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99 29.10.2016
la
vecchiaia? è un luogo comune
Stereotipi
| Campiamo circa 34 anni più dei nostri bisnonni: una seconda
esistenza
da adulti. Ma la nostra cultura non ha ancora accettato
questo
cambiamento radicale. Tutti i miti da sfatare sulla terza età
di
Stefania Prandi
«Perché
dovrei accettare l’idea di essere peggio di quando ero giovane?».
Una domanda che, a un certo punto, ci facciamo tutti e che Ashton
Applewhite, scrittrice americana over 60, ha analizzato in This
ChairRocks(Lightning Source Inc, 2016). Il libro, che sarà
pubblicato in italiano il prossimo anno, esplora le origini dei
pregiudizi sulla “vecchiaia”, offrendo suggerimenti su come
smontare i luoghi comuni. Sullo stesso tema sono usciti di recente
Life Begins at 60: A NewViewon Motherhood, Marriage, and Reinventing
Ourselves (Skyhorse Publishing, 2016) – Lavita comincia a 60 anni:
un nuovo sguardo sulla maternità, il matrimonio e il reinventare noi
stesse – di Frieda Birnbaum, psicoterapeuta e personaggio mediatico
(ha fatto discutere la sua scelta, otto anni fa, di diventare madrea
60 anni), e Life Reimagined: The Science, Art and Opportunity of
Midlife (Riverhead Books, 2016) – Immaginare di nuovo la vita: la
scienza, l’arte e l’opportunità della mezza età–di Barbara
Bradley Hagerty, giornalista. La questione è particolarmente sentita
negli Stati Uniti dove si discute degli stereotipi legati all’età
sui giornali, con consigli su come combattere il sottile e diffuso
sentimento di disprezzo verso chiunque non sia più giovane.
«Viviamo, in media, 34 anni in più dei nostri bisnonni, abbiamo
un’intera seconda esistenza da adulti. Eppure siamo ancora immersi
in una cultura che non riesce ad accettare questo cambiamento e che
guarda all’età come a una patologia», ha detto l’attrice Jane
Fonda in un TedTalk (il programma di conferenze per la condivisione
di idee e scoperte, gestito dalla non profit The Sapling Foundation)
che ha avuto oltre 2 milioni e 200 mila visite online. Anche un’icona
come Madonna di recente si è lamentata di trovare, ogni volta che
qualcuno fa un articolo su di lei, i suoi anni scritti sempre subito
dopo il suo nome: «È come se dicessero, guardatela, è lei, ma
ricordatevi che ormai ha una certa età e tutto il resto non conta
più». Ecco alcuni miti da sfatare riguardo al tempo che passa.
vecchi e contenti la felicità cresce dopo i 65 n Secondo una ricerca
dell’Istituto nazionale di statistica della Gran Bretagna, nella
vita adulta si diventa più felici superata la soglia dei
sessant’anni. Lo studio, realizzato su 300 mila inglesi, indica che
sono più contente le persone tra i 70 e i 74 anni, seguite da quelle
tra i 65 e i 69. I risultati confermano le conclusioni di un’indagine
dell’Università di Warwick e del Dartmouth College, condotta su 2
milioni di persone di ottanta Paesi diversi: i momenti di maggiore
gioia sono l’infanzia e il periodo dopo i sessanta. I motivi
sembrano diversi. Tali Sharot, neuroscienziata alla University
College London, autrice di Ottimisti di natura. Perché vediamo il
bicchiere mezzo pieno (Apogeo editore, 2012), sostiene che durante
l’infanzia e la vecchiaia i lobi frontali, deputati a elaborare
informazioni, tendono a selezionare i dati positivi e a ignorare
quelli negativi, inducendo a considerare il presente e il futuro in
modo migliore. Per Karl Pillemer, gerontologo del Weill Cornell
Medical College di New York, è una questione di saggezza: quando si
è più giovani si tende a pensare che la felicità sia dovuta ai
fattori esterni, mentre con l’età si impara a essere soddisfatti
nonostante quello che accade. Va considerato che ci sono delle
eccezioni a questo andamento, sottolinea Wendy Lustbader, docente
associata alla University of Washington School of social work, nel
libro Life Gets Better: The Unexpected Pleasures of Growing Older (
Tarcher Perigee, 2011) – La vita migliora: il piacere inaspettato
di invecchiare –, e riguardano ad esempio le persone eccessivamente
egocentriche e quelle che hanno una forte dipendenza da alcol e
droga. gerotrascendenza, cioè il cervello che migliora Il sociologo
svedese Lars Tornstam ha studiato per trent’anni i processi di
invecchiamento e si è accorto che molte persone continuano a
maturare socialmente e psicologicamente nel corso del tempo. Ha
chiamato questo processo “gerotrascendenza”, in contrapposizione
a quella idea di decadimento che le società occidentali tendono ad
attribuire in genere alla vecchiaia. Tornstam descrive efficacemente
il primo segno di gerotrascendenza come «la sensazione di essere,
tutto in una volta, un bambino, un ragazzo, un adulto, un uomo di
mezza età e una persona più anziana». Secondo la ricerca
Successful Aging (Invecchiare in buona salute) realizzata dalla
MacArthur Foundation, il declino mentale non è affatto da
considerare una conseguenza inevitabile e avviene, nella maggior
parte dei casi, in tarda età. Un terzo degli esseri umani, inoltre,
non sembra toccato da perdite che riguardano le proprie abilità
cognitive. La minore capacità mnemonica non è dovuta, almeno nella
media dei casi, a malattie degenerative come l’Alzheimer oppure
alle diverse forme di demenza, e circa il 20 per cento dei novantenni
continua a riuscire ad avere le stesse performance che aveva quando
era una persona di mezza età. Inoltre, si è creduto per anni che la
neurogenesi, vale a dire la formazione di nuovi neuroni, avvenisse
quasi esclusivamente fino all’inizio dell’età adulta, per poi
fermarsi. Ma un numero sempre maggiore di recenti analisi dimostrano,
invece, che la capacità di creare nuove connessioni, acquisire
abilità e informazioni, continua anche nel periodo successivo essere
maestro di yoga a novantasei anni Non è da tutti vincere
un’Olimpiade a 55 anni. Eppure Santiago Lange, l’atleta più
anziano a essere salito sul primo gradino del podio nei Giochi di Rio
de Janeiro, c’è riuscito. La sua medaglia d’oro nella vela è
resa ancora più incredibile dal fatto che Lange ha combattuto e
sconfitto un tumore al polmone. La sua storia, per quanto
eccezionale, è esemplificativa: dimostra come l’età non sia un
ostacolo insormontabile per continuare a mantenere performance,
magari non da oro olimpico, ma certo di buon livello. Altro chiaro
esempio di come il corpo possa restare prestante sono le maestre e i
maestri di yoga come Tao Porchon-Lynch, 98 anni, una vera celebrità
nell’ambiente. Vissuta in India, adesso è di base a New York, dove
continua a insegnare e dilettarsi con le asana, come dimostrano i
video che si possono trovare online. Un altro esempio (anche questo
presente su Youtube e Vimeo) è KazimGürbüz, 96enne turco,
insegnante di yoga diventato famoso in tutto il mondo per la sua
forma fisica che fa invidia a chi ha trent’anni di meno. Anche tra
gli scalatori ci sono casi che fanno riflettere: nel 2014 Sir Chris
Bonington, una leggenda vivente dell’arrampicata, a 80 anni suonati
ha ripercorso The Old Man of Hoy, la via celeberrima dell’alpinismo
britannico, nelle isole Orcadi. Il più anziano a salire sull’Everest
è stato invece il giapponese Yuichiro Miura, anche lui a 80 anni.
Takao Arayama, pure lui giapponese, ne aveva 74 quando ha completato
la scalata delle sette cime più alte del mondo. Secondo la ricerca
Ageism in America, condotta dall’I nternational Longevity Center
della Columbia University, il 64 per cento di chi ha superato i 65
anni non incorre in limitazioni nella maggior parte delle attività
fisiche. Butler sostiene che per mantenersi in forma incidano al 75%
l’ambiente e lo stile di vita (non solo l’attività fisica ma
anche cattive abitudini come alcol e fumo, e il tipo di
alimentazione) e per il 25% il proprio patrimonio genetico. over 75,
uno su quattro fa sesso tre volte al mese «Molti credono che le
persone più anziane non siano sessualmente attive, siano
disinteressate al sesso, non ce la facciano fisicamente a provare
piacere e non siano abbastanza attraenti per trovare qualcuno che le
voglia», scrive Ashton Applewhite, che aggiunge: «Niente di più
falso». La scrittrice americana racconta che nelle case di riposo
sono molti gli ospiti intraprendenti, con liaison che restano
perlopiù segrete a figli e nipoti. Secondo il New England Journal of
Medicine, il 25 per cento di chi ha tra i 75 e gli 85 anni fa sesso
più di 3 volte al mese; un terzo fa anche sesso orale. La ricerca
English longitudinal study of ageism ha considerato l’attività
sessuale degli ottantenni e novantenni arrivando alla conclusione che
il 44% degli uomini e il 16% circa delle donne si dedicano a pratiche
di autoerotismo. Il tabù che avvolge la sessualità dei più anziani
– dovuto anche agli stereotipi che vengono trasmessi dai media,
dalla moda, da Hollywood, che continuano a proporre la giovinezza
come valore assoluto – resta forte, anche se ci sono voci fuori dal
coro. L’attrice 70enne Susan Sarandon (diventata da poco nonna per
la seconda volta) in un’intervista al Daily Mail ha dichiarato che
il sesso fa bene alla pelle. Le donne sembrano beneficiare di più
dell’attività sessuale, secondo una ricerca realizzata dalla
Michigan State University, mentre gli uomini tra i 57 e gli 85 anni
che hanno rapporti sessuali una volta alla settimana sono più
esposti al rischio di attacchi di cuore e infarti. Sembra che facendo
più fatica a raggiungere l’orgasmo, per ragioni mediche e
psicologiche, vivano sotto stress e si stanchino troppo.
La
bellezza di esibire rughe e capelli bianchi.
Un
modo per quantificare la pressione legata all’invecchiamento è
quello di considerare il mercato delle creme, dei prodotti anti-
aging e degli interventi estetici, dal botox alle plastiche; secondo
alcune stime, nel 2015 ha raggiunto i 281,6 miliardi di dollari ed è
destinato ad arrivare a 331,3 miliardi nel 2020. In reazione
all’insistenza a cancellare i segni del tempo, arrivano
sollecitazioni per non farsi condizionare. La scrittrice e
giornalista Germaine Greer sostiene che per le donne invecchiare può
diventare una liberazione, perché non devono più sottostare alle
regole della seduzione che includono la forma perfetta e l’adesione
a modelli standard. L’artista Aleah Chapin che ha deciso di rompere
con l’estetica dominante e dipinge, a grandezza doppia del reale,
donne nude non più giovani mostrandole nella loro autenticità fatta
di macchie, cicatrici, smagliature, cellulite, rughe, pelle che cede
alla gravità, peli pubici e capelli bianchi. Una scelta
controcorrente, adottata anche dalla modella 56enne Julie H., che
posta su Tumblr (con il nick the burninglotus) – dove ha 92mila
followers – foto di sé senza veli e senza filtri. Immagini, spesso
esplicite, in genere accompagnate da commenti come questo: «Ricevo
quotidianamente messaggi da persone di ogni tipo che mi dicono che
sono un modello d’ispirazione, guardandomi si piacciono di più.
Infondo speranza e aiuto a superare le paure». Non è un caso che la
ribellione ai canoni sia soprattutto femminile. Alcune accademiche,
come J. Brooks Bouson della Loyola university di Chicago (autrice di
Shame and the Aging Woman, Palgrave Macmillan), spiegano che le
pressioni sociali portano a provare vergogna per il proprio corpo.
L’esperienza
è un valore, anziani mentori in ufficio
In
un articolo apparso di recente sul sito dell’agenzia Bloomberg, si
racconta come gli over 50 che lavorano nella Silicon Valley siano
costretti a dismettere giacche e abiti eleganti per sostituirli con
felpe e magliette, a tingersi i capelli, e persino a ricorrere alla
chirurgia (tra gli interventi che vanno per la maggiore la
blefaroplastica, per ritoccare le palpebre e togliere le borse) e al
botox. Oltre a truccare il curriculum includendo soltanto gli
impieghi più recenti, i lavoratori più “attempati” si trovano a
consultare siti come Reddit, Yelp, IMDb, e Msnbc, imparano parole in
slang sullo Urban dictionary, si iscrivono a tutti i social network
(incluso Snapchat). Il loro obiettivo è riuscire a mimetizzarsi tra
i giovani, a sembrare fratelli o sorelle maggiori, e non padri o
madri. Come spiega PeterCappelli, docente di Managment alla Wharton
school e ricercatore associato al National Bureau of Economic
research di Cambridge, i pregiudizi da combattere sui più anziani
sono tanti: non sono produttivi, creativi, inventivi, sono lenti nel
fare le cose, facili vittime di esaurimenti nervosi. Nel libro
Managing the older worker (Harvard Business Review Press), Cappelli
cerca di smontare questi stereotipi, e sottolinea quanto invece sia
importante la presenza di persone mature nell’organico delle
aziende: perché sono capaci di trasmettere valori, competenze, avere
un ruolo da mentori per i più giovani. E d’altra parte il lavoro,
quando piace e dà soddisfazione, si rivela fondamentale per
continuare ad avere un ruolo attivo nella società e aiuta a essere
longevi, dice Robert N. Butler, psichiatra e geriatra, fondatore del
National Institute on aging e autore di un testo che ha fatto scuola,
Why Survive? Being Old in America con il quale ha vinto il premio
Pulitzer per la saggistica nel 1976.
Ageismo,
il preconcetto verso chi è avanti con l’età
Ageismo
è un termine coniato nel 1969 dal geriatra Butler. È un concetto
ancora relativamente poco usato in italiano, ma descrive
efficacemente la discriminazione riservata a chi si trova oltre una
certa fascia d’età. «Ci troviamo di fronte ad atti di ageismo
ogni volta che qualcuno, invece di capire chi siamo e che cosa siamo
capaci di fare –si tratti di un lavoro, una relazione, un taglio di
capelli–ci giudica semplicemente per i nostri anni», spiega la
scrittrice Applewithe. Todd Nelson, ricercatore alla California State
university, specializzato in psicologia del pregiudizio, sostiene che
l’ageismo «è un preconcetto contro il nostro stesso futuro»,
radicato nella negazione del fatto che tutti invecchiamo. Ci
abituiamo a quest’idea già da piccoli: alcune ricerche indicano
che i bambinisviluppano stereotipi negativi rispetto agli adulti
attorno ai cinque anni. «Io stessa, da piccola, mi dicevo che non
sarei mai diventata uno di quei grandi che incomprensibilmente
preferivano stare seduti, piuttosto che correre in giro », racconta
Applewhite. Che poi aggiunge: «La verità, però, è un’altra:
invecchiare è un processo naturale, potente, che dura tutta la vita.
Io non mi sento depotenziata e come molti altri della mia età ho
ancora grandi piani per il futuro». Una volta che si inizierà a
riconoscere l’ageismo in tutta la sua portata, si vedrà per
davvero quanto è pervasivo. «Il passo successivo è cambiare il
modo in cui ci guardiamo e ci facciamo considerare, smettendo di
essere felici se, per esempio, ci dicono che non dimostriamo gli anni
che abbiamo. Dobbiamo riuscire a sviluppare un vero e proprio
orgoglio rispetto alla nostra età, senza dispiacerci perché ogni
giorno ci svegliamo più vecchi, con la consapevolezza che una vita
lunga è un privilegio, non una sconfitta».