradizionalmente ostile al numero uno Maurizio Landini. Due
importanti direttivi territoriali – Genova e Trieste – hanno bocciato
l’intesa con Federmeccanica, avallata invece con voto bulgaro dal
Comitato centrale (cioè quello nazionale) della Fiom.
Trieste lo
ha fatto dopo che da Roma era stata inviata una lettera a tutte le
strutture per impedire che l’intesa fosse messa al voto nei territori, e
con il mandato imperativo a rappresentare nelle assemblee che si
svolgeranno il 19, 20 e 21 dicembre (con relativo referendum)
esclusivamente la posizione espressa dal Comitato centrale. La tensione è
tale che martedì verrà ripetuto un nuovo direttivo nella città
giuliana, alla presenza questa volta dello stesso Landini.
Contro
la «centralizzazione» imposta da Roma si sono mobilitati la minoranza
interna – Il sindacato è un’altra cosa – e un gruppo di delegati
metalmeccanici che si è riunito martedì scorso a Firenze: da parte loro
l’invito è a esprimersi per il No all’accordo.
L’INTESA PREVEDE un
importo complessivo di erogazione da parte dell’impresa di 92,68 euro:
somma che la Fim Cisl ha definito «beneficio economico per ciascun
lavoratore». In effetti una parte – quasi la metà, circa 41 euro – non
andrà cash in busta paga, ma verrà erogata sotto forma di welfare,
formazione, sanità e previdenza integrative. Permettendo alle stesse
aziende di risparmiare sulla tassazione, grazie agli sgravi inseriti
anche nell’ultima legge di Bilancio.
Il resto, oltre 51 euro,
andranno in busta paga: per tutti, avendo sbaragliato così l’iniziale
proposta di Federmeccanica che aveva previsto aumenti solo per le fasce
di salario più basse. Ma per il momento rappresentano solo un calcolo
previsionale: perché gli incrementi verranno erogati nel giugno di ogni
anno in base al calcolo dell’inflazione dell’anno precedente (giugno
2017 per l’intero 2016 ad esempio), una sorta di scala mobile ex post. E
si tratta esclusivamente di recupero dell’inflazione. L’1% di Pil (o lo
0,9%, le cifre sono ballerine) del 2016, l’andamento dello stesso
settore con eventuali margini di guadagno acquisiti dalle imprese, nel
conteggio nazionale non entreranno.
SONO VALORI PERSI? No, ma
bisognerà guadagnarseli nella contrattazione territoriale o di azienda:
realizzando così la richiesta degli industriali di commisurare
strettamente gli aumenti alla produttività. Ma come è noto non in tutte
le imprese si riesce a siglare un integrativo: siamo fermi a circa il
20%, e il contratto nazionale ha sempre fatto da ombrello per tutti.
Il
contratto dei metalmeccanici riguarda 1,6 milioni di addetti, ma sia
per motivazioni storiche che per l’importanza del settore nella
manifattura italiana, rappresenta un benchmark per tutti gli altri
comparti: l’intesa firmata il 26 novembre da Maurizio Landini, Marco
Bentivogli della Fim e Rocco Palombella della Uilm con Fabio Storchi di
Federmeccanica influirà certamente sul modello contrattuale che Cgil,
Cisl e Uil potrebbero concordare all’interno del «Patto della Fabbrica»
attualmente in discussione con Confindustria.
DA QUI LE TENSIONI,
le critiche anche aperte, mosse dall’interno della Cgil. I tessili in
ottobre avevano interrotto le trattative proprio sul rifiuto ad
accettare il recupero dell’inflazione ex post, e ora il segretario
Filctem Miceli parla di «voucherizzazione dei contratti»: «Il welfare
diventa il no cash nei contratti, che pretende di sostituire
progressivamente la funzione salariale con tutte le sue implicazioni, a
cominciare dalla contribuzione pensionistica». «Il contratto nazionale
non può diventare la sede che recepisce automaticamente l’inflazione e
attua le disposizioni di legge. Così muore».
Stesse perplessità da
parte del segretario degli edili Fillea, Genovesi: «Il meccanismo
salariale è esclusivamente di recupero ex post e differito nel tempo,
con aumenti successivi e solo eventuali sui minimi salariali legati
meramente all’inflazione, con tanto di assorbimento di altre voci».
Precisando che ogni settore ha la sua specificità, Genovesi dice di
puntare «non solo a tutelare il potere di acquisto» ma anche a «far
riconoscere elementi specifici» come «andamento di mercato, innovazione
organizzativa, esportazioni, profitti e ricavi, con aumenti salariali
che aiutino il rafforzamento della domanda interna».
IL DIBATTITO È
APERTO, ma una parte della Fiom ha già deciso di dire No all’ipotesi
siglata. Tra le ragioni: i 92 euro non sono certi; la tutela della
sanità e previdenza pubbliche, indebolite dal rafforzarsi di quelle
private; l’assorbibilità nell’aumento nazionale di alcuni incrementi
acquisiti in azienda. Quanto alla lettera inviata da Roma, e
all’impossibilità di rappresentare in assemblea alla pari le due
posizioni, infine, viene ricordato lo scontro Landini-Camusso del 2014,
quando la Fiom si fece baluardo della par condicio nelle assemblee sul
Testo unico sulla rappresentanza e del diritto al dissenso a tutti i
livelli della Cgil.