Repubblica 5.11.16
Istanbul, lettere dal carcere “Così distruggono la Turchia”
Sono centinaia gli intellettuali e i giornalisti imprigionati con le accuse di propaganda o terrorismo
Dietro pietre e filo spinato questa nazione lascia avvilire la coscienza con brutalità
“Si cerca di uccidere la verità. Il mio Paese è fuori controllo e sta precipitando verso l’autodistruzione”
di Marco Ansaldo
«SALVE.
Dalle nostre celle vi diciamo: la Turchia sta andando verso
l’autodistruzione ». Da Solgentsijn a Silvio Pellico, che cosa può fare
uno scrittore quando è in prigione? Verga a mano, se ne ha la
possibilità, i propri pensieri, anche semplici lettere. E, se può
ancora, li fa uscire.
Così accade in questi mesi per le centinaia
di giornalisti, scrittori, editori, traduttori, linguisti, interpreti,
artisti, registi, tutti incarcerati assieme ad altre 35 mila persone,
dopo il fallito golpe dello scorso luglio. Sono accusati dei crimini più
vari: di affiliazione al movimento dell’imam Fethullah Gülen,
considerato dal presidente Tayyip Erdogan come la mente del putsch; o di
propaganda a favore del Partito dei lavoratori del Kurdistan, ritenuto
un’organizzazione terrorista. In attesa di processo, a volte ancora
senza avvocati dopo il decreto che due giorni fa ha stabilito che gli
accusati di crimini per terrorismo non possano incontrare per molte
settimane i propri legali, nel chiuso delle loro celle si siedono e
scrivono.
LA VIOLENZA
Cumhuriyet, il quotidiano laico della
sinistra turca, falcidiato giorni fa dagli arresti di direttore,
editore, commentatori, vignettisti e cronisti, ma ancora in edicola, ha
pubblicato una lettera di solidarietà pervenuta dalla scrittrice Asli
Erdogan (nessuna parentela con il Capo dello Stato). Questa: «Salve,
abbiamo saputo degli arresti a Diyarbakir (dei due sindaci della città
curda, ndr) e la mattina è cominciata con la notizia del raid a
Cumhuriyet!
Ho visto Aydin Engin (drammaturgo e opinionista,
ndr)
nelle mani della polizia. Mi sono vergognata profondamente… Poi anche
Turhan Gunay (capo del settore cultura di un quotidiano di altissimo
livello letterario, ndr) preso in custodia! Né il colpo di Stato del 12
maggio 1971 né quello del 12 settembre 1980 avevano fatto tanto strame
della legge, con un tale risentimento verso giornalisti e scrittori! Non
hanno rispetto per niente e per nessuno, per la sola ragione di poter
dire: “Siamo uno stato di polizia!”. Tutti quei valori guadagnati
attraverso secoli di sacrifici e bagni di sangue: democrazia, diritti
umani, libertà di pensiero e di espressione e soprattutto il diritto
alla vita! La Turchia sta precipitando, fuori controllo, e andando verso
la propria autodistruzione a piena velocità… Saluti a tutti gli
scrittori e impiegati di Cumhuriyet, noi siamo con voi. Con amore. Asli
Erdogan».
Dalla stessa prigione di Silivri, a Istanbul, ha scritto
il linguista Necmiye Alpay: «Cari tutti, spero che tutti i colleghi di
Cumhuriyet superino presto questo momento. È davvero un’azione oltre
ogni attesa. Aydin Engin ha avuto di recente un’operazione. A dire il
vero, gli articoli e l’intera situazione del giornale sono un onore per
questi tempi, e tutti li insultano…».
Dice Can Dundar, l’ex
direttore di Cumhuriyet, dal suo esilio in Germania: «L’Europa deve
prendere una decisione: vuole vedere la Turchia come un regime
oppressivo in Medio Oriente, oppure come un paese democratico, secolare,
libero? Non stanno cercando solo di cancellare un giornale, ma una
professione intera».
Il mese scorso, al primo giorno della Fiera
di Francoforte, il direttore degli Editori e dell’Associazione dei
Librai tedeschi, Heinrich Riethmüller, aveva letto una lettera di Asli
Erdogan, che gli era stata recapitata: «Dietro pietre, cemento e filo
spinato — come da un pozzo — vi chiamo: qui, nel mio paese, si lascia
avvilire la coscienza con un’inimmaginabile brutalità. Si cerca di
uccidere la verità, la coscienza viene calpestata con una brutalità
incredibile». Commentava Riethmüller, tra la commozione e gli applausi:
«Anche se non so come, la letteratura è sempre riuscita a superare i
dittatori».