Repubblica 6.11.16
Soldato Fox in trincea contro i liberal
di Vittorio Zucconi
LA
GUERRA DEL SOLDATO FOX COMINCIA ALL’ALBA, alle sei di ogni mattina
quando la prima bionda in minigonna e i suoi due compagni di battaglia
maschi e garruli sempre in completo blu, camicia e cravatta lanciano dal
divano dello studio le prime bordate contro l’eresia “liberal”
progressista e politicamente corretta che minaccia la grandezza
dell’America. Con Manhattan che si stiracchia alle loro spalle e i primi
turisti che si raccolgono per un brivido di anonima celebrità in
diretta davanti al Rockefeller Center dove il programma va in onda,
Steve, il sessantenne tinto biondo che da vent’anni si finge il ragazzo
di campagna un po’ ingenuo, Brian il moretto ricciuto, la sua
controparte che recita il copione del furbetto e Ainsley, l’ultima simil
Barbie entrata in scena quando le altre sono via via scadute per
raggiunti limiti di apparenza, recitano l’immancabile copione quotidiano
di denunce, scandali, sdegno e collera contro i Democratici.
Fox
and Friends, in onda dal 1998 e dominatore degli show del mattino nelle
tv “all news” via cavo, è il volto soft della feroce macchina di
propaganda politica e, in questo autunno 2016, anche elettorale che
Rupert Murdoch, lo squalo australiano dei media, affidò trent’anni or
sono al formidabile e corpulento “guru” reaganiano Roger Ailes. In pochi
anni, da sette milioni di case raggiunte inizialmente, Ailes seppe
portare la voce dell’America più rabbiosamente conservatrice,
quell’America che ha votato per Donald Trump, ai novantaquattro milioni
di oggi. Un successo che ha scavalcato concorrenti come la Cnn o la
Msnbc, equivalente “liberal” della Fox News Network e finora ha
resistito anche alla defenestrazione di Ailes, sorpreso a pretendere
dalle sue attraenti giornaliste alle quali ordinava di accorciare le
gonne, molto più di un sorriso per firmare un contratto. Il palinsesto
quotidiano della Fnn è una scansione perfetta di personalità,
scenografia, toni scelti per accompagnare l’umore di un’America che,
prima della Fox, si considerava orfana di informazione e intrattenimento
televisivo di destra. Dopo i tre amigos del primo mattino e la dose
massiccia di ospiti e teste parlanti chiaramente targati Repubblicano,
convocati per denuciare le malefatte dei progressisti e per insinuare
dubbi sulla legittimità del presidente in carica se Democratico, la
programmazione riposa sulla bonaccia della seconda mattinata e del primo
pomeriggio, quando l’audience tv si assottiglia. Le signore della mezza
giornata, Jenna Lee, Sandra Smith, Martha MacCallum sono fisicamente e
ideologicamente meno aggressive, per non infastidire il pubblico
largamente femminile che le segue da casa e con i loro co-anchor maschi
fingono meglio di aderire al motto fondante della rete, Fair and
Balanced, equilibrata e onesta. Gli studi sono più sobri
nell’illuminazione, le voci meno stridule, le gambe di donna meno in
mostra, nonostante le sfuriate di Roger Ailes che gridava ai produttori:
«Non spendo soldi in scrivanie e tavoli di vetro per vedere pantaloni
di tailleur». È nel tardo pomeriggio e all’imbrunire che la cavalleria
della paranoia ultraconservatrice viene lanciata e la sottocultura del
Grande Complotto antiamericano dei progressisti può dispiegarsi. È il
momento delle star della rete Fox, come la — naturalmente — biondissima
Megyn Kelly, la brava giornalista italo-americana che esplose in video
quando osò fare a Trump la domanda sul suo dichiarato disprezzo per le
donne, “disgustose, maiale e cagne”, acquisendo una credibilità
professionale rara in quella rete. Megyn invade il teleschermo, incalza
gli intervistati, osa fare obiezioni anche agli agit prop repubblicani,
ma senza spiazzarli. Per trattenerla alla Fox, Murdoch le ha offerto,
senza sottintesi, un ingaggio da campione dello sport: venti milioni di
dollari.
Dopo di lei, la battaglia raggiunge il climax di ascolti e
popolarità con Bill O’Reilly e la sua No Spin Zone, l’ora nella quale
l’apprezzata faziosità della Fox raggiunge il massimo degli ascolti con
2,7 milioni e l’apice del paradosso: O’Reilly si presenta come colui che
ferma lo spin, il giro dato a fatti e notizie dai politicanti per fare
propaganda, facendo lui la stessa operazione, in direzione contraria.
Senza nessuna concessione scenografica, sopra una scrivania di legno,
non avendo Bill niente da far vedere, e una mimica fra il disgustato e
il sardonico, fra lo sdegnato e il divertito, O’Reilly è l’Uomo
Qualunque, sbigottito di fronte all’incoerenza e all’ipocrisia.
Naturalmente degli altri.
A tarda sera, l’ultima stoccata spetta
al più dichiaratamente, sfacciatamente partigiano fra i militanti
dell’Armata Fox, a Sean Hannity che neppure finge di essere “equo ed
equilibrato”. Fan di Donald Trump dalla prima ora, anche quando il resto
della redazione e il quartier generale erano antitrumpisti, la sua ora è
una lunga e intensa arringa contro tutto ciò che appaia ai suoi occhi
vagamente progressista, di fatto comunista. È il preferito di Trump, che
lo chiama a testimone della propria grandezza nei comizi e raccatta
tutti i pettegolezzi, i gossip, le maldicenze che brontolano nel ventre
dei social network, senza pretesa di accuratezza o fondatezza. In
campagna elettorale, diffuse una miniclip video che sembrava mostrare
una Hillary Clinton sbronza. Era un fake e Hannity si giustificò
spiegando che «era uno scherzo».
Ma intanto un’altra insinuazione,
un’altra calunnia era arrivata a segno con i consumatori della Fox,
eternamente persuasi che gli altri, gli avversarsi dell’America per
bene, eterosessuale, bianca, devota, nascondano ignobili segreti. E a
mezzanotte, con l’ultimo assalto di Sean Hannity, la giornata del
Soldato Fox è finita. Ricomincerà sei ore dopo, con i tre amigos, i due
Ken e la Barbie: il biondo, il bruno, la bionda in mini, perché la
fatica dei supereroi per salvare la loro America non è mai finita.