Pagina 99 12.11.2016
Perché
gli uomini danno scacco matto alle donne
di
Luciano Canova
Ricerca
| Il gender gap sul lavoro spiegato con uno studio sui tornei di
scacchi. Entrambi contesti competitivi. Dove i pregiudizi e la
diversità di genere creano tensioni. Che peggiorano le prestazioni
femminili
Che
esista un gender gap all’interno del mondo lavorativo è palese e
lo mostrano dati inequivocabili. La differenza salariale media (a
favore degli uomini) nei Paesi Ocse è del 18%; al netto, tra
l’altro, di tutti i possibili effetti confondenti. Inoltre,
soltanto un membro su 7 nei consigli di amministrazione delle aziende
americane o europee è una donna. Insomma, la netta sperequazione è
chiara e incontrovertibile. Ma qual è il contesto ideale per
misurare la competizione uomo-donna, magari riproducendo anche la
composizione schiacciante in termini di sproporzione a favore dei
maschi, all’interno del mondo aziendale? Peter Backus, economista
dell’Università di Manchester, e alcuni suoi colleghi
dell’università di Barcellona hanno utilizzato un dataset
originalissimo, che prende informazioni dal mondo professionistico
degli scacchi. Proprio così: hanno preso in considerazione partite e
tornei di scacchi giocate in tutto il mondo tra 2012 e 2013. È una
mole di informazioni notevole, perché fa riferimento a 57.936
partite giocate da 7.932 giocatori diversi provenienti da 154
federazioni nazionali. Ma prima di arrivare ai risultati di questa
ricerca facciamo un passo indietro. Se si cerca di trovare la causa
del gap tuttora esistente tra uomini e donne, le scienze sociali
propongono normalmente tre spiegazioni distinte. La prima parla di
discriminazione in ambito lavorativo; la seconda attribuisce il gap
nella performance alla differenza di abilità cognitive; la terza,
infine, sottolinea come uomini e donne mostrino, sul mercato del
lavoro, preferenze diverse, anche condizionate dal contesto, che si
traducono di conseguenza in risultati economici tanto diseguali. In
realtà, nessuna di queste spiegazioni riesce a soddisfare in
pieno,mentre una letteratura molto più recente e in rapido sviluppo
ha inserito nell’arena un altro fattore decisivo: la differenza nei
livelli di competitività tra uomo e donna. Un’evidenza
sperimentale crescente, infatti, mostra che le donne, quando si
trovano in un contesto competitivo, tendono ad avere prestazioni
peggiori degli uomini: esiste a tal proposito un articolo
del 2003 pubblicato da Uri Gneezy e Aldo Rustichini sul Quarterly
Journal of Economics che ne dà contezza: è come se le donne, in
qualche modo, si facessero più timide nello scontro e ne
scivolassero fuori. Ovviamente, se la spiegazione è di questo tipo,
la differenza salariale prima accennata potrebbe essere letta come
l’effetto di una mera strategia di ottimizzazione del management
che, puntando ad aumentare la produttività, conduce, in un circolo
vizioso, alla persistenza del gap salariale e a una al altrettanto
forte sotto-rappresentatività delle donne nei posti che contano, che
a loro volta incidono sulla composizione di genere e sulla
prestazione lavorativa delle donne. Torniamo a Peter Backus, ai suoi
colleghi di Barcellona e alla loro ricerca, pubblicata con il titolo
Gender, competition and performance: evidence from real tournaments.
Perché mai gli scacchi dovrebbero rappresentare un setting ideale
per questo tipo di analisi empiriche? Innanzitutto, perché anche
negli scacchi c’è una forte differenza di genere: il mondo dei
giocatori professionisti di scacchi è composto da donne solo per
l’11% e c’è solo una donna nella top 100 del ranking mondiale
(la cinese Hou Yifan). In secondo luogo, proprio come l’universo
lavorativo, anche quello scacchistico è fortemente caratterizzato da
stereotipi. Non è un caso che l’articolo scientifico inizi con una
citazione del grande campione Bobby Fischer, che rilasciò nel 1962
questa dichiarazione all’Harper’s Magazine: «Sono tutte deboli;
tutte le donne. Sono stupide in confronto agli uomini. Non dovrebbero
giocare a scacchi, sapete. Sono delle principianti. Perdono ogni
match contro un uomo. Non c’è una giocatrice di scacchi al mondo
che, anche con a disposizione tutti i vantaggi che volete, io non sia
in grado di battere comunque». Il clima, come potete vedere, non è
dei migliori per una donna che volesse avventurarsi in questo
territorio. Un altro aspetto fondamentale è che gli scacchi sono una
delle poche discipline in cui è possibile verificare l’effetto
della competizione one to one, donna contro uomo, senza interferenze
esterne. Inoltre, trattandosi di un gioco fondamentalmente
computazionale, è un’attività in cui la fortuna gioca un ruolo
praticamente nullo (se lo si confronta con i giochi d’azzardo, per
esempio) e in cui è richiesta una grande abilità cognitiva. Gli
scacchi, infine, dispongono di molte metriche per valutare le
capacità di un giocatore, nonché la qualità delle sue mosse: i
ricercatori, in particolare, hanno considerato soltanto individui con
un Elo (indicatore internazionale di forza relativa del giocatore,
che assume valori da 0 a crescere) di almeno 2000 punti (quello,
cioè, dei giocatori esperti), in sostanza per replicare le
condizioni di abilità relativa e stress che, ad esempio, portano
donne e uomini a competere per posizioni di responsabilità e potere
all’interno di un consiglio di amministrazione. Studiando i dati
sulle partite e stimando diversi modelli per verificare le varie
ipotesi allo studio, i risultati della ricerca ci dicono che le donne
producono una performance del 15 % peggiore degli uomini, ma non per
una questione di abilità o talento innato. In realtà, le donne
peggiorano la propria prestazione relativa solo quando si trovano di
fronte a un uomo, e non perché quest’ultimo migliori la propria
strategia. Sembra, semplicemente, che la composizione di genere
impatti, peggiorandola, sulla prestazione delle donne, in modo
assolutamente indipendente dalle capacità di queste ultime, che sono
in tutto e per tutto comparabili a quelle di un uomo. Gli autori
propongono diverse evidenze a favore della teoria degli stereotipi:
in un contesto competitivo, cioè,
dove
forti stereotipi stigmatizzano particolari soggetti, questi ultimi
si trovano sotto pressione e peggiorano la propria
performance. Ciò
avviene, negli scacchi, in parte perché si riduce la working
memory,
l’abilità rilevante di un giocatore, oppure perché un’aumentata
sudorazione o tachicardia possono compromettere la concentrazione
durante la partita. Un risultato interessante è che gli uomini,
quando si trovano a giocare contro una donna, tendono a resistere più
di queste ultime prima di abbandonare il match, quasi che l’orgoglio
impedisse loro di accettare la sconfitta contro l’oggetto dello
stereotipo.
L’articolo
scientifico cita la spiegazione del differente livello di
competitività come argomento forte a sostegno di strumenti di blind
competition, allorché, per esempio, nel mercato del lavoro si
aprono posizioni che vedono contrapposti un uomo e una donna.
Impedire
sul nascere effetti di composizione di genere potrebbe avere ricadute
positive sulla selezione del personale in base al merito. Anche
perché, se qualcuno volesse farsi alfiere della discriminazione di
genere portando come argomento la presunta
predisposizione degli uomini a fare certi tipi di lavori, potreste
avere da oggi un argomento empirico più che valido per metterlo in
scacco. E dargli anche del matto.