Repubblica 1.11.16
Ue, i passi indietro
di Massimo Riva
I
SEGNALI di un sempre più rapido processo di regressione in corso nella
vita istituzionale dell’Unione europea si stanno, purtroppo,
moltiplicando. E il peggiore non è neppure dato dall’incurante
negligenza con la quale sia Bruxelles sia le principali cancellerie
fanno soltanto finta di occuparsi della spinosa e però ineludibile
questione dei migranti. Già la dice lunga, per esempio, l’inerte
silenzio con il quale si segue lo scontro in atto sulla materia fra
Budapest e Roma come se si trattasse di un marginale contenzioso
bilaterale. In tempi di maggior fervore europeista il rifiuto magiaro
all’accoglienza (con tanto di filo spinato alle frontiere) avrebbe
comportato severe condanne e acconce sanzioni. Così come la seppur
virtuale minaccia italiana di un veto al futuro bilancio comunitario
avrebbe suscitato un certo allarme. Ora nulla di nulla, né in un senso
né nell’altro.
Ciò che più fa riflettere in questo clima di
diffusa acquiescenza agli eventi, quali che essi siano, è la mancanza di
iniziative da parte della Commissione di Bruxelles. Un vuoto che non
nasce per caso, ma dall’opera di crescente delegittimazio-ne del suo
ruolo e dei suoi poteri che, dossier dopo dossier, viene svolta dai
governi nazionali: sempre più decisi a riportare sia il presidente
Juncker sia i suoi commissari alla funzione di meri burocrati esecutivi
delle scelte o non scelte del Consiglio dei ministri dell’Unione. Con
l’evidente, sebbene dai più dissimulato, obiettivo di spazzare via ogni
ambizione federalista per sostituirla con un governo dell’Unione fondato
sulle intese politiche fra singoli Stati.
Finora si poteva
pensare che un simile esito disgregante fosse quello perseguito soltanto
dal piccolo manipolo dei Paesi del cosiddetto Quartetto di Visegrad:
Cechia, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Adesso a questo coro di tenorini
discordanti si è però sovrapposto il timbro baritonale del
Finanzminister tedesco che, gettando l’ultima maschera, ha lanciato un
minaccioso siluro contro la maggiore funzione esercitata dalla
Commissione di Bruxelles. A Wolfgang Schäuble non piace come Juncker e
colleghi gestiscono il loro potere discrezionale di controllo sui
bilanci dei singoli Paesi. Li ha accusati di arrogarsi un ruolo
“politico” e perciò ha proposto che questa funzione venga spostata nelle
mani dei ben più deferenti burocrati del Meccanismo di stabilità
europeo.
Che il ministro tedesco concepisca il Fiscal compact e i
vincoli di bilancio come una sorta di Vergine di Norimberga dentro la
quale ingabbiare ogni deviante, costi quel che costi, è cosa arcinota.
Ma, in questa fase critica del progetto europeo, la sua mossa rivela il
preciso intento di requisire i pur già limitati poteri “federali”
devoluti alla Commissione di Bruxelles per riportarli in capo al
Consiglio dei ministri dell’Unione. Ovvero nella sede dove contano
soprattutto i rapporti di forza e gli equilibri politici dentro e fra i
singoli Stati. Non solo un passo indietro nella costruzione unitaria, ma
un regalo straordinario a quei movimenti antieuropei che aspettano
soltanto di potersi infilare dentro un cavallo di Troia che consenta
loro di demolire le istituzioni dell’Unione operando più agevolmente
dall’interno. Altro che con Budapest, è sempre con Berlino che anche
Roma deve regolare i conti.