mercoledì 7 dicembre 2016

Corriere 7.12.16
«Imploravo aiuto Niente cesareo»
di Felice Cavallaro

Parla la giovane madre di Catania alla quale i medici, arrivati a fine turno, hanno rifiutato un cesareo, provocando danni cerebrali al neonato: «Mio figlio soffriva, loro avevano fretta di tornare a casa».
catania «Non so ancora se mio figlio un giorno potrà parlare e camminare, non so nemmeno se sente la mia voce... Ecco cosa hanno combinato quei medici, quelle dottoresse che avevano fretta di tornarsene a casa», commenta la giovane mamma di Catania adesso decisa a rivendicare giustizia per un parto cesareo negato. «Per un cesareo da me chiesto e mai effettuato perché quelle signore in camice bianco mi lasciavano sbattere, nonostante i miei dolori, nonostante la sofferenza del piccolo».
Parla insieme con l’avvocato al quale la famiglia si è rivolta, Gianluca Firrone, sollevata dal provvedimento cautelativo di sospensione inflitto dalla Procura alle tre ginecologhe del «Santo Bambino», Amalia Daniela Palano, Gina Currao e Paola Cairone, da 4 a 12 mesi fuori dall’attività professionale.
Ma, oltre al suo nome, Debora, 27 anni, chiede di non scrivere altro. Nemmeno il cognome del marito. Pronta a bloccare il profilo Facebook dove fino a ieri mattina veniva fuori anche l’indicazione del suo posto di lavoro, «quattro ore al giorno, da precaria». Lo dice con amarezza. «Sempre meglio di mio marito, disoccupato». Giusto per far capire quanto sia difficile pensare al futuro. Soprattutto al futuro di un bimbo che forse non avrà le armi per orientarsi. Comunque adesso con lo sguardo perduto. Mai fermo su un viso, senza un sorriso, una lacrima, una emozione.
Chi la aiuta nella gestione del piccolo, a quasi un anno e mezzo dalla nascita?
«Viviamo qui, a casa di mia nonna materna. Ospiti. Non so cosa farei senza di lei. Aiutati da lei che fa la babysitter in quelle quattro ore di mia assenza. Aiutati anche da amici, da parenti per sostegni concreti. Ma giuro che un giorno restituiremo tutto...».
Si parla di danni cerebrali subiti per la sofferenza...
«Mi terrorizza la diagnosi di tetra paresi spastica con indebolimento del tronco neuroencefalico. Dicono che bisogna aspettare ancora qualche anno per esser sicuri e noi speriamo il meglio, ma intanto passiamo da un medico all’altro, provando terapie, contatti con neuropsichiatri, impegnando tutto quel poco che abbiamo, che raccogliamo, cercando comunque di non fare mancare mai niente al bambino...».
Come ricorda quel giorno, il 2 luglio del 2015?
«Venivo da una notte difficile. Alle 6.30 in ospedale, al “Santo Bambino”. Ospedale pubblico. Lo stesso dove ero stata seguita. Senza un mio ginecologo privato che non potevo permettermi. E, forse, pagando sarebbe cambiato tutto. Arrivai convinta di dovere partorire subito. Passavano le ore, ma non facevano niente. Ho chiesto il cesareo alle due dottoresse che si avvicendavano, Palano e Currao. Il travaglio non finiva mai. Era chiaro che stava precipitando il mondo».
Suo marito e sua madre protestavano?
«Facevano domande senza ottenere risposte. Lo chiedeva pure mia madre il cesareo. Capivo che stava succedendo qualcosa di terribile. E poi s’è scoperto che il cordone ombelicale stava strozzando mio figlio, che c’era una sofferenza evidente nei cinque tracciati praticati... Ma s’è scoperto quando le due dottoresse avevano finito il turno, alle ore 13, senza dire niente ai colleghi che subentravano, forse nemmeno alla Paola Cairone che ha poi effettuato una manovra spingendomi l’addome...».
La manovra di Kristeller bandita dai protocolli?
«Questo l’ho capito dopo anche grazie all’avvocato Firrone che ha pure scoperto con i magistrati come in quell’ospedale avessero aggiustato e manomesso la cartella clinica per coprire il danno fatto a me, al mio bambino».
Poi il parto quasi naturale?
«Dopo che le due dottoresse erano sparite, al cambio turno delle 13, ho avuto altre due ore di inferno. E alle 15.30 ho espulso il mio bimbo, mentre cercavano di liberarlo dal cordone. Il danno ormai c’era. Io non capivo più niente, ma attraverso ricordi e racconti di chi era lì è emerso pure il panico di chi in sala parto s’era dimenticato di chiamare un neonatologo, arrivato dopo, nell’impossibilità di arginare i danni provocati dall’asfissia. Adesso aspettiamo giustizia. Anche perché non si ripeta per altri madri, per altri bimbi».