Corriere 4.12.16
Sasha, l’ecologista «eretico» prova a salvare l’Austria europea
Chi è Van der Bellen, il candidato che deve sbarrare la strada a Hofer dell’estrema destra. La sfida si deciderà per pochi voti
di Paolo Valentino
VIENNA
Per i fan è «il professore», per gli amici e i collaboratori più
stretti semplicemente «Sasha», riferimento alle sue radici. Il padre,
russo protestante di origine olandese, fuggì dalla Russia insieme ala
madre estone dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Alexander van der Bellen
nacque a Vienna, «figlio di profughi», come ama dire.
È su questo
professore di Economia settantaduenne, l’aria spesso distratta,
l’abbigliamento simpaticamente trasandato, che si appuntano oggi le
speranze di una certa idea dell’Europa. In modo più plastico che in
Italia, dove l’uno o l’altro esito del referendum lasciano comunque
margini di imprevedibilità agli sviluppi successivi, è dalla piccola
Austria che passa la grande faglia. È il voto presidenziale di Vienna a
fare da autentico barometro dello scontro che spacca il continente, tra
europeismo e nazionalismo, integrazione e straniamento, tolleranza e
xenofobia, accoglienza e chiusura.
Van der Bellen è l’eroe per
caso. Non che sia spuntato dal nulla nel cielo della politica austriaca.
Figlio del radicalismo degli anni Sessanta, passato dai
socialdemocratici prima di approdare ai Verdi, il professore è stato
leader dei Grünen per vent’anni. Fra l’altro ha fama di personaggio poco
convenzionale, ecologista un po’ eretico, che non va in bicicletta,
fuma e adora le automobili veloci.
Nessuno però si aspettava, la
primavera scorsa, al primo turno delle elezioni presidenziali, di
vederlo superare i candidati di Spö e Övp, i partiti socialdemocratico e
popolare che nel Dopoguerra, divisi o insieme, hanno sempre governato
il Paese. Tant’è. Così toccò a Van der Bellen, il 23 maggio, sfidare al
ballottaggio l’ingegner Norbert Hofer, campione dell’estrema destra
della Fpö, il Partito nazional-liberale di Hans Christian Strache. Il
professore vinse con una rimonta clamorosa, ma lo scarto fu di 30 mila
voti. Pochi mesi dopo, causa irregolarità procedurali nel voto per
corrispondenza, la consultazione fu annullata.
Quello di oggi è
quindi il terzo turno di una battaglia andata avanti per quasi un anno.
La carica di capo dello Stato in Austria è solo in parte cerimoniale; il
presidente ha infatti il potere di sciogliere il Parlamento e Hofer ha
detto di volerlo fare se vince. Il perché è chiaro: i sondaggi danno il
leader del suo partito, Strache, favorito in un’eventuale sfida per la
Cancelleria contro l’attuale capo del governo, il socialdemocratico
Christian Kern.
L’ultima fase della contesa è stata virulenta.
Hofer ha cercato di darsi un volto moderato. Per esempio, non ha più
ripetuto che se vincesse, indirebbe un referendum sulla permanenza
dell’Austria nella Ue. Ma come il generale del Dottor Stranamore, il
campione della Fpö, membro di una confraternita di ultradestra e
pangermanica, non riesce a nascondere i suoi tic xenofobi. «Prima
l’Austria e gli austriaci», è il suo slogan, mentre non perde occasione
per accusare i profughi accolti nell’ultimo anno e mezzo (120 mila
circa) di essere focolaio di criminalità. Perfino ex membri del partito
considerano Hofer «una bomba a orologeria», «troppo estremo» a dispetto
della verniciatura centrista con cui si mimetizza.
Nella
concitazione degli scambi polemici, il mite Van der Bellen ha saputo
tirar fuori gli artigli. Giovedì, nell’ultimo dibattito televisivo,
Hofer ha sparato a zero, insinuando che il padre del suo avversario
avesse avuto simpatie naziste e addirittura accusando il professore di
essere stato «una spia sovietica». Van der Bellen gli ha dato del
bugiardo, tenendo alta una foto del padre.
Nel comizio finale di
venerdì, Van der Bellen ha detto che «in gioco è la direzione del Paese,
la permanenza dell’Austria in Europa». Accanto lui, sul palco, il
sindaco di Vienna, il socialdemocratico Michael Haeupl. La Spö e i
popolari della Övp si sono infatti schierati al suo fianco molto più
nettamente rispetto alla volta scorsa. Indispensabile per vincere,
l’appoggio dei partiti tradizionali comporta anche pericoli per Van der
Bellen, che rischia di non essere più identificato come indipendente, ma
come espressione dell’establishment. È la speranza di Norbert Hofer,
l’uomo nero che sogna un effetto Trump anche in terra asburgica. I
sondaggi li danno appaiati. Ogni previsione è un azzardo. Comunque
finirà, centodue anni dopo l’inizio della Grande Guerra, l’Europa cade o
si rialza in Austria.