domenica 20 novembre 2016

Pagina 99 19.11.2016
fare copia e incolla con la nostra memoria
di Paolo Pontoniere
Ricerca | Leggere i segnali nell’encefalo di un topo. Memorizzarli
e trasferirli su un altro animale. Per replicare ricordi
e comportamenti. Qualche laboratorio ci sta provando. Viaggio ai
confini delle neuroscienze. Tra visioni utopistiche e vaneggiamenti

SAN FRANCISCO. «Stimolazione cerebrale », l’hanno definita i ricercatori dello Hughes Research Laboratories di Malibu, in California. Hanno messo un elmetto in testa ad alcuni volontari, totalmente ignari di come si pilota un aereo, e li hanno addestrati scaricando direttamente nel loro cervello alcune abilità professionali copiandole direttamente dal cervello di un pilota professionista. L’esperimento è riuscito – sostengono i ricercatori che hanno pubblicato i risultato della loro sperimentazione sulla rivista scientifica Frontiers in Human Neuroscience. «Sembra fantascienza ma ci sono basi scientifiche solide», ha spiegato Matthew Phillips, uno dei ricercatori. «L’apprendimento di nuove conoscenze causa modifiche permanenti nel cervello che creano nuove connessioni e nuove memorie. Si chiama neuroplasticità. Il nostro sistema bersaglia le regioni cerebrali dei volontari coinvolte nell’apprendimento provocando i cambiamenti che abbiamo precedentemente registrato nel cervello del pilota». Phillips ha certamente ragione almeno in una cosa. Sembra fantascienza. E naturalmente il cronista che descrive queste ricerche sospende il giudizio. Se non per notare che queste ricerche appartengono a una visione utopistica del mondo high tech americano, lo stesso che alla fine degli anni Sessanta ha portato alla creazione di Internet e che oggi sta spingendo un imprenditore come Elon Musk, fondatore di Tesla, a investire una parte cospicua del suo patrimonio in un progetto per sbarcare su Marte immaginando un futuro in cui quel pianeta sarà colonizzato. Ebbene, in alcuni laboratori degli Stati Uniti si stanno sviluppando ricerche sul cervello permeate da un’analoga cultura visionaria. Ma torniamo alle ricerche degli Hughes Research Laboratories, che oggi appartengono alla General Motors e alla Boeing, e che nel 1940 furono creati grazie ai fondi del tycoon di Hollywood Howard Hughes. Phillips spiega che, dopo aver studiato e copiato i processi elettrici che hanno luogo nel cervello di un pilota, i ricercatori hanno trasmesso la sequenza elettrica direttamente nel cervello dei volontari stimolando i punti giusti. Sono gli stessi ricercatori a dire che, come spesso capita, il sistema da loro ideato si ispira a esperienze che affondano le radici nella storia. Precisamente in quelle dell’antico Egitto che circa 4000 anni fa usavano le scariche elettriche generate da anguille e pesci gatto per curare il dolore e stimolare il pensiero. Il cervello copia-incolla E mentre il laboratorio di Malibu studia i percorsi elettrici del pensiero, a meno di un centinaio di chilometri di distanza Theodore Berger, docente della University of Southern California, e i suoi colleghi hanno usato i percorsi elettrici del cervello per sviluppare una protesi – un microchip – nell’ippocampo per trasferire l’apprendimento da persona a persona. Dal 2015 il chip è in fase di sperimentazione clinica su dodici pazienti affetti da epilessia. In questo caso il chip è stato impiantato per controllare l’andamento degli attacchi, ma più in generale viene proposto per il trattamento delle lesioni cerebrali ed eventualmente per trasferire, scaricandole come se fossero dati da un computer, ricordi e abilità o per ricostruire memorie perdute. «Un ricordo è composto da una serie di impulsi elettrici generati da un certo numero di neuroni in un dato lasso di tempo», afferma Berger. «Si tratta di una scoperta importante perché suggerisce che possiamo rappresentare il tutto con una equazione matematica e inserirla in un sistema computazionale». Berger sostiene di essere riuscito in questa impresa basandosi sulle equazioni sviluppate dal matematico austriaco Kurt Gödel e riuscendo a trasformare i segnali elettrici che si spostano tra le regioni Ca1 e Ca3 dell’ippocampo in un’equazione che, inserita in un microchip, può essere scaricata nel cervello di una persona per recuperare ricordi dimenticati o insegnargli abilità nuove. L’ippocampo è la regione del cervello che ha un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nella navigazione spaziale. Berger e i suoi colleghi sostengono di essere riusciti a registrare la traiettoria elettrica generata dai neuroni dell’ippocampo di alcuni topi di laboratorio i quali, per ottenere una ricompensa (cibo), sono stati costretti a seguire un determinato percorso. I ricercatori, dopo aver registrato le variazioni avvenute nell’ippocampo, hanno somministrato ai topi un farmaco per cancellare i loro ricordi. In questo modo erano incapaci a ricordare il sentiero che conduceva alla ricompensa, ma tornavano a percorrere il tragitto correttamente se venivano stimolati con la registrazione neuronale realizzata in precedenza. I ricercatori sostengono di essere riusciti non solo a ricostituire la memoria nell’ippocampo delle cavie a cui era stata cancellata, ma anche a trasferirla ad altri topi. Ripetuta con le scimmie, la procedura sembra aver prodotto risultati identici. Sulle prove cliniche effettuate su esseri umani i ricercatori non si sbottonano. Si limitano a dichiarare che i risultati iniziali sono molto incoraggianti. I risultati ottenuti da Berger e colleghi sono serviti a convincere Bryan Johnson, amministratore delegato della Kernel – un’azienda biotech per lo sviluppo dell’intelligenza umana di San Diego –a investire 100 milioni di dollari nello sviluppo e nella commercializzazione della loro scoperta. «Lo scopo del dispositivo sarà quello di espandere e sviluppare le potenzialità della mente umana», ha dichiarato Johnson, «esattamente come è avvenuto per l'intelligenza artificiale in anni recenti». Captain Cyborg Anche Kevin Warwick, docente di cibernetica alla University of Warwick in Inghilterra, è convinto che quella del chip neuronale sia la strada giusta per affrontare il problema della ricostruzione dei ricordi e della stimolazione delle abilità professionali. Warwick viene scherzosamente chiamato Capitan Cyborg da quando si è impiantato un chip neuronale nel cervello (probabilmente è stato il primo al mondo a farlo) e già nel 2002 lo ha usato per controllare un braccio robotizzato che si trovava negli Stati Uniti mentre lui se ne stava a Warwick. In un altro esperimento Warwick ha impiantato un chip simile al suo nel cranio della moglie e lo ha utilizzato per condividere le stesse sensazioni fisiche in tempo reale. Nikolas Badminton, ricercatore e futurologo di Vancouver (Canada), sostiene che nei prossimi anni – quando i prezzi caleranno – le protesi elettroniche diventeranno di moda come i tatuaggi. Pur riconoscendo che per ora si tratta di un’esperienza di frontiera, lui si è fatto impiantare un chip nella mano per gestire la sua casa digitalizzata. Un’antenna per i daltonici Le ricerche con le protesi hanno anche ispirato esperienze artistiche di fusione uomo- macchina. Neil Harbisson, inglese, cresciuto in Catalogna e residente a New York, è nato daltonico. Così si è fatto impiantare sulla testa un’antenna (collegata alla rete neuronale) che gli permette di sentire e provare i colori. L’uso delle protesi cerebrali è servito a stimolare una subcultura, quella dei Grinder (bio-hacker), che cerca di preparare il mondo a un futuro trans-umano nel quale persone e macchine si fonderanno (questa è la teoria del gruppo) per far evolvere le capacità fisiche e mentali dell’umanità. Ma cosa succede se queste protesi vengono utilizzate per collegare in rete più cervelli o per permettere a un gruppo di individui di collaborare? Miguel Nicolelis, ricercatore al Duke University Medical Center, sostiene di aver collegato in rete diversi cervelli (va precisato che Nicolelis non è un ciarlatano: a lui si deve l’esoscheletro che alcuni mesi fa ha permesso a un paraplegico di calciare la prima palla dei mondiali brasiliani). Sviluppatore di un interfaccia che permette la comunicazione diretta cervello-cervello, Nicolelis è riuscito a ottenere che dei topi si trasmettessero pensieri ed esperienze a distanza. Poi ha messo in rete un gruppo di primati che hanno collaborato (sempre a distanza, senza contatto visivo) per realizzare un gioco di gruppo. «Dove ci porteranno queste ricerche? Difficile dire – ha risposto Nicolelis – ma tra qualche decennio, quando una madre sarà in grado di condividere la sua vista col figlio nato cieco, o quando una persona muta sarà in grado di parlare grazie a un bypass cervello-cervello che lo collega a una persona in grado di parlare, allora qualcuno si ricorderà che fummo noi, qui, a fare i primi passi». Telepatia e altre stranezze Dunque, secondo questi ricercatori, siamo entrati in un mondo in cui la telepatia è realtà. Vedremo. Ma ormai il termine telepatia include ben altro che il semplice mind-melding (fusione mentale) di Star Trek o esperienze di lettura del pensiero alla Professor X degli X-Men della Marvel Comics. Le ricerche in corso riguardano quasi un centinaio di sotto-settori sempre più surreali. Si spazia dalla “telempatia” (l’abilità di comunicare attraverso le emozioni) che appartiene al livello base; fino alla “panempatia”, cioè la capacità di interpretare le emozioni di milioni di persone in solo colpo, in pratica quello quello ha realizzato Donald Trump nelle recenti elezioni Usa. Nel Livello Assoluto ci sarebbe infine (se proprio vogliamo andare fino in fondo) la Mindscape Materialization, cioè la capacità «di trasformare i propri pensieri e la propria volontà in realtà». Cosa questa che invece Trump non riuscirà a fare da presidente. Ma questa è un’altra storia, ed è davvero fantascienza.

l SCARICHIAMOCI LA MENTE
Benjamin Franklin teorizzò la possibilità di chiudersi in una botte di vino e di uscirne un centinaio di anni dopo per osservare come era evoluta la vita degli esseri umani. Franklin non era un ubriacone, ma formulò la sua ipotesi partendo da un’osservazione empirica, almeno così sostiene la leggenda. Durante un banchetto londinese, versando il vino da una bottiglia vide uscire tre mosche, due delle quali, dopo alcuni minuti, si ripresero e volarono via. Perché non andare in letargo immergendosi in una botte per risvegliarsi, magari un po’ brillo, un paio di secoli dopo?, ipotizzò Franklin prendendola sullo scherzo. I neuroscienziati Ken Hayworth e Randall Koene (della Brain Preservation Foundation) hanno preso sul serio quell’idea e hanno lanciato un progetto (Upload My Mind) per fare l’upload dei propri ricordi, delle conoscenze e della propria personalità e memorizzare il tutto in un computer in grado di emulare i processi cerebrali. Il progetto implica processi complicati (chi volesse approfondirli può farlo sul web: www.brainpreservation.org) ma è venato dalla cultura utopistica che spesso accompagna la cultura high tech americana: improbabili risvegli, mondi futuribili, viaggi interplanetari, immortalità. «Il cervello scaricato nel computer potrà imbarcarsi in un viaggio di mille anni in cui personalità digitali e macchine potranno fondersi per esplorare gli angoli più remoti dell’universo, liberi di penetrare atmosfere aliene e ambiti che trascendono le limitazioni biologiche », ha spiegato Koene che si è dottorato alla McGill University in Canada e ha insegnato alla Boston University. Se Franklyn fosse vivo aderirebbe certamente alla sua proposta. Altro che botte di vino.

IL SOLDATO TELEPATICO

Il Darpa (Defense Advance Research Projects Agency) è un’agenzia del Pentagono che – per statuto – si occupa delle ricerche per il mondo di dopodomani. Fu lanciata alla fine degli anni Cinquanta, dopo lo choc per il lancio del primo Sputnik russo nello spazio, per garantire il primato scientifico degli Stati Uniti grazie alle ricerche di punta finanziate dai militari. Da anni il Darpa è impegnato in studi sul “soldato del futuro” che tra l’altro dovrà essere in grado di dare ordini ai sistemi d’arma solo per mezzo del pensiero. Non stupisce, quindi, che quest’anno siano emersi dettagli su un nuovo sistema di interazione computer- cervello progettato per aumentare le capacità intellettuali e fisiche degli utenti sul campo di battaglia. Si chiama Cortical Modem ed è una minuscola protesi da impiantare nel cervello che – secondo Phillip Alveda, direttore del Dipartimento di tecnologie biologiche del Darpa – consente di “vedere” attraverso segnali trasmessi direttamente alle cellule della retina. Alveda sostiene che nel breve termine sarà possibile produrre un sistema ottico - dal costo di 10 dollari e dalle dimensioni di due monetine sovrapposte - in grado di inviare immagini sulla retina senza bisogno di occhiali, elmetti o altri tipi di display . Tutto – stando alle informazioni diffuse dal Darpa – ruoterebbe intorno a un sensore ultraminiaturizzato (battezzato stentrode) che combina le qualità di un’antenna con quelle di uno stent simile a quelli usati generalmente per riaprire le arterie otturate. Si tratta quindi di un modem neuronale (o corticale) che permetterebbe ai soldati non solo di ricevere le informazioni direttamente nel cervello ma anche di controllare le macchine da guerra (perché con il Darpa sempre di guerra si parla) con il pensiero e ai soldati di comunicare in modo telepatico senza bisogno di vedersi o di utilizzare altri supporti tecnologici.