il manifesto 7.12.16
L’ultima pagliacciata renziana
E
adesso. Abbiamo visto un referendum costituzionale trasformarsi in un
referendum sociale. Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di
votare per qualcosa in cui credeva. E seppure ci pesa la cattiva
compagnia del No, per una volta abbiamo vinto, e vinto bene. Ora
facciamo affidamento sul capo dello stato perché non consenta balletti e
scorciatoie, perché affidi il timone a una personalità di rilievo
istituzionale, una persona super-partes, in grado di traghettare il
paese dal pantano renziano a nuove elezioni
di Norma Rangeri
Sono
passate poco più di 48 ore dalla domenica elettorale che nelle peggiori
intenzioni avrebbe dovuto cambiare i connotati alla nostra democrazia
parlamentare, e provate a raccontare a che punto siamo a una persona
sana di mente, a un cittadino italiano che abbia ancora voglia di
prendere sul serio la pesante situazione in cui il giovane, brillante
Renzi ci ha cacciato.
Penserebbe a una commedia in costume, a un
episodio della repubblica delle banane. Penserebbe che evidentemente
siamo degli irrimediabili cialtroni che amano passare da Berlusconi a
Renzi.
Per aver evitato di affidare il potere nelle mani di un
capo, ci ritroviamo con un presidente del consiglio che oggi, al senato,
benché dimissionario, chiederà la fiducia sulla legge di bilancio.
Ci
ritroviamo con un senato, appena scampato alla ghigliottina, che non
potrà liberamente discutere la legge più importante del governo perché
il presidente del consiglio, dopo essersi dimesso davanti alle
telecamere nella notte della batosta referendaria, sospende le
dimissioni per un pomeriggio e chiede di votargli la fiducia.
Salvo
poi, appena qualche ora dopo, recarsi al Quirinale e, con la giacca di
capo del governo, rassegnare le dimissioni, con quella di segretario del
Pd sedersi di fronte a Mattarella per le consultazioni sulla crisi di
governo, il suo.
La pagliacciata delle dimissioni televisive,
offerte al pubblico di terza serata, hanno imbarazzato e intralciato il
lavoro del presidente della Repubblica, l’unico che le avrebbe dovute
ricevere in prima battuta, senza lacrimucce e abbracci. E purtroppo non
sarà questo l’ultimo strappo che il rottamatore, l’uomo del cambiamento,
il novatore della politica italiana, il riformatore della Costituzione,
ci lascia come pesante eredità da smaltire.
Molti di quelli che
hanno votato Sì, da ultimo Romano Prodi, si sono turati il naso pur
giudicando la riforma un vero obbrobrio. Se malauguratamente avessero
anche vinto, oltre al loro trascurabile mal di pancia, ci avrebbero
regalato molti anni di futurismo renziano.
Ma come hanno fatto
quei dirigenti del vecchio Pci, quei democristiani di vecchio e nuovo
conio, quei cattolici adulti a sostenere una persona che non si fa
scrupolo di niente, che preda di una bulimia di potere, scavalca le
prerogative del presidente della Repubblica, trattandolo come fosse un
usciere del Nazareno.
Ma come ha potuto Giorgio Napolitano
sostenerlo e ispirarlo nella forsennata guerra contro la Costituzione
fino al punto di votargli in parlamento una legge elettorale,
l’Italicum, sapendo che sarebbe stata valida solo se al Referendum
avesse vinto il Sì, cioè solo con l’abolizione del senato.
Siamo
finiti in mani inaffidabili e di questo dobbiamo dire grazie anche a
quella sinistra del Pd che prima ha ripetutamente votato la riforma
costituzionale e poi ha detto No (a parte Cuperlo finito a bagnomaria
nel brodo del Sì).
Oggi il bollettino di bordo dice che Renzi
chiederà a Mattarella un governo istituzionale con una maggioranza
allargata al fronte del No (leggi Berlusconi e Forza Italia). Altrimenti
tutti al voto.
Vedremo, intanto quel che sappiamo già è che
questo gruppo dirigente del Pd ha messo il paese nel tritacarne
referendario e ora lo lascia alle scorrerie del grande capo, ferito e a
caccia di riscossa in una prossima campagna elettorale. Di cui non
sappiamo né quando ci sarà, né con quale legge elettorale verrà
celebrata. Vale a dire se, come la magnifica coppia Renzi-Alfano
vorrebbe, le urne si apriranno a primavera come i fiori e con quale
razza di governo in carica.
Nel frattempo le politiche economiche e
sociali di palazzo Chigi continueranno a macinare voucher, ticket e
povertà che sale al 48% per le coppie con figli e al 51% se si tratta di
minori.
Per chi legge questi dati offerti dall’Istat non è
difficile interpretare certe esagerate percentuali del No, come
quell’81% di giovani con un elevato grado di istruzione e
disoccupazione, come quel povero Sud ricco di grandi città del No,
entrambi determinanti, giovani e Sud, a trasfigurare un referendum
costituzionale in un referendum sociale.
Abbiamo visto un
referendum costituzionale trasformarsi in un referendum sociale. Dove
ciascuno per un momento si è sentito libero di votare per qualcosa in
cui credeva.
Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di
votare per qualcosa in cui credeva, come ha fatto quel vasto mondo di
movimenti piccoli e grandi, dai centri sociali alla Cgil, all’Anpi, ai
comitati del No.
E seppure ci pesa la cattiva compagnia che per
affondare Renzi difendeva a denti stretti la democrazia costituzionale
di cui gli importava meno di niente, per una volta abbiamo vinto, e
vinto bene.
Ora facciamo affidamento sul capo dello stato perché
non consenta balletti e scorciatoie, perché affidi il timone a una
personalità di rilievo istituzionale, una persona super-partes, in grado
di traghettare il paese dal pantano renziano a nuove elezioni.