il manifesto 6.12.16
L’eredità scomoda di un intellettuale
Scaffale. «Nonostante Gramsci» di Marco Gatto, per Quodlibet
La ricezione della sua opera nel tormentato percorso del marxismo italiano
di Paolo Desogus
Fra
 i pochi marxisti ancora capaci di influire sul dibattito 
critico-letterario italiano occupa una posizione di rilievo Antonio 
Gramsci. Questa sua fortuna pare tuttavia non dipendere tanto dalla 
salute del marxismo, quanto da una crisi avvenuta al suo interno, che ha
 modificato il rapporto tra fenomeni estetico-letterari e fatti 
storico-materiali.
DA TEMPO, nei dipartimenti di italianistica e 
di letterature comparate il Gramsci più letto e discusso è quello 
filtrato dai cultural studies e dalle sue diramazioni dei postcolonial e
 dei subaltern studies: un Gramsci dunque d’importazione, slegato dalla 
stagione post-resistenziale della via italiana al socialismo di 
Togliatti, così come dalla variegata discussione degli anni Sessanta 
nata a sinistra del Pci; un Gramsci certamente rinnovato, ma in fondo 
politicamente poco compromettente, perché il più delle volte adattato a 
contesti sociali lontani da quello italiano o ancora perché riletto 
attraverso una rivalutazione delle categorie del suo pensiero in un 
senso puramente culturale e interpretativo.
GIÀ IN UN SUO 
PRECEDENTE saggio (Marxismo culturale, Quodilbet, 2012) Marco Gatto si è
 interrogato su questo «trapasso del patrimonio marxista da ‘filosofia 
della prassi’ a bene di cultura, da agente di pensiero pratico e 
politico a oggetto di conoscenza». Ora questa sua indagine conosce un 
ulteriore sviluppo con un nuovo volume (Nonostante Gramsci, Quodlibet, 
pp. 192, euro 18) interamente dedicato a Gramsci e alla complessa 
ricezione della sua opera nel tormentato percorso del marxismo italiano 
dal secondo dopoguerra sino agli esiti più recenti.
IN QUESTO 
LAVORO di scavo, attuato in un territorio da anni rimosso dalla critica,
 Gatto mostra come la separazione tra pensiero e prassi non sia o, 
comunque, non sia solo la conseguenza necessaria della crisi dell’89, ma
 sia anche l’esito delle incertezze interne alla stessa critica 
marxista: alle sue difficoltà di integrare le note gramsciane sulla 
letteratura nel complessivo quadro dialettico tracciato nei Quaderni.
Lo
 si osserva anzitutto nelle pagine dedicate all’autonomia dell’estetico 
di matrice crociana, che negli anni Cinquanta, nonostante l’elezione di 
Gramsci ad Anti-Croce, continuava ad informare il discorso 
critico-letterario anche fra gli autori sensibili alla lezione dei 
Quaderni. Certo, l’idealismo su cui si era formata la generazione di 
scrittori e critici dell’engagement non poteva essere facilmente 
superato; quello che però è mancato è stata la capacità di trarre 
proprio dal pensatore sardo la linfa per recuperare il legame tra 
giudizio estetico e valore politico e, attraverso questo processo, per 
ricomporre quella separazione tra intellettuali e popolo tipica del 
cosmopolitismo italiano.
L’INDAGINE DIVIENE ancora più penetrante 
quando Gatto affronta alcune delle esperienze più significative della 
critica marxista degli anni Sessanta, come quelle di Asor Rosa, Franco 
Fortini, Leone de Castris e Romano Luperini. È in questa fase che si 
consuma nel marxismo italiano l’occasione di costruire un modello di 
critica letteraria capace di farsi carico dell’eredità gramsciana.
Ma
 a questa conclusione Gatto arriva tenendo conto delle differenze più 
che dei tratti comuni fra gli autori di quella fase. Spiccano così il 
lavoro di recupero dell’opera di Leone de Castris, su cui da anni pesa 
un inspiegabile oblio, e il serrato confronto tra Fortini – a cui sono 
dedicate le pagine migliori del volume – e Asor Rosa, dalla cui opera 
sorgono invece le questioni più problematiche e forse attuali. Sulla 
scia di Tronti e del nascente operaismo, Scrittori e popolo ha condotto 
una delle più serrate critiche al pensiero gramsciano e ai suoi 
interpreti della via italiana al socialismo.
QUELLO CHE È 
INTERESSANTE non è solo la rilettura della critica di Asor Rosa al 
nazionale-popolare su cui il Pci ha costruito parte della propria linea 
politico-culturale. Gatto mostra quanto Scrittori e popolo abbia agito 
molto più in profondità della polemica con la lettura comunista, 
mettendo in discussione quel principio della mediazione tra letteratura,
 società e lotta politica su cui si innerva il pensiero dei Quaderni, 
secondo una prospettiva intimamente storico-materialistica. In un’epoca,
 come quella attuale, di distacco o nel migliore dei casi di impegno 
testimoniale della letteratura, ripensare a quel nesso costituisce 
probabilmente il primo passo per una riscoperta, anche in ambito 
critico-letterario, del valore operativo e politico del pensiero 
gramsciano.
 
