il manifesto 19.11.16
Dalla Carta nata dalla Resistenza allo Statuto albertino
Referendum.
Se vince il sì alle riforme, alla camera siederanno deputati di nomina
«regia», scelti dal governo e dai capipartito. E il nuovo senato non
elettivo indebolirà i diritti sociali
di Mario Agostinelli, Giuseppe Vanacore
In
base alla superiorità della Camera «elettiva» e l’invenzione di un
senato di nominati (camera di seconda mano) senza legittimazione
territoriale diretta, come si attuano i diritti sociali che la
Costituzione ha programmato nella prima parte e ha posto in gestione a
istituzioni locali autonome, partiti e forme associative riconosciute
nella seconda? Uno stravolgimento che determina la definitiva soluzione
di continuità con l’attività legislativa costituzionalmente orientata e
che a partire dagli anni ’60 aveva prodotto la legge sul divieto di
licenziamento (legge 604/66); lo Statuto dei lavoratori (legge 300/700);
la riforma delle Autonomie locali (legge 382/75); l’abolizione dei
manicomi (legge 180/78); la riforma delle pensioni, la riforma sanitaria
(legge 833/78). Tantissime le norme che condizioneranno in senso
negativo il nostro sistema democratico, con dissimulazioni che talvolta
appaiono come un vero e proprio raggiro.
Innanzitutto non è vero
che si abolisce il bicameralismo: è vero altresì che il senato non è più
elettivo. La ragione non emerge mai con chiarezza nei dibattiti: eppure
è semplice: l’articolo 57 della Costituzione attuale afferma che i
senatori sono eletti a suffragio universale su base regionale.
Questa
norma impedisce una legge elettorale con un premio di maggioranza a
livello nazionale. Ed è per questa ragione – di inconsistenza di
rappresentanza – che Renzi è approdato alla decisione di abolire
l’elezione diretta del senato, prevedendone invece la nomina da parte
dei consigli regionali. Ogni funzione del senato sarà così di puro
complemento alla dinamica partitico-politica in corso in quel momento,
senza alcun collegamento con la rappresentanza diretta e l’autonomia dei
territori.
Con questa riforma costituzionale i livelli essenziali
(non minimi!) di assistenza (Lea), enucleati della riforma sanitaria e
posti a presidio del diritto alla tutela universale della salute (art.
32 Cost.) non assurgono a criterio costituzionale e si riducono a una
scaramuccia tra il governo centrale e regionale all’atto della
finanziaria.
Fuorviante l’obiezione che elevarli a tale rango
rischierebbe poi di limitarli, perché è noto che i Lea rappresentano la
garanzia di uguaglianza su tutto il territorio nazionale, tanto che un
domani di fronte a tentativi di tagli – come è già successo –
costituirebbero una robusta difesa e un argine invalicabile sotto il
quale non sarebbe possibile andare. E’ bene sapere che il vincolo del
pareggio di bilancio in costituzione vuol dire, invece, che l’esercizio
di diritti fondamentali dipenderà dalle risorse correnti disponibili,
mentre l’individuazione delle prestazioni sanitarie e sociali essenziali
verrà affidata semplicemente ad un provvedimento amministrativo di
competenza del governo, con una funzione solo residua e
caritativo-compensativa delle Regioni. Sanità a gogò e privatizzazioni
quindi, come voleva Formigoni.
Con l’alibi della semplificazione,
si affidano alla legislazione esclusiva dello stato, la produzione, il
trasporto e la distribuzione nazionale della energia (materia finora
concorrente), nonché le infrastrutture strategiche e grandi reti di
trasporto e di navigazione. Anche il governo del territorio diventa di
competenza esclusiva dello stato, così come la tutela e la sicurezza del
lavoro (applicatelo alla TAV o alla discarica delle scorie, all’Ilva o a
Seveso!).
Di fatto alle Regioni – a parte pochi residui – non
spetterà la potestà legislativa sulla generalità delle materie: morte
quindi all’alternativa di società fatta di «formazioni sociali» e di
autonomie che sta scritta nella prima parte della Costituzione.
Ma
c’è un’ultima osservazione che non ci deve sfuggire, la guerra.
L’innovazione esplicita è che il senato, secondo l’articolo 78 della
nuova Costituzione, viene escluso dal partecipare alla deliberazione
della guerra e al conferimento al governo dei relativi poteri, in base a
una gestione riservata al primo ministro e ai suoi deputati. E ciò è
molto strano, perché il senato dovrebbe rappresentare le realtà
territoriali (anche se in forme non dirette), dove ci sono le case e i
corpi delle persone che più di tutti sarebbero colpiti dalla guerra.
Rendiamoci
conto di un tremendo paradosso: rimane il bicameralismo, quello dello
Statuto Albertino, ma con un rovesciamento. Con la riforma proposta, la
camera dei deputati diventa lei la camera alta. Con l’Italicum in essa
siederanno infatti dei deputati di nomina «regia», che cioè saranno
nominati dall’alto, ovvero dal governo e dai capipartito, e sarà così
assicurata la continuità del potere, e sotto l’ombrello dei minor costi
della politica, si farà garante che tutto resti com’è.
Il senato,
che si presentava come il punto forte della «riforma» rivela invece la
sua funzionalità a colpire la democrazia sociale della Costituzione
antifascista. Grazie a Renzi che ci sta dando tutto il tempo per
compiacerci del No.