Repubblica 19.11.16
Oltre Reagan
di Vittorio Zucconi
NELLA
House of Cards che Donald Trump sta costruendo per la sua Casa Bianca,
calano gli assi e i jolly della Destra più fanatica. Anziché formare
un’amministrazione di volti nuovi, come aveva fatto credere, fatta di
personalità estranee alla “politica politicante”, il Team Trump sta
raccogliendo i Revenant del reaganismo, i redivivi del bushismo neocon, i
“boiachimolla” dell’anti clintonismo più militante, i duri del Tea
Party e, se le voci dalla sua torre dorata di Manhattan sono vere,
addirittura un reduce della Goldman Sachs e del disastro dei mutui
subprime, Steve Mnuchin, per il Tesoro. Proprio un profittatore di quel
mondo della finanza rapace che i suoi elettori si erano illusi di
punire, votando Trump.
Se il classico detto del “dimmi con chi
vai” tradotto in “e ti dirò come governi” si conferma, le scelte fatta
finora dal presidente eletto — non ancora incoronato dai grandi elettori
in dicembre — raccontano di una sterzata all’estrema destra ideologica e
radicale che nessuno dei suoi predecessori repubblicani, neppure quel
Ronald Reagan considerato l’icona dei conservatori, aveva mai osato
compiere. Il suo Segretario alla Giustizia, il senatore Jeff Sessions
che fu il primo dei grandi e sornioni alligatori della palude politica a
dichiararsi per lui, si vide respingere dal Senato la nomina a giudice
federale per sospetti di razzismo nel 1986. Chiamò un giudice di colore
“boy”, l’appellativo sprezzante riservato ai servi neri e accusò un
avvocato di colore di pregiudizi contro l’uomo bianco. Sarà lui, come
numero uno del dipartimento della Giustizia, a dover far rispettare le
leggi contro la discriminazione razziale. Un critico dei diritti civili,
Lgtb compresi, chiamato a difendere i diritti civili.
Mike
Pompeo, deputato del Kansas, guiderà la Cia, la “Ditta” dello
spionaggio, come è chiamata in gergo per meriti anti-clintoniani. Li
acquisì conducendo l’ossessiva campagna parlamentare sul “caso Bengasi”,
nel quale invano i repubblicani tentarono di trovare responsabilità
criminali dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton. Pompeo, che
sarà il secondo italo-americano dopo Leon Panetta a guidare la “Ditta”,
continuò una personale crociata allargando per conto proprio le indagini
e tenendo vive le accuse, con la tenacia dell’ex ufficiale di
Cavalleria, come il leggendario cacciatori di Sioux Custer, qual è. Un
accanimento che ha avuto come riconoscimento da Trump la direzione della
Cia.
Attorno al Team Trump è riaffiorato anche il nome di John
Bolton, già ambasciatore all’Onu con Bush il giovane e irriducibile
sostenitore delle guerre preventive che tanto successo hanno avuto in
Iraq. In questi giorni, riprendendo un altro dei leitmotiv cari alla
campagna del presidente eletto, ha riesumato un classico della
sottocultura neocon a proposito del trattato con l’Iran: «L’unico modo
per impedire che Teheran si costruisca un arsenale nucleare è il cambio
di regime». Un’espressione che sembrava fortunatamente archiviata nella
polvere e nel sangue. E tra uomini come questi, finora tutti e soltanto
uomini e tutti rigorosamente bianchi, il peggio dei convocati nella
nuova nazionale che rappresenterà gli Stati Uniti per i prossimi quattro
anni è quello Steve Bannon, che ha guidato la campagna elettorale dopo
avere creato e diretto un sito online chiamato “Breitbart”, fonte di
pura e tossica propaganda senza pretese di credibilità. Tra le citazioni
di Bannon, nominato assistente speciale, una merita speciale
attenzione: «L’oscurità è il bene. Dart Fener, Dick Cheney e Satana sono
il potere».
I timori di una sterzata verso la destra più dura e
allucinata, come quella di Steve Bannon o più aggressiva come quella del
deputato Pompeo, confermati dalla nomina di un generalissimo superfalco
come Michael Flynn alla testa del Consiglio per la Sicurezza Nazionale,
che è il “gabinetto di guerra” del presidente, si sono materializzati
nella prima settimana di nomine. L’«Islam è il cancro del mondo», ama
ripetere il generale, che promette di curarlo. Li ha temperati soltanto
l’assunzione a Capo Gabinetto del presidente del partito repubblicano
Reince Priebus, un pallido notabile di quell’establishment
washingtoniano che Trump avrebbe dovuto eliminare e le voci di colloqui
con Mitt Romney, lo sconfitto da Obama 2012. Un altro campionissimo
dell’élite repubblicana, possibile concorrente alla Segreteria di Stato,
conservatore moderato, meno inquietante di Rudy Giuliani, gran
“consigliore” durante la campagna e assetato di rivincita contro Hillary
Clinton che gli soffiò il seggio di New York al Senato.
Il
sentimento che le prime nomine di Trump trasmettono è dunque la
manifestazione di quella voglia di vendetta, non di novità o freschezza,
che la propaganda elettorale aveva lasciato vedere. È la revanche, la
rivincita di una destra appunto revanscista, xenofoba, militarista,
decisa a ripulire l’America dall’onta di quell’uomo nero e dalla sfida
di quella donna arrogante. Il colonnello Custer è vivo e lotta con
Trump.