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99 19.11.2016
Scuola-lavoro
sfruttati
o formati?
Percorsi
| Il progetto sulla formazione professionale
obbligatoria
nell’ultimo biennio delle superiori avanza
con
forza. Ma pesa sugli istituti. E solleva molti dubbi
Oltre
600 mila studenti hanno preso parte l’anno scorso all’alternanza
scuola-lavoro, il progetto che prevede ore di formazione obbligatoria
durante gli ultimi anni delle superiori per avvicinare gli studenti
alla mondo del lavoro. Molti, però, storcono il naso. Il 10
novembre, a Milano, l’accordo siglato tra il Ministero
dell’Istruzione e alcune grandi aziende è stato contestato in
piazza da chi vi ravvisa una forma di sfruttamento minorile. Come si
esprimono i docenti-tutor coinvolti? «Per le aziende, gli studenti
sono un onere, non risorse da sfruttare. Al contrario, molti tutor
aziendali desiderano essere corresponsabili nell’educazione dei
ragazzi», spiega il professor Massimo Valisa, coordinatore del
progetto nel liceo Volta di Milano. «Per i licei come il nostro, il
cui sbocco immediato non è occupazionale, ha poco senso introdurre
gli studenti a una realtà lavorativa che in pochi anni sarà già
profondamente mutata. Noi cerchiamo piuttosto di offrire percorsi che
li portino a ragionare in modo responsabile sul lavoro». Diverso è
il discorso per gli istituti tecnici e professionali, dove il
tirocinio può anche tradursi in una futura assunzione. I problemi
sono legati alla gestione del progetto, che ricade interamente sulle
scuole. La docente Rosanna Agrillo, tutor del liceo milanese Tenca,
racconta: «Per sistemare centinaia di alunni occorre un lavoro
organizzativo
enorme,
e non sempre c’è il tempo di predisporre un’esperienza
significativa. Può allora capitare che gli studenti siano assegnati
a mansioni squalificanti; tuttavia, per nostra esperienza, si tratta
di casi rari». Pur consapevoli che l’esito del tirocinio varia
molto da caso a caso, gli studenti la vivono come un’esperienza
positiva, mentre altri docenti la considerano uno spreco di tempo.
«L’alternanza va a innestarsi sul tronco vecchio del sistema
scolastico italiano», commenta Valisa. «Ci richiede un impegno
annuo di 200 ore, mentre siamo vincolati a completare i programmi
didattici; è chiaro che le due cose entrano in contrasto». (skb)