il manifesto 11.12.16
La nuova Cia ora è Putin: «Ha fatto vincere Donald»
di Luca Celada
LOS
ANGELES Un clamoroso rapporto della Cia conferma che la Russia di Putin
ha interferito nella campagna elettorale americana per favorire la
vittoria di Donald Trump. Erano già emersi elementi che implicavano
ambienti vicini all’intelligence russa nell’hackeraggio dei server del
comitato centrale democratico risultato nella disseminazione di email
provenienti dall’account del direttore della campagna Clinton, John
Podesta.
L’ULTIMO RAPPORTO esprime «il consenso dell’intelligence
che l’intento russo fu di favorire un candidato rispetto all’altro»
confermando che l’operazione degli hacker era chiaramente a favore dei
repubblicani. Lo confermerebbe il fatto che i russi si sarebbero
insinuati anche nei computer del Gop, senza però rilasciare in quel caso
alcun documento compromettente. La notizia anticipa il rapporto
comprensivo sull’interferenza russa che Obama ha chiesto venga
completato prima dell’insediamento del nuovo presidente.
LA
RISPOSTA DEL COMITATO di transizione di Trump ha avuto toni derisori:
«Questi sono gli stessi che sostennero che Saddam Hussein aveva armi di
distruzione di massa», si legge nella nota. Durante l’ultima
amministrazione repubblicana, quella di George W. Bush, la Cia subì
forti pressioni dal segretario della difesa Donald Rumsfeld e dal
vicepresidente Cheney per «confermare» presunte armi chimiche e nucleari
irachene. La pubblica diatriba fra intelligence e neo presidente prima
ancora dell’insediamento non ha precedenti, constatazione che di per sé
non fa più notizia nell’incipiente era Trump, sovversiva per definizione
delle regole acquisite della politica. Nell’universo capovolto dell
America trumpista si susseguono gli inediti paradossi.
Negli
ultimi tweet diramati da Trump il presidente in pectore ha difeso la
decisione di restare produttore esecutivo del suo programma, The
Apprentice, spiegando agli Americani che produrre il reality condotto da
Arnold Scwharzenegger non lo distoglierà eccessivamente dagli affari di
stato. Molti altri hanno trovato singolari gli incontri avuti dal neo
eletto con celebrità ambientaliste come Al Gore e Leonardo DiCaprio.
L’apparente intento sarebbe stato di influenzare le vedute di Trump in
materia di tutela ambientale. Sorge però legittimo il sospetto che gli
incontri celebrity, come le polemiche via Twitter, distolgano
soprattutto dalle più inquietanti ed effettive indicazioni di policy
rispecchiate nelle scelte di ministri.
SEMPRE IN TEMA AMBIENTALE,
dopo la nomina del militante anti-norme ambientali Scott Pruitt all’ente
preposto alle norme ambientali (EPA), la squadra di Trump ha diffuso un
«questionario» al ministero per l’energia in cui vengono richiesti i
nomi degli impiegati che abbiano partecipato negli ultimi cinque anni a
conferenze ambientali. Un sinistro anticipo delle plausibili liste di
proscrizione. Sul proprio sito l’associazione «pro capitalismo e
anti-governo» ha lanciato un elenco per «smascherare e documentare
professori che promuovono ideologia di sinistra nelle aule
universitarie».
Un altro tassello nella rottamazione, non solo
delle politiche obamiane ma, come ha scritto Pankaj Mishra sul Guardian,
della stessa tradizione illuminista di razionalismo liberale antitetica
al trumpismo.