giovedì 15 dicembre 2016

Corriere 15.12.16
La verità nascosta alla luce del sole
Stefano Cucchi, battaglia infinita
di Giovanni Bianconi

Quando s’indaga su una morte misteriosa, qualunque ne sia la causa, si deve interrogare il cadavere. Che può aiutare a capire che cosa è successo, chi e perché ha messo fine alla persona che era. È il punto di partenza per risalire ai responsabili di un eventuale reato, il primo indizio. E in alcuni casi le autopsie diventano decisive, se ne discute all’infinito, si litiga per arrivare a conclusioni opposte. Per cercare la verità. O nasconderla.
È quello che è accaduto e continua ad accadere nella vicenda di Stefano Cucchi, il trentunenne romano arrestato il 15 ottobre 2009 con l’accusa di spaccio di droga e morto dopo una settimana di detenzione trascorsa tra camere di sicurezza, carcere e ospedali. Un incredibile intreccio di colpe e burocrazia, bugie, depistaggi e giustizia negata che il giornalista Carlo Bonini racconta in un libro significativamente intitolato Il corpo del reato (Feltrinelli, pagine 320, euro 18).
Perché è dal corpo (e sul corpo) di Stefano che tutto è cominciato, e perché dietro questa storia si continuano a inseguire reati che qualcuno voleva coprire. A partire dal certificato di «morte naturale» redatto subito dopo il decesso, e dall’ineffabile comunicazione data ai genitori che solo attraverso la notifica dell’autopsia seppero che il loro ragazzo non c’era più. «Si è spento», si sentirono dire.
La narrazione di Bonini si addentra in ogni passaggio della battaglia che la famiglia Cucchi conduce da sette anni, e si snoda proponendo un parallelo con un’altra morte violenta, tragica e misteriosa, quella di Giulio Regeni. Anche in quel caso è stato il cadavere a smentire le menzogne e gli inquinamenti, attraverso lo svelamento delle torture che ha fatto piazza pulita delle falsità proposte a più riprese dal regime egiziano. In comune tra i due casi c’è l’anatomopatologo che ha fatto parlare i corpi delle vittime — il professor Vittorio Fineschi, uno dei protagonisti principali del racconto — e la determinazione dei parenti a non accontentarsi di un funerale e qualche scusa. Approdati entrambi in una sede istituzionale, il Senato, per chiedere aiuto a ottenere giustizia. Con una differenza di non poco conto: per Regeni si tratta di sfidare un altro Stato a trovarla; per Cucchi, a quattromila chilometri e qualche gradino di democrazia più su, si attende che lo faccia la Repubblica italiana.
I genitori e la sorella di Stefano, Ilaria, dovettero mostrare a tutti le foto del ragazzo ridotto a poco più di uno scheletro, così come era stato restituito dalle istituzioni che lo avevano in custodia. Lo ha fatto anche un pubblico ministero, in uno dei vari processi che si sono succeduti senza approdare a nulla. Per far capire di che cosa si stava parlando, muovere le coscienze e tenere accesi i riflettori.
«Andrà a finire che su questa storia ci faranno anche un film!», si lamentò il difensore di qualche imputato. «Magari!» replicò l’avvocato dei Cucchi, Fabio Anselmo, altro personaggio che si muove tra le pagine del libro con un ruolo di primo piano. Perché è grazie alla pubblicità voluta dalla famiglia, alla volontà di tenere desta l’attenzione di chi rimaneva fuori dalle aule di tribunale, che a sette ani di distanza c’è ancora la speranza di arrivare a una versione credibile di ciò che è successo, e individuare i responsabili.
Bonini ripercorre i principali punti di svolta di un percorso lungo e accidentato. Dalle incongruità della notte dell’arresto alla settimana in cui Cucchi è rimasto segretato, privato non solo della libertà ma anche dei diritti che invocava inutilmente: per esempio il colloquio con un avvocato; dalle manovre per lasciare nell’ombra chi lo aveva avuto tra le mani nelle prime ore, all’inutile processo agli agenti di custodia, viziato da consulenze e perizie che si ostinavano a negare ogni relazione tra le percosse subite da Cucchi e la sua morte. Per mettere a tacere il corpo e occultare il reato; andando a ripescare testi medici dell’Ottocento sulla morte per fame come durante le carestie, o gli studi sulla fine inflitta ai prigionieri dei campi di sterminio, lasciati senza cibo né acqua.
Poi è arrivata la nuova indagine sui carabinieri, innescata dalle rivelazioni di due colleghi ai Cucchi e portata avanti da magistrati diversi della Procura di Roma, con metodi ereditati dalle inchieste sulla criminalità organizzata grazie ai quali è caduto il muro di omertà eretto intorno alla cattura di Stefano. Ma anche queste nuove prove, su cui verosimilmente si imbastirà un nuovo processo, dovranno fare i conti con una nuova perizia sulle cause della morte, che stavolta ha tirato in ballo un presunto quanto incomprensibile attacco epilettico. E sarà l’ennesima battaglia legale.
Il corpo del reato si chiude riproponendo un paragone con l’omicidio consumato al Cairo poco meno di un anno fa: il paradosso di una verità nascosta alla luce del sole. Ma il caso Cucchi è ancora aperto. Come il caso Regeni.