martedì 1 novembre 2016


Pagina 99 29.10.2016
la vecchiaia? è un luogo comune
Stereotipi | Campiamo circa 34 anni più dei nostri bisnonni: una seconda
esistenza da adulti. Ma la nostra cultura non ha ancora accettato
questo cambiamento radicale. Tutti i miti da sfatare sulla terza età
di Stefania Prandi

«Perché dovrei accettare l’idea di essere peggio di quando ero giovane?». Una domanda che, a un certo punto, ci facciamo tutti e che Ashton Applewhite, scrittrice americana over 60, ha analizzato in This ChairRocks(Lightning Source Inc, 2016). Il libro, che sarà pubblicato in italiano il prossimo anno, esplora le origini dei pregiudizi sulla “vecchiaia”, offrendo suggerimenti su come smontare i luoghi comuni. Sullo stesso tema sono usciti di recente Life Begins at 60: A NewViewon Motherhood, Marriage, and Reinventing Ourselves (Skyhorse Publishing, 2016) – Lavita comincia a 60 anni: un nuovo sguardo sulla maternità, il matrimonio e il reinventare noi stesse – di Frieda Birnbaum, psicoterapeuta e personaggio mediatico (ha fatto discutere la sua scelta, otto anni fa, di diventare madrea 60 anni), e Life Reimagined: The Science, Art and Opportunity of Midlife (Riverhead Books, 2016) – Immaginare di nuovo la vita: la scienza, l’arte e l’opportunità della mezza età–di Barbara Bradley Hagerty, giornalista. La questione è particolarmente sentita negli Stati Uniti dove si discute degli stereotipi legati all’età sui giornali, con consigli su come combattere il sottile e diffuso sentimento di disprezzo verso chiunque non sia più giovane. «Viviamo, in media, 34 anni in più dei nostri bisnonni, abbiamo un’intera seconda esistenza da adulti. Eppure siamo ancora immersi in una cultura che non riesce ad accettare questo cambiamento e che guarda all’età come a una patologia», ha detto l’attrice Jane Fonda in un TedTalk (il programma di conferenze per la condivisione di idee e scoperte, gestito dalla non profit The Sapling Foundation) che ha avuto oltre 2 milioni e 200 mila visite online. Anche un’icona come Madonna di recente si è lamentata di trovare, ogni volta che qualcuno fa un articolo su di lei, i suoi anni scritti sempre subito dopo il suo nome: «È come se dicessero, guardatela, è lei, ma ricordatevi che ormai ha una certa età e tutto il resto non conta più». Ecco alcuni miti da sfatare riguardo al tempo che passa. vecchi e contenti la felicità cresce dopo i 65 n Secondo una ricerca dell’Istituto nazionale di statistica della Gran Bretagna, nella vita adulta si diventa più felici superata la soglia dei sessant’anni. Lo studio, realizzato su 300 mila inglesi, indica che sono più contente le persone tra i 70 e i 74 anni, seguite da quelle tra i 65 e i 69. I risultati confermano le conclusioni di un’indagine dell’Università di Warwick e del Dartmouth College, condotta su 2 milioni di persone di ottanta Paesi diversi: i momenti di maggiore gioia sono l’infanzia e il periodo dopo i sessanta. I motivi sembrano diversi. Tali Sharot, neuroscienziata alla University College London, autrice di Ottimisti di natura. Perché vediamo il bicchiere mezzo pieno (Apogeo editore, 2012), sostiene che durante l’infanzia e la vecchiaia i lobi frontali, deputati a elaborare informazioni, tendono a selezionare i dati positivi e a ignorare quelli negativi, inducendo a considerare il presente e il futuro in modo migliore. Per Karl Pillemer, gerontologo del Weill Cornell Medical College di New York, è una questione di saggezza: quando si è più giovani si tende a pensare che la felicità sia dovuta ai fattori esterni, mentre con l’età si impara a essere soddisfatti nonostante quello che accade. Va considerato che ci sono delle eccezioni a questo andamento, sottolinea Wendy Lustbader, docente associata alla University of Washington School of social work, nel libro Life Gets Better: The Unexpected Pleasures of Growing Older ( Tarcher Perigee, 2011) – La vita migliora: il piacere inaspettato di invecchiare –, e riguardano ad esempio le persone eccessivamente egocentriche e quelle che hanno una forte dipendenza da alcol e droga. gerotrascendenza, cioè il cervello che migliora Il sociologo svedese Lars Tornstam ha studiato per trent’anni i processi di invecchiamento e si è accorto che molte persone continuano a maturare socialmente e psicologicamente nel corso del tempo. Ha chiamato questo processo “gerotrascendenza”, in contrapposizione a quella idea di decadimento che le società occidentali tendono ad attribuire in genere alla vecchiaia. Tornstam descrive efficacemente il primo segno di gerotrascendenza come «la sensazione di essere, tutto in una volta, un bambino, un ragazzo, un adulto, un uomo di mezza età e una persona più anziana». Secondo la ricerca Successful Aging (Invecchiare in buona salute) realizzata dalla MacArthur Foundation, il declino mentale non è affatto da considerare una conseguenza inevitabile e avviene, nella maggior parte dei casi, in tarda età. Un terzo degli esseri umani, inoltre, non sembra toccato da perdite che riguardano le proprie abilità cognitive. La minore capacità mnemonica non è dovuta, almeno nella media dei casi, a malattie degenerative come l’Alzheimer oppure alle diverse forme di demenza, e circa il 20 per cento dei novantenni continua a riuscire ad avere le stesse performance che aveva quando era una persona di mezza età. Inoltre, si è creduto per anni che la neurogenesi, vale a dire la formazione di nuovi neuroni, avvenisse quasi esclusivamente fino all’inizio dell’età adulta, per poi fermarsi. Ma un numero sempre maggiore di recenti analisi dimostrano, invece, che la capacità di creare nuove connessioni, acquisire abilità e informazioni, continua anche nel periodo successivo essere maestro di yoga a novantasei anni Non è da tutti vincere un’Olimpiade a 55 anni. Eppure Santiago Lange, l’atleta più anziano a essere salito sul primo gradino del podio nei Giochi di Rio de Janeiro, c’è riuscito. La sua medaglia d’oro nella vela è resa ancora più incredibile dal fatto che Lange ha combattuto e sconfitto un tumore al polmone. La sua storia, per quanto eccezionale, è esemplificativa: dimostra come l’età non sia un ostacolo insormontabile per continuare a mantenere performance, magari non da oro olimpico, ma certo di buon livello. Altro chiaro esempio di come il corpo possa restare prestante sono le maestre e i maestri di yoga come Tao Porchon-Lynch, 98 anni, una vera celebrità nell’ambiente. Vissuta in India, adesso è di base a New York, dove continua a insegnare e dilettarsi con le asana, come dimostrano i video che si possono trovare online. Un altro esempio (anche questo presente su Youtube e Vimeo) è KazimGürbüz, 96enne turco, insegnante di yoga diventato famoso in tutto il mondo per la sua forma fisica che fa invidia a chi ha trent’anni di meno. Anche tra gli scalatori ci sono casi che fanno riflettere: nel 2014 Sir Chris Bonington, una leggenda vivente dell’arrampicata, a 80 anni suonati ha ripercorso The Old Man of Hoy, la via celeberrima dell’alpinismo britannico, nelle isole Orcadi. Il più anziano a salire sull’Everest è stato invece il giapponese Yuichiro Miura, anche lui a 80 anni. Takao Arayama, pure lui giapponese, ne aveva 74 quando ha completato la scalata delle sette cime più alte del mondo. Secondo la ricerca Ageism in America, condotta dall’I nternational Longevity Center della Columbia University, il 64 per cento di chi ha superato i 65 anni non incorre in limitazioni nella maggior parte delle attività fisiche. Butler sostiene che per mantenersi in forma incidano al 75% l’ambiente e lo stile di vita (non solo l’attività fisica ma anche cattive abitudini come alcol e fumo, e il tipo di alimentazione) e per il 25% il proprio patrimonio genetico. over 75, uno su quattro fa sesso tre volte al mese «Molti credono che le persone più anziane non siano sessualmente attive, siano disinteressate al sesso, non ce la facciano fisicamente a provare piacere e non siano abbastanza attraenti per trovare qualcuno che le voglia», scrive Ashton Applewhite, che aggiunge: «Niente di più falso». La scrittrice americana racconta che nelle case di riposo sono molti gli ospiti intraprendenti, con liaison che restano perlopiù segrete a figli e nipoti. Secondo il New England Journal of Medicine, il 25 per cento di chi ha tra i 75 e gli 85 anni fa sesso più di 3 volte al mese; un terzo fa anche sesso orale. La ricerca English longitudinal study of ageism ha considerato l’attività sessuale degli ottantenni e novantenni arrivando alla conclusione che il 44% degli uomini e il 16% circa delle donne si dedicano a pratiche di autoerotismo. Il tabù che avvolge la sessualità dei più anziani – dovuto anche agli stereotipi che vengono trasmessi dai media, dalla moda, da Hollywood, che continuano a proporre la giovinezza come valore assoluto – resta forte, anche se ci sono voci fuori dal coro. L’attrice 70enne Susan Sarandon (diventata da poco nonna per la seconda volta) in un’intervista al Daily Mail ha dichiarato che il sesso fa bene alla pelle. Le donne sembrano beneficiare di più dell’attività sessuale, secondo una ricerca realizzata dalla Michigan State University, mentre gli uomini tra i 57 e gli 85 anni che hanno rapporti sessuali una volta alla settimana sono più esposti al rischio di attacchi di cuore e infarti. Sembra che facendo più fatica a raggiungere l’orgasmo, per ragioni mediche e psicologiche, vivano sotto stress e si stanchino troppo.

La bellezza di esibire rughe e capelli bianchi.
Un modo per quantificare la pressione legata all’invecchiamento è quello di considerare il mercato delle creme, dei prodotti anti- aging e degli interventi estetici, dal botox alle plastiche; secondo alcune stime, nel 2015 ha raggiunto i 281,6 miliardi di dollari ed è destinato ad arrivare a 331,3 miliardi nel 2020. In reazione all’insistenza a cancellare i segni del tempo, arrivano sollecitazioni per non farsi condizionare. La scrittrice e giornalista Germaine Greer sostiene che per le donne invecchiare può diventare una liberazione, perché non devono più sottostare alle regole della seduzione che includono la forma perfetta e l’adesione a modelli standard. L’artista Aleah Chapin che ha deciso di rompere con l’estetica dominante e dipinge, a grandezza doppia del reale, donne nude non più giovani mostrandole nella loro autenticità fatta di macchie, cicatrici, smagliature, cellulite, rughe, pelle che cede alla gravità, peli pubici e capelli bianchi. Una scelta controcorrente, adottata anche dalla modella 56enne Julie H., che posta su Tumblr (con il nick the burninglotus) – dove ha 92mila followers – foto di sé senza veli e senza filtri. Immagini, spesso esplicite, in genere accompagnate da commenti come questo: «Ricevo quotidianamente messaggi da persone di ogni tipo che mi dicono che sono un modello d’ispirazione, guardandomi si piacciono di più. Infondo speranza e aiuto a superare le paure». Non è un caso che la ribellione ai canoni sia soprattutto femminile. Alcune accademiche, come J. Brooks Bouson della Loyola university di Chicago (autrice di Shame and the Aging Woman, Palgrave Macmillan), spiegano che le pressioni sociali portano a provare vergogna per il proprio corpo.

L’esperienza è un valore, anziani mentori in ufficio
In un articolo apparso di recente sul sito dell’agenzia Bloomberg, si racconta come gli over 50 che lavorano nella Silicon Valley siano costretti a dismettere giacche e abiti eleganti per sostituirli con felpe e magliette, a tingersi i capelli, e persino a ricorrere alla chirurgia (tra gli interventi che vanno per la maggiore la blefaroplastica, per ritoccare le palpebre e togliere le borse) e al botox. Oltre a truccare il curriculum includendo soltanto gli impieghi più recenti, i lavoratori più “attempati” si trovano a consultare siti come Reddit, Yelp, IMDb, e Msnbc, imparano parole in slang sullo Urban dictionary, si iscrivono a tutti i social network (incluso Snapchat). Il loro obiettivo è riuscire a mimetizzarsi tra i giovani, a sembrare fratelli o sorelle maggiori, e non padri o madri. Come spiega PeterCappelli, docente di Managment alla Wharton school e ricercatore associato al National Bureau of Economic research di Cambridge, i pregiudizi da combattere sui più anziani sono tanti: non sono produttivi, creativi, inventivi, sono lenti nel fare le cose, facili vittime di esaurimenti nervosi. Nel libro Managing the older worker (Harvard Business Review Press), Cappelli cerca di smontare questi stereotipi, e sottolinea quanto invece sia importante la presenza di persone mature nell’organico delle aziende: perché sono capaci di trasmettere valori, competenze, avere un ruolo da mentori per i più giovani. E d’altra parte il lavoro, quando piace e dà soddisfazione, si rivela fondamentale per continuare ad avere un ruolo attivo nella società e aiuta a essere longevi, dice Robert N. Butler, psichiatra e geriatra, fondatore del National Institute on aging e autore di un testo che ha fatto scuola, Why Survive? Being Old in America con il quale ha vinto il premio Pulitzer per la saggistica nel 1976.

Ageismo, il preconcetto verso chi è avanti con l’età
Ageismo è un termine coniato nel 1969 dal geriatra Butler. È un concetto ancora relativamente poco usato in italiano, ma descrive efficacemente la discriminazione riservata a chi si trova oltre una certa fascia d’età. «Ci troviamo di fronte ad atti di ageismo ogni volta che qualcuno, invece di capire chi siamo e che cosa siamo capaci di fare –si tratti di un lavoro, una relazione, un taglio di capelli–ci giudica semplicemente per i nostri anni», spiega la scrittrice Applewithe. Todd Nelson, ricercatore alla California State university, specializzato in psicologia del pregiudizio, sostiene che l’ageismo «è un preconcetto contro il nostro stesso futuro», radicato nella negazione del fatto che tutti invecchiamo. Ci abituiamo a quest’idea già da piccoli: alcune ricerche indicano che i bambinisviluppano stereotipi negativi rispetto agli adulti attorno ai cinque anni. «Io stessa, da piccola, mi dicevo che non sarei mai diventata uno di quei grandi che incomprensibilmente preferivano stare seduti, piuttosto che correre in giro », racconta Applewhite. Che poi aggiunge: «La verità, però, è un’altra: invecchiare è un processo naturale, potente, che dura tutta la vita. Io non mi sento depotenziata e come molti altri della mia età ho ancora grandi piani per il futuro». Una volta che si inizierà a riconoscere l’ageismo in tutta la sua portata, si vedrà per davvero quanto è pervasivo. «Il passo successivo è cambiare il modo in cui ci guardiamo e ci facciamo considerare, smettendo di essere felici se, per esempio, ci dicono che non dimostriamo gli anni che abbiamo. Dobbiamo riuscire a sviluppare un vero e proprio orgoglio rispetto alla nostra età, senza dispiacerci perché ogni giorno ci svegliamo più vecchi, con la consapevolezza che una vita lunga è un privilegio, non una sconfitta».