il manifesto 1.12.16
La verità non conta, non porta voti
Parole come proiettili nel discorso sull’immigrazione
Non solo media. Falsità e travisamenti concettuali nella narrazione dominante dei flussi migratori.
di Max Mauro
Quanta
violenza c’è nel discorso sull’immigrazione? Per discorso intendo
un’accumulazione di termini, idee, conversazioni, prassi, azioni
concertate e azioni automatiche dello stato e delle strutture
democratiche, inclusi i mass media. Tutti assieme, nel corso del tempo,
creano un corpo fluido e multiforme che pervicacemente avvolge tutto
quello che incontra. Il discorso è potere, perché penetra le
(in)coscienze e trascina le azioni verso una direzione. Il discorso è
violenza, perché non rispetta ambiti e pertinenze. Si muove al passo
della tecnologia informativa, che nell’era dei social media non accetta
silenzi né tantomeno riconosce riguardi. Non deve stupire se il discorso
prende le forme dell’imprevisto, perché è quello il suo segreto, la sua
forza. Il discorso non si fa solo attraverso le parole urlate del
politico di turno abbonato alla poltrona degli studi televisivi. Il
discorso si manifesta, e si rinnova continuamente, nell’espressione
spontanea del cittadino in tutt’altro affaccendato, o dell’esperto che
offre opinioni sui temi più diversi.
Un esempio? Il 19 novembre il
Corriere della Sera pubblica un intervento in favore del referendum
costituzionale a firma di Franco Bassanini, già ministro per la funzione
pubblica nei governi Prodi e D’Alema. Non mi interessa qui discorrere
del SI o del NO al referendum. La cosa che mi ha colpito in
quell’articolo è il riferimento sfuggevole al tema dell’immigrazione.
Con l’intento di sostenere le ragioni di una maggiore concentrazione di
potere nelle mani del governo (è per la stabilità, ça va sans dire!),
Bassanini offre un’analisi storica degna di nota. I tempi son cambiati,
dice Bassanini e così le migrazioni. Nelle sue parole: “Le migrazioni
avvenivano allora per lo più dall’Europa verso le Americhe; oggi
invadono l’Europa come effetto dell’esplosione demografica africana e
della crisi demografica del Vecchio continente”.
Ecco, le parole.
Le parole e le cose. Invadono. Le migrazioni non sono spostamenti di
persone che per le ragioni più diverse si muovono da un punto all’altro
del pianeta. Sono invasioni. Eppure nel 2015 l’Italia, per la prima
volta in cent’anni ha registrato un saldo demografico negativo. Sono più
numerosi coloro che emigrano di quelli che immigrano, e fra quelli che
lasciano il paese crescono di numero i figli di immigrati o gli
immigrati stessi che hanno acquisito la cittadinanza. Invasione? La
Potenza del discorso pubblico popolare. Cosa opporre a tale messaggio
tossico utilizzato in forma di “fatto”, accidentalmente? Ma non c’è solo
l’invasione in questo travisamento concettuale. Nella visione di
Bassanini, riflesso del discorso pubblico popolare, le migrazioni hanno
una sola causa: l’esplosione demografica africana. Non c’è spazio per la
realtà nel discorso onnivoro sull’immigrazione. La verità è una
chimera. Non conta. Non porta voti. Anche per questo è giusto insistere e
provare a ragionare contro la corrente del discorso dominante.
Quindi:
c’è solo la crescita demografica dell’Africa a motivare le migrazioni
contemporanee? Tutt’altro. Secondo i dati elaborati dall’agenzia delle
Nazioni Unite per i rifugiati, la maggioranza dei migranti arrivati in
Italia attraverso il mare nel 2016 sono originari di paesi quali
Nigeria, Gambia, Somalia, Eritrea, Guinea. Tra le cause maggiori delle
migrazioni dalla Nigeria l’Unhcr identifica la guerra intestina
provocata da Boko Haram, ma non andrebbe dimenticata l’espropriazione
occidentale della maggiore risorsa nigeriana, il petrolio. Da anni le
ricchezze dell’oro nero vengono spartite tra le grandi sorelle
dell’industria petrolifera e le élite corrotte delle paese. Senza dire
che l’industria petrolifera provoca una perenne emergenza ambientale,
come denunciato a suo tempo da Ken Saro-Wiwa. E che dire di Somalia ed
Eritrea, il primo un paese non-stato dilaniato da decenni di guerra, il
secondo un paese controllato dalla dittatura ultraventennale di Isaias
Afewerki? L’occidente non può dirsi neutrale nella genesi delle crisi di
questi paesi perché ha giocato un ruolo storico nel destabilizzarli,
prima conquistandoli con la forza, definendone le cartografie, e poi
sfruttandone le risorse per decenni. Si può dire lo stesso del Gambia,
un paese dove il clima di paura creato dal regime di Yahya Jammeh ha
alimentato il senso di sfiducia delle giovani generazioni, che
costituiscono la maggioranza dei migranti. Dai dati Unhcr risulta anche
che tra i primi cinque paesi di provenienza dei richiedenti asilo nel
2015 figuravano il Pakistan e il Bangladesh, certamente non paesi
africani. Come si può allora ricondurre il movimento migratorio
semplicemente alla “esplosione demografica” dell’Africa, come fa
Bassanini?
Anche il termine “esplosione” merita attenzione.
Esplosione è un termine che trasmette un senso di cambiamento brusco e
violento. Perché usare questo termine per un fenomeno, la tendenza
demografica del continente africano, che è tutto meno che una sorpresa?
Da almeno quindici anni l’Africa subsahariana è caratterizzata da una
crescita demografica dovuta essenzialmente, secondo la Banca Mondiale,
alla riduzione della mortalità infantile, riflesso dei miglioramenti
nelle condizioni di vita, inclusa la sanità pubblica, avvenuti nell’arco
di alcuni decenni.
Perché allora esplosione? Esplosione e
invasione non sono semplici parole. Inserite nel discorso
sull’immigrazione sono proiettili sparati da uno strumento di offesa,
uno strumento di guerra. Chi le usa dovrebbe esserne pienamente
cosciente. Evidenziarle quando vengono usate nei contesti più disparati è
un piccolo dovere civico al quale non possiamo sottrarci.