Repubblica 19.11.16
Walter Veltroni
L’ex leader Pd: “Voto Sì ma non partecipo alle lacerazioni. Paura e povertà, rischio autoritario in Occidente”
“Democrazie fragili se la sinistra si divide o insegue i populisti rischia di sparire”
intervista di Stefano Cappellini
ROMA.
Brexit, Trump, referendum italiano. La sequenza che spaventa molti,
dice Walter Veltroni, non è una questione che possa essere risolta con
un Sì o con un No nella cabina elettorale. L’ex segretario del Pd ha
annunciato il suo voto favorevole alla riforma costituzionale. Ma la
baruffa in corso gli appare il sintomo di una vocazione al suicidio
politico. Sostiene Veltroni: «Il problema non è l’Italia, ma il tramonto
della sinistra in tutto l’Occidente. O ci si mette mano o finisce male.
Molto male». Il che, spostato sul fronte nazionale, significa
immaginare un appuntamento per il dopo referendum: «Le migliori
intelligenze devono guardarsi negli occhi e trovare le parole per
costruire insieme una interpretazione riformista della realtà, senza la
quale ogni personalizzazione è peggio che dannosa, è inutile».
Quale interpretazione suggerisce?
«La
sinistra deve seguire due bussole: il bisogno di riscatto di chi sta ai
margini e il bisogno di sicurezza di chi sta in mezzo. Nella storia,
quando la classe media si è sentita perduta non ne è mai venuto nulla di
buono. Siamo cresciuti in un mondo basato su cinque pilastri - studio,
lavoro, famiglia, casa, pensione – che si sono sgretolati. Questa è la
prima generazione nel dopoguerra che scende di un gradino invece di
salire ».
Il problema è che, dagli Usa all’Europa, chi è in difficoltà sempre meno si rivolge alla sinistra.
«Se
c’è un posto dove la sinistra non può non stare è il disagio sociale.
Si abbinano la più lunga recessione della storia e la più grave crisi
dei sistemi democratici, persino negli unici due Paesi – Usa e Gran
Bretagna – in cui non c’è mai stata una dittatura. L’inesperienza è oggi
considerata un valore: Trump è arrivato così al mestiere più complicato
del mondo. La paura che si sta diffondendo ha sempre prodotto
autoritarismi, perché in queste fasi la società tende a soluzioni di
tipo semplificato».
C’è il rischio che la sinistra rincorra queste
semplificazioni? “Contro i politici attaccati alle poltrone”, è uno
slogan usato nella campagna del Sì come in quella del No. E non è
l’unico esempio.
«La sinistra in difficoltà ha questo riflesso
pavloviano: da una lato pensare che il modo migliore di risalire sia,
non guadagnare l’altra sponda, ma tornare alla foce del fiume, a un
passato ideologico che, non lo si vuol capire, non esiste più.
Dall’altro, l’omologazione alla Zelig, nel senso del film di Woody
Allen. Io per esempio non ho condiviso la scelta di Renzi di togliere la
bandiera europea, che ieri ho visto tornare alle sue spalle. Penso sia
un errore, una concessione all’antieuropeismo. Se la sinistra si fa
variabile di un discorso populista, è morta. Si rischia la Germania di
Weimar».
Nell’Italia di oggi significa un governo Salvini?
Grillo?
«Attenzione
a fare di tutti i populismi un unico fenomeno. Quando sento dire
Trump-Le Pen-Wilders- Grillo penso che ci sia una semplificazione
propagandistica. Tra gli elettori di Grillo ci sono molti ex del Pd che
chiedono solo più moralità pubblica e più attenzione a chi è escluso».
Grillo dice che sinistra e destra non esistono più.
«Dissento,
naturalmente. Ma la sinistra deve cambiare. Sono cambiati i modi di
produzione, di comunicare, cambiano le relazioni umane... Voglio citare
il titolo di un film, Spara forte, più forte non capisco, l’ultima
pellicola di Eduardo De Filippo, uomo di sinistra e di popolo. Ecco,
cosa altro deve succedere perché capiamo che è cambiato tutto? La
sinistra ha cambiato il mondo, conquistato diritti e fatto vivere meglio
milioni di uomini. La mia paura è che oggi non sia capace di stare
dentro il suo tempo ».
Altri sostengono che c’è stata fin troppo, barattando “modernità” e disuguaglianza.
«La
modernità non è il balletto Excelsior come forse qualcuno ha pensato
negli anni Novanta. Non è assecondare una globalizzazione che ha fallito
o aumentare la distanza tra la testa della società e la coda. La
sinistra deve tornare, da riformista, a farsi popolo. Viviamo nella
società dell’istante, un presentismo esasperato che nega la coscienza
del passato e il desiderio di futuro e rifiuta i due elementi chiave
della democrazia: la delega e la processualità, presentata come una
lentezza, un orpello, una fatica.
Si è accorto che sono alcuni degli argomenti con cui il No si oppone alla riforma della Costituzione?
«No,
io dico quello che penso con la libertà che discende dalla mia scelta
di vita. Dico che la cruna dell’ago è molto stretta. Il cambiamento
serve. Ma deve correre su un doppio binario: rafforzamento delle
capacità di decisione del governo e rafforzamento delle capacità di
controllo del Parlamento. Altrimenti, la democrazia vacilla».
Democrazia senza partiti veri: può funzionare?
«Viviamo
una società fortemente individualizzata. La democrazia della Rete è il
trionfo dell’Io. Non si può decidere tutto sull’asse Stato-privati.
Occorrono forme intermedie nelle quali la società si organizza e si
responsabilizza. La disintermediazione è pericolosissima. Ci vogliono
nuove forme di democrazia di comunità».
Renzi è stato un teorico della disintermediazione.
«Se
è così, non è stato il primo. Personalizzare, ripeto, non ha senso. Non
partecipo al gioco del tiro all’orso sul segretario di turno».
Allora tiriamo sul suo Pd. Primarie per la leadership e partito liquido, non era questa la ricetta?
«Io
non ha mai usato espressione “partito liquido”. Ho sempre parlato di
partito aperto. Radicato nel territorio, ma non in mano a correnti e
capibastone. E me ne sono andato quando ho visto che il Pd non andava
nella direzione sperata».
La situazione non sembra migliorata.
«Penso che una lacerazione nel più grande partito della sinistra sarebbe oggi una tragedia per la democrazia italiana».
Ha sentito De Luca su Bindi?
«Le
parole hanno perso il loro peso. Il Pci aveva tanti difetti, su questo
però era una grande scuola. Nel mio documentario su Berlinguer,
Napolitano si commuove parlando di un leader con cui pure ebbe forti
scontri politici. C’era un rapporto di solidarietà umana che si è
perduto. Io con D’Alema ho discusso una vita, e continuo a farlo, ma mi
lega a lui un rapporto di stima».
Il nome di D’Alema viene usato in piazza per scatenare l’ululato.
«E
dall’altra parte viene usato quello di Renzi con aggettivi
inaccettabili. Il partito del “fuori-fuori” e quello del tiro all’orso
si somigliano».
Come può un Pd in queste condizioni sopravvivere unito al referendum?
«Non
partecipo da molto tempo alla discussione interna al Pd. Dico solo una
cosa: la caduta di uno di pochi governi di centrosinistra rimasti in
Europa sarebbe molto grave. Vorrei che tutti se ne rendessero conto».