Repubblica 26.11.16
Le occupazioni delle scuole
La lotta politica che si trasforma nella battaglia per sopravvivere
di Marco Lodoli
A
quanto pare quest’anno le occupazioni delle scuole sono state un flop:
pochi istituti chiusi con i catenacci e autogestiti dagli studenti, solo
qualche timido tentativo rientrato in fretta, come se mancasse la
convinzione, come se questa non fosse più la stagione della protesta e
della militanza politica. Per chi lavora nella scuola, a contatto
quotidiano con i ragazzi, non è una sorpresa. Le occupazioni degli
ultimi anni sembravano un rito da ripetere quasi per forza, per non
essere da meno rispetto alle generazioni precedenti, per non deludere,
ma le motivazioni erano sempre più confuse, la maggior parte degli
studenti non sapeva nemmeno perché bisognasse interrompere le lezioni e
asserragliarsi nella scuola. O meglio: capivano che la politica era solo
un pretesto vaghissimo, e che ciò che contava davvero era solo stare
insieme agli amici in uno spazio sottratto al controllo degli adulti. Si
inventavano corsi di chitarra, lezioni di rock o di ballo, di
sessuologia o di cucina, si improvvisavano tornei di calcetto in
cortile, ma in fondo l’unica cosa importante era rivendicare una
libertà, un’indipendenza, una diversità. A volte gli studenti
richiamavano i professori pregandoli di spiegare gli anni di piombo, la
vita di Che Guevara o dei belli e dannati del rock anni Settanta, perché
il senso di vuoto e di noia gelava i corridoi.
Insomma, si
fingeva di protestare contro la riforma della Gelmini o contro la Buona
Scuola, ma in realtà nessuno ne sapeva un accidente: ciò che si cercava
era solo l’emozione di creare un regno indipendente, un luogo felice
dove i grandi non potessero entrare con le loro pretese e le loro
regole. Passare la notte lontano da casa, dormire in sacco a pelo nella
classe svuotata dai banchi e dai doveri, chiacchierare di tutto e di
niente fino all’alba, magari scolandosi qualche birra e facendosi
qualche canna: questo era il brivido da inseguire. Perché a volte i
ragazzi intuiscono che la nostra società li considera poco, li obbliga a
essere solo dei consumatori passivi, degli spettatori, delle comparse
sullo sfondo della storia, e allora provano a ritagliarsi spazi tutti
loro, dove “andare a comandare” e sognare di essere protagonisti.
Nessuno si sente più comunista o fascista, nessuno ha letto Marx o
Evola, ma tutti vorrebbero vivere una settimana alla grande, immaginarsi
adulti e responsabili, capaci di strappare e gestire una libertà nuova e
consapevole. È uno slancio sincero, ma sempre più fiacco, perché negli
studenti cresce la paura di perdere le ore di scuola, di restare
indietro, di sprecare il tempo. Il mondo ormai è competizione, selezione
feroce, mercato spietato, i genitori temono che i loro figli restino
esclusi, non è più il momento per occupare e rivendicare un’altra vita.
Questa è l’epoca della lotta, ma non più quella politica, solo lotta per
la sopravvivenza. Così l’occupazione è stata sostituita dalla
preoccupazione.