Corriere 7.12.16
Roth, Francesco Giuseppe e la patria ritrovata
di Gian Antonio Stella
I
l grande Joseph Roth, «scrittore austriaco, morto in esilio» come
ricorda la lapide al Cimitero parigino di Thiais, avrà sorriso di
sollievo davanti alla netta vittoria alle presidenziali austriache del
verde europeista Alexander Van der Bellen contro il candidato della
destra nazionalista e xenofoba Norbert Hofer. E con lui avrà sorriso il
conte Franz Xaver Morstin, il nobiluomo galiziano di lontana origine
italiana protagonista dello struggente Il busto dell’Imperatore. Quello
straordinario personaggio attraverso il quale Roth raccontò quale fosse
il suo rapporto con la sua «patria», l’Austria, avrebbe colto subito la
coincidenza di date tra il centenario della morte di Francesco Giuseppe,
a fine novembre 1916, e questa vittoria elettorale. Dopo la sua morte,
infatti, il conte Franz Xaver Morstin decide di dare una dignitosa
sepoltura, in giardino, al busto dell’amato sovrano spiegando le ragioni
della sua amarezza con parole indimenticabili: «I capricci della storia
hanno distrutto anche la gioia personale che veniva da ciò che io
chiamavo patria. Ai loro occhi io sono considerato un cosiddetto
Vaterlos, un senza patria. Lo sono sempre stato. Ahimè! C’era una volta
una patria, una vera, una cioè per i senza patria, l’unica possibile.
Era la vecchia monarchia; ora sono un senza patria che ha perduto la
vera patria dell’eterno viandante». Poche righe su Wikipedia ed è tutto
chiaro: «Francesco Giuseppe I d’Austria, (in tedesco: Franz Joseph I von
Österreich, in ungherese: I. Ferenc József, in ceco: František Josef I,
in slovacco: František Jozef I, in polacco: Franciszek Józef I, in
croato: Franjo Josip I, in sloveno: Franc Jožef I, in serbo Franjo
Josif, in rumeno: Francisc Iosif I, in friulano: Francesc Josef, in
ucraino: Franc Josyf). Come poteva, un uomo chiamato con dodici nomi,
esser ridotto in un rancoroso angoletto nazionalista? «Nessuna virtù ha
stabilità in questo mondo eccettuato una sola: l’autentica devozione. La
fede non ci può ingannare perché non ci promette nulla sulla terra»,
spiega il vecchio conte. «Applicato alla vita dei popoli ciò significa
che invano essi ricercano le cosiddette virtù nazionali. Per questo io
odio le Nazioni e gli stati nazionali. La mia vecchia patria, la
monarchia sola era una grande casa con molte porte e molte stanze per
molte specie di uomini. La casa è stata suddivisa, spaccata, frantumata.
Là io non ho più nulla da cercare. Io sono abituato a vivere in una
casa, non in una cabina».