lunedì 14 novembre 2016

Repubblica 14.11.16
Così si spiega l’insostenibile leggerezza dell’essere
Dal ruolo della luce nella fisica alla massa dei protoni e dei neutroni il premio Nobel Frank Wilczek svela i segreti della materia e risponde ai dubbi della filosofia
La divulgazione vola sulle ali dei ricercatori Il vuoto quantistico è l’antico “etere” Creare qualcosa dal nulla è possibile
di Piergiorgio Odifreddi

In un’intervista del 1967 Vladimir Nabokov diceva: «Lo scopo della critica letteraria è dire qualcosa su un libro che il critico ha letto, o non ha letto. La critica è istruttiva nel senso che fornisce al lettore, incluso l’autore del libro, qualche informazione sull’intelligenza del critico, sulla sua onestà, o su entrambe ». Lo stesso si può dire, mutatis mutandis, della divulgazione scientifica. Non è un caso che i migliori critici letterari siano gli scrittori:
da Nabokov stesso a Jorge Luis Borges, che con le rispettive e memorabili Lezioni di letteratura e
La biblioteca inglese hanno invaso uno spazio abitualmente congestionato da chi “vuol volar sanz’ali”. Di nuovo, lo stesso si può dire della divulgazione scientifica, che raggiunge le proprie vette quando si alza in volo sulle ali dei protagonisti della ricerca, da La doppia elica di James Watson ai Sei pezzi facili di Richard Feynman, rispettivamente premi Nobel per la medicina nel 1962 e per la fisica nel 1965.
Nella tradizione della divulgazione d’autore che vola alto si inseriscono due libri di Frank Wilczek, premio Nobel per la fisica nel 2004: il più arduo e conciso La leggerezza dell’essere (Einaudi, 2009), e il più lieve e recente
Una bellissima domanda (Einaudi, 2016). Per inciso, il titolo del primo è un doppio senso sulla parola light, che in inglese significa sia “leggero” che “luce”: si potrebbe dunque anche tradurre “la luminosità dell’essere”, in senso non solo metaforico, ma anche letterale, per il ruolo centrale che le proprietà della luce rivestono nella fisica moderna.
La bellissima domanda a cui allude il titolo del secondo libro riguarda invece un aspetto fondamentale del mondo in cui viviamo: che cosa fornisce la massa alla materia ordinaria di cui siamo fatti, e che percepiamo con i nostri sensi e i nostri strumenti? La divulgazione non d’autore ci ha ipnotizzati, dopo la scoperta del bosone di Higgs nel 2012 e l’attri-buzione del relativo premio Nobel per la fisica l’anno dopo, con il mantra di una facile risposta: è proprio il bosone di Higgs a dare massa ai quark, e dunque alla materia ordinaria di cui essi sono i mattoni fondamentali.
Non c’è però bisogno di avere un premio Nobel per fare qualche semplice calcolo, basato su qualche altrettanto semplice osservazione. Anzitutto, la materia ordinaria è fatta di atomi, costituiti da elettroni in orbita attorno a un nucleo. Poiché il numero degli elettroni di un atomo non eccede quello dei protoni e dei neutroni che costituiscono il nucleo, e la massa degli elettroni è circa 1900 volte minore di quella dei protoni e dei neutroni, il grosso della massa di un atomo deriva dal suo nucleo.
Ciascun protone e neutrone del nucleo, a sua volta, è costituito da tre quark, tenuti incollati insieme da particelle chiamate gluoni (dall’inglese glue, “colla”). Ora, i gluoni non hanno massa. E la massa dei tre quark ‘e circa 100 volte minore di quella del protone e del neutrone da essi costituito. Ma se non è dai quark che li compongono che i protoni e i neutroni acquistano la loro massa, allora non è dai bosoni di Higgs che deriva la massa della materia ordinaria. La bellissima domanda di Wilczek diventa dunque: da dove arriva la massa dei protoni e dei neutroni?
I due libri di Wilczek forniscono la bellissima risposta, che combina insieme due ingredienti: uno derivante dalla relatività di Albert Einstein, e l’altro dalla cromodinamica quantistica che lo stesso Wilczek ha sviluppato
negli anni ’70 insieme a David Gross e David Politzer, con i quali ha condiviso il premio Nobel.
Il contributo del primo ingrediente è presto detto. Nel 1905 Einstein scrisse un famoso lavoro, il cui titolo era a sua volta una bellissima domanda: L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia? In due sole paginette Einstein dimostrò la formula più famosa della fisica moderna. Di solito la si scrive come E=mc^2, e in tal caso essa dice che un corpo ha un contenuto di energia che dipende dalla sua massa, in maniera proporzionale al quadrato della velocità della luce. Einstein invece l’aveva scrit- ta come m=E/c^2, per rispondere appunto alla domanda del suo titolo: un corpo ha una massa che dipende dal suo contenuto di energia, in maniera inversamente proporzionale al quadrato della velocità della luce. Il secondo ingrediente è meno noto, perché in genere i divulgatori e i loro lettori prediligono i grandi problemi filosofici ancora insoluti alle grandi soluzioni scientifiche di problemi ormai risolti.
I due libri di Wilczek colmano proprio questa lacuna, e spiegano quale sia l’energia da cui deriva la massa della materia ordinaria. In una parola, si tratta dell’energia del cosiddetto “vuoto quantistico”: nome quanto mai fuorviante, visto che si tratta in realtà di un pieno in continua e multiforme attività. Wilczek lo chiama genericamente “griglia”, e più specificamente “superconduttore multicolore multistrato”, ma non (si) nasconde quanto esso sia una versione moderna, riveduta e corretta, dell’antico “etere”. I vari “strati” del vuoto corrispondono alla stratificazione delle varie forze fondamentali: in ordine crescente di densità, lo strato elettromagnetico consiste di coppie di elettroni e positroni, quello nucleare forte di coppie di quark e antiquark, e quello nucleare debole dei citati bosoni di Higgs. E ciascuno agisce alla sua maniera: in particolare, lo strato nucleare debole “rallenta” le particelle elementari come i quark e gli elettroni, che di per sé non avrebbero massa, causando appunto la loro tipica inerzia. L’effetto è analogo al rallentamento subito dalla luce, i cui fotoni sono di per sé anch’essi privi di massa, in un superconduttore: di qui il colorito nome che Wilczek attribuisce alla “griglia”.
Ma è invece lo strato nucleare forte del vuoto a fornire la massa alle particelle non elementari: quelle composte di tre quark, come i citati protoni e neutroni, e quelle composte di un quark e un antiquark, come i mesoni. Ad esempio, un quark isolato produce una perturbazione del vuoto che ha un alto costo energetico, eliminabile posizionando un antiquark esattamente sul quark. Ma il principio di indeterminazione richiede che più si precisa la posizione dell’antiquark, più si spenda energia: il quark e l’antiquark possono dunque convivere vicini, costituendo un mesone, a un costo energetico accettabile. Ed è appunto questo costo energetico a fornire la massa al mesone, in base alla formula di Einstein.
Analogamente succede per i protoni e i neutroni, in un processo che Wilczek chiama “massa senza massa”: cioè, “creare qualcosa dal nulla”. E senza chiamare in causa i bosoni di Higgs: neppure indirettamente, attraverso la massa dei quark. Si può dunque togliere il punto interrogativo dal titolo del lavoro di Einstein, facendolo diventare un’affermazione che costituisce la bellissima risposta scientifica a una bellissima domanda filosofica, secondo la ripartizione del lavoro intellettuale tra chi pone i problemi e chi li risolve.
IL LIBRO Frank Wilczek (New York, 1951) è un fisico, vincitore del premio Nobel nel 2004 per i suoi studi sulla cromodinamica quantistica. Il suo ultimo libro è Una bellissima domanda, tradotto da Simonetta Frediani (Einaudi, pagg. 432, euro 36)