Corriere 9.12.16
«Ora et manovra»
Un Franceschini dietro tutte le svolte
Sempre con un alibi
di Francesco Verderami
Cosa
pensasse di lui, Renzi l’aveva detto due anni fa al microfono in una
direzione del Pd: «Scusate, nella ressa è sparito un cappotto. Dario si è
già costruito un alibi di ferro». Solo processi indiziari a carico
dell’avvocato Franceschini, mai una prova che abbia consentito alle sue
presunte vittime di incastrarlo. Che poi in politica non esistono i
complotti, perché ogni vicenda è la risultanza di mosse azzeccate e
sbagliate. E se Renzi si trova oggi in un cul de sac non è certo per
colpa del ministro della Cultura.
Ma siccome lo dipingono così,
siccome per anni è riuscito a superare indenne le alterne fortune del
centrosinistra, dell’Ulivo e del Pd, con l’avvento di Renzi aveva deciso
di rifugiarsi nella splendida stanza del suo dicastero, circondato da
un muro di libri e incurante del motto che gli avevano cucito addosso:
«Ora et manovra». Adesso che la risultanza referendaria ha spinto il
premier a dimettersi, vive come un’ingiustizia quel venticello, la tesi
cioè che si sia messo in proprio — in combutta con Berlusconi — per
spodestare Renzi: «Scusate non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere
l’accordo». Una battuta per sdrammatizzare una situazione drammatica per
il Pd. Un modo per sottolineare che ad Arcore non c’è mai stato, lui...
Sia
chiaro, nessun Candide o Forrest Gump potrebbe campare così a lungo nel
Palazzo. L’arte manovriera e l’istinto di sopravvivenza sono capacità e
caratteristiche di chi si è forgiato alla scuola democristiana dei
coltelli. Ma se anche stavolta Franceschini dovrà difendersi dall’accusa
di tramare, potrà sempre dire che un alibi ce l’ha. Perché proprio lui,
prima del voto, aveva consigliato Renzi a non compiere il passo che
invece ha compiuto: «Matteo, non lasciare Palazzo Chigi. Se resti,
potrai continuare comunque a controllare anche il partito. Se lasci, non
avrai la forza nemmeno per controllare il partito».
Un
suggerimento che il premier, sospettoso di natura, deve aver vissuto
come una trappola e che in queste ore è invece diventata la linea del
Piave per chi ha subito la Caporetto delle urne. Le ombre sono
dappertutto e per Renzi l’ombra più insidiosa ha il profilo di
Franceschini, specie dopo che il ministro si è opposto all’idea del
premier di andare precipitosamente al voto: «Questo sarebbe un suicidio e
io non intendo suicidarmi». Essendo azionista nel partito e nei gruppi
parlamentari, ha pesato le parole facendo capire quanto pesavano.
Più
nel Pd cresce la voglia di sbarazzarsi di Renzi, più Franceschini dice
di «seguire la linea di Renzi». Non c’è bisogno dello spargimento di
sangue. Perché l’adozione del Consultellum alla Camera e al Senato,
aprirebbe una lunga stagione di larghe intese dopo le elezioni. E il
premier del futuro governissimo sarebbe il frutto di una mediazione tra
partiti, non il leader di uno dei partiti.
Da scrittore ha scritto
pagine dense di colpi di scena, da politico i colpi di scena li ha
vissuti e talvolta subiti. La sintesi sta in una vignetta di Vincino che
desidererebbe avere e che il Corriere pubblicò diciassette anni fa:
ritrae una furibonda mischia rugbistica dalla quale esce indenne
Mattarella che, ovale in mano, s’invola verso la meta. Il giorno prima
Franceschini — già vestito per salire al Colle a giurare da ministro
della Difesa del secondo governo D’Alema — era rimasto incastrato nella
mischia. Dovette attendere. Seppe attendere. Bisogna saper attendere.