giovedì 24 novembre 2016

Repubblica 24.11.16
E il giudice disse no alla doppia stepchild
Una sentenza in controtendenza rispetto a diverse altre emesse nei mesi passati. Il “no” del Tribunale dei minorenni in 22 pagine
di Piero Colaprico

MILANO UNA coppia, formata da due donne, si è vista respingere la doppia richiesta di adozione dei figli. Con la motivazione che «non esiste il diritto all’adozione », Milano ha giudicato in modo diametralmente opposto a quanto accaduto a Roma, dove era stato dato, invece, il via libera. Il buco legislativo, che si è creato con lo stralcio della cosiddetta stepchild adoption dalla legge Cirinnà, ha dato origine a questa dolorosa incertezza. Vediamo i fatti, usando come d’obbligo nomi inventati.
LO SCORSO aprile la signora Alba ha chiesto di adottare la figlia biologica della signora Bice. E, un secondo dopo, anche Bice ha presentato ricorso per adottare la figlia di Alba. Le due bimbe sono minorenni. I ricorsi sono stati riunificati e si è svolta un’indagine: Alba e Bice si sono frequentate dal 2002, dal 2005 sono andate a vivere insieme. Nel 2010 hanno scelto una fecondazione assistita per Alba: è nata la prima figlia.
Con il seme dello stesso donatore, seconda fecondazione assistita per Bice. Nasce la seconda bambina. Alba e Bice condividono sentimenti, problemi di salute, baby sitter, abitazione; si sono iscritte nel registro delle unioni civili; le due famiglie d’origine le sostengono. Il Servizio adozioni va a controllare le loro storie e scrive un’analisi ufficiale, «positiva ».
Anche «le bambine — si legge — sono parse serene nella relazione con entrambe, curiose e riflessive sulla situazione familiare, notando differenze rispetto ad altri nuclei». Quindi, tutto okay: Alba e Bice vogliono adottare le bambine perché siano sorelle, e dunque non siano separabili dagli eventi della vita burocratica e possano ereditare in egual misura dalle loro «mamme incrociate». Lo stesso pubblico ministero, basandosi sulla sua interpretazione della legge, dà parere positivo.
Sembrerebbe fatta. Ma il tribunale dei minorenni, composto da due giudici togati e da due onorari, dice di no. Rigetta il ricorso. E, in una sentenza di 22 pagine, fitte e dense, di grande precisione giuridica, spiega il perché del no milanese.
Lo fa partendo da una premessa concreta, e cioè che la legge italiana «conosce due forme di adozione». Innanzitutto, l’adozione non è un benefit per i genitori, ma è «consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità». E, senza eccedere in tecnicismi, per il fondamentale articolo 8, adottabili sono quei «minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale». Si chiama, questa, «adozione legittimante».
Eccezioni? Sono possibili in base all’«ex art 44» alcuni casi speciali, al di fuori della «legittimante». Si può ugualmente adottare: quando c’è un «vincolo », per esempio dopo un lungo periodo di affidamento. Quando un coniuge adotta il figlio adottato dall’altro coniuge. Quando un disabile sia privo di genitori. Quando non è possibile un «affidamento preadottivo». E, dunque, che cosa si può fare nel concretissimo, umanissimo, delicatissimo caso delle «mamme incrociate» che hanno scelto e vissuto insieme due gravidanze «in famiglia»?
A pagina 15 emerge il confine: «L’adozione è un istituto giuridico che prescinde dal dato biologico e richiede, quindi, un modello giuridico di riferimento». E siccome «non può riconoscersi — dice il tribunale — alcuno stato di abbandono materiale o morale delle minori, che anzi godono certamente (...) di particolare attenzione da parte sia delle madri biologiche che delle rispettive compagne», ogni «orientamento estensivo» si scontra contro lo spirito e gli articoli delle leggi sino ad oggi in vigore.
E, pur analizzando cavillosamente le sentenze romane e la giurisprudenza il tribunale dei minori, va ricordato che la corte di Strasburgo «ha sempre negato l’esistenza di un diritto ad adottare» e ha ripetuto che «spetta allo Stato regolare l’adozione».
Nella recente legge Cirinnà, che si occupa delle unioni civili, è precisato che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti ». Questa formula, e cioè «la dizione “resta fermo” non può certamente essere intesa — dice la sentenza — nel senso di introdurre una nuova normativa». Le due mamme, A. e B., adesso, che faranno?