Repubblica 12.11.16
I cattolici
“Hanno scelto Trump per dire no al sistema”
Il vaticanista statunitense Allen “È stato un voto di frustrazione le battaglie etiche non c’entrano”
intervista di Paolo Rodari
CITTÀ
DEL VATICANO. «La maggioranza dei cattolici negli Stati Uniti ha votato
per Trump, ma non l’ha fatto esclusivamente per motivi inerenti alla
difesa della vita e della famiglia. È stato più che altro un voto di
frustrazione, contro un governo e una burocrazia che fino a oggi non
hanno per nulla soddisfatto ».
Le gerarchie invece?
«I
vescovi si sono mantenuti più equidistanti, analogamente alla posizione
su Trump che il Papa ha espresso a Scalfari: “Non lo giudico”. E credo
che il motivo di questa equidistanza, inusuale dopo anni di appoggio più
o meno esplicito ai repubblicani, sia sostanzialmente un rifiuto delle
sue posizioni».
John Allen, vaticanista statunitense, dirige Crux,
quotidiano cattolico con base a Boston. Profondo conoscitore del mondo
religioso americano, invita a non fidarsi di chi parla con troppa
sicurezza di “voto cattolico”.
I cattolici rappresentano il 25-30 per cento della popolazione. Secondo lei questo voto non esiste?
«Non
dico questo, ma credo che questo voto non vada troppo mitizzato. Trump
era per tutti, credenti e non credenti, il candidato della rivoluzione,
pronto a riformare un sistema ingiusto e che non ha soddisfatto. Per
questo anche molti cattolici lo hanno preferito a Hillary Clinton».
Un po’ come accadde nel 1994, quando gli italiani preferirono Berlusconi?
«Esattamente.
Le analogie con il ’94 italiano sono notevoli. Trump, come Berlusconi
allora, rappresentava una novità, la possibilità di una svolta storica. E
la rappresentava anche per i credenti».
In ogni caso, non sono
pochi i cattolici che scelgono candidati di destra per le posizioni
conservatrici sui temi della vita, della famiglia, della contraccezione,
della ricerca bioetica.
«I cattolici negli Stati Uniti sono
divisi fra conservatori e progressisti. Un trenta per cento è fedele
all’insegnamento della Chiesa, e su questi temi ha posizioni
tradizionali: questo 30 per cento senz’altro ha votato per Trump. Poi
c’è un altro 20-25 per cento che è più sensibile ai temi del lavoro,
della politica estera. Anche questi sono conservatori, e hanno scelto
Trump. Ancora: c’è un trenta per cento di progressisti che va sempre, a
priori, con i democratici. Resta un ultimo venti per cento, un
elettorato credente moderato. Stavolta, questo venti per cento ha scelto
Trump. Ma l’ha fatto, ripeto, principalmente per motivi anti-sistema».
Si dice che i vescovi americani siano conservatori: è vero?
«Negli
Stati Uniti ci sono 196 vescovi locali, che diventano 240 se
aggiungiamo gli ausiliari e 350 con gli emeriti. Hanno tutti posizioni
diverse fra loro e inserirli in un unico schema è impossibile. Si può in
ogni caso dire che un venti per cento ha posizioni teologiche
conservatrici, mentre un dieci per cento è più progressista. Tutti gli
altri possono pendere più a destra o più a sinistra a seconda del
momento ».
Tuttavia, negli anni scorsi, i vescovi erano molti vicini a repubblicani.
«È
vero. Ma in queste elezioni, diversamente dal passato, i vescovi sono
stati più prudenti. E lo sono stati sia rispetto a Clinton che rispetto a
Trump. In qualche modo, entrambi non li convincevano. Tuttavia, se è
vero che la maggioranza dei cittadini cattolici ha votato per Trump,
sarà interessante vedere come, e se, i vescovi useranno questo credito
che hanno verso il nuovo presidente. Su molte posizioni sono distanti da
Trump, ma hanno un credito da giocare. Vedremo come si comporteranno».
Francesco
ha detto a Scalfari di non giudicare Trump, ma di essere interessato al
fatto che egli faccia o meno soffrire i poveri. Eppure la visione del
Papa sembra lontana anni luce da quella di Trump. È così?
«Trump è
distante non soltanto da Francesco, ma anche dall’insegnamento della
Chiesa. Per questo sarà interessante capire come si muoverà l’episcopato
nei suoi confronti, anche alla luce delle elezioni dei vertici della
conferenza episcopale, che avverranno la settimana prossima. Come
sempre, dovrebbe essere eletto presidente chi attualmente ricopre
l’incarico di vice, e cioè Daniel DiNardo di Houston, un vescovo
conservatore ma molto attivo pastoralmente. Più interessante sarà vedere
chi eleggeranno come vice presidente: da qui si vedrà quale linea
l’episcopato intendere abbracciare».