Corriere 14.12.16
La stagione che è finita
di Antonio Polito
Rifiutandosi
di entrare nella Terra Promessa da Renzi, gli elettori hanno forse
scritto la parola fine sulla Seconda Repubblica. Il referendum
costituzionale può assumere il valore storico che ebbe quello sul
divorzio nel 1974: la chiusura di un’era. Per la verità gli italiani ci
avevano provato già nelle elezioni politiche del 2013, mandando in
frantumi il bipolarismo. Ma Renzi si inserì abilmente e velocemente nel
vuoto di potere.
C osì illuse se stesso e tutti noi che fosse
possibile riesumare, stavolta con un volto più giovane, la salma di un
sistema politico che aveva fatto il suo tempo.
La Seconda
Repubblica ha avuto infatti quattro tratti distintivi: era fondata sul
leaderismo, tenuta in piedi dal maggioritario, ingessata in due
coalizioni, nutrita dallo strapotere della tv. Nessuno di questi
pilastri ha resistito allo tsunami della crisi.
Il primo
comandamento dell’epoca politica iniziata nel 1994 era il leaderismo, e
diceva che il capo della coalizione di maggioranza, il cui nome venne
scritto sulla scheda elettorale, è automaticamente il capo del governo,
perché quest’ultimo non si elegge più nel Parlamento ma direttamente
nelle urne. Così è stato tre volte con Berlusconi e due volte con Prodi.
Dopo la pausa di Monti e Letta, Renzi ha tentato di ripristinare il
dogma pur senza passare per il voto popolare. È finita invece come ai
tempi della Dc: Gentiloni a Palazzo Chigi nel ruolo di un Goria, un
governo balneare a Natale che tiene il posto al prossimo, mentre il
potere e la lotta per acquisirlo si spostano nel partito.
Il
secondo comandamento era il maggioritario, condizione essenziale del
leaderismo. Ma il maggioritario non esiste più nella versione del
Porcellum, perché lo ha raso al suolo la Consulta per la sua
incostituzionalità; non esiste ancora nella versione dell’Italicum, né
forse esisterà mai perché ripudiato già da tutti e sub iudice; e non
facilmente potrà risorgere nella versione del Mattarellum, che per
tornare avrebbe bisogno di coalizioni che non ci sono più.
Erano
appunto le coalizioni il terzo comandamento: tutti insieme contro il
nemico comune. Ma da quando ci sono su piazza i Cinque Stelle il nemico
non è più comune per nessuno, ciascuno ne ha almeno due, e dunque ognuno
per sé. È per questo che la prossima legge elettorale rischia di
essere, in ogni caso, più proporzionale di tutte le precedenti. È per
questo che il centrodestra è diviso in tre tronconi al momento
inconciliabili. Ed è per questo che il Pd è rimasto solo, senza uno
straccio di alleati.
Infine il quarto comandamento: se occupi le
tv e sei un buon comunicatore, vinci le elezioni. Con Berlusconi
funzionò, anche perché lui era padrone della materia. Con Renzi ha
funzionato per un po’. Al referendum ha invece funzionato a rovescio.
L’occupazione militare delle tv da parte del premier ha generato
fastidio, intolleranza e rigetto. Mentre i social hanno dato il mood
alla campagna, definendo l’umore del Paese e alimentandolo. Cosa analoga
a quella che è successa in America, dove la vittoria dell’outsider
Trump è stata cucinata sul web.
Tutto questo ha conseguenze
politiche immediate per il Pd. Quel partito è infatti nato nella e per
la Seconda Repubblica, si è modellato su di essa per competere con
Berlusconi che l’aveva inventata, e perfino il suo statuto e le sue
regole interne (lo ha notato ieri acutamente Francesco Cundari sull’
Unità ) sono costruite sul titanismo autosufficiente del leader, una
specie di «berlusco-nismo democratico», in cui il partito serve solo
come strumento elettorale del capo. Ora che l’habitat naturale in cui
era nato il Pd si è dissolto, suona stanca, se non patetica, l’idea che
si possa ricominciare daccapo nel solito modo. Primarie e camper sono,
prima di tutto nell’immaginario collettivo, come mobili di modernariato:
eleganti e carini, ma vecchi. Radicamento sociale e social, gioco di
squadra invece di idolatria del capo, freschezza di idee e proposte per
il futuro al posto di difesa puntigliosa di mille giorni di governo che
sono ormai passati e anche elettoralmente bocciati, richie- dono una
trasformazione radicale del Pd che francamente non è alle viste.
Attenzione, perché nel falò della Seconda Repubblica è già sparito il
Pdl, non è affatto detto che il Pd ce la faccia. Certo non ce la farà se
continua a considerare la sconfitta referendaria come una specie di
accidente, di evento atmosferico disgraziato che ha solo momentaneamente
fermato l’irresistibile ascesa di Renzi.