lunedì 7 novembre 2016

La Stampa 7.11.16
La trappola del calendario per il premier
di Giovanni Orsina

Comunque vada a finire il 4 dicembre, fra Renzi e l’Italia qualcosa s’è rotto. Magari col tempo, soprattutto se vincerà il Sì, lo si potrà pure riparare. Ma oggi la frattura appare evidente. I segnali sono tanti: dalle elezioni locali, ai sondaggi, all’insofferenza - quando non malanimo - nei confronti del presidente del Consiglio che si respira negli ambienti più diversi. Ma forse il segnale più forte viene dalle proiezioni elettorali, stando alle quali i giovani al referendum sarebbero in larga maggioranza per il No. Un premier quarantenne presenta una riforma che ambisce a modernizzare il Paese, e proprio i giovani gli rispondono picche. Se non è un problema questo…
La personalità di Renzi ne è una prima causa. Quale sia il suo stile lo sappiamo tutti, ormai.
Il premier ama accentrare su di sé ogni sguardo, iper-comunica e iper-promette. È gigione e spaccone. Ora, già di per sé questo è uno stile che viene a noia in fretta. Ma stanca tanto di più, a tal punto da poter generare fastidio, se alle iper-promesse non corrispondono poi degli iper-risultati. In particolare sul terreno economico, che è quello al quale gli elettori tengono di più, il più facile da misurare «oggettivamente», ma anche il più difficile da calpestare.
Nel renzismo, tuttavia, la spacconeria e il gigionismo non sono soltanto un tratto caratteriale, ma soprattutto una risorsa politica. Una delle poche alle quali il giovane leader è potuto ricorrere in mancanza di legittimità elettorale, e visto pure il rapporto non facile col Partito democratico. Renzi è arrivato a Palazzo Chigi «a credito». Privo d’un passato che giustificasse la sua presenza al vertice del Paese, ha dovuto puntare tutto sul futuro. «Sono qui per quello che vi dimostrerò di saper fare», ci ha detto. Non potendoci dire, come faceva ad esempio Berlusconi, «sono qui per quello che già vi ho dimostrato di sapere fare». L’ostentazione di incrollabile fiducia in se stesso, il vitalismo, l’ottimismo, l’enfasi sugli effetti salvifici della propria leadership gli sono stati indispensabili a raccogliere credito.
Dato il clima storico, e considerato che Renzi è diventato segretario del Pd con la missione di fermare il grillismo, le risorse di consenso e legittimità che ha preso in prestito non potevano che essere di natura antipolitica. Collegate insomma alla promessa d’un futuro radicalmente diverso dal presente, un rovesciamento completo, una palingenesi: tutto quello che avreste voluto veder fare da trent’anni a questa parte, e che una politica anchilosata, egocentrica, infingarda non è finora riuscita a darvi.
Ma con l’agire a credito, e credito antipolitico, Renzi s’è infilato in una trappola temporale. Doveva mostrare di saper fare, rafforzare la propria precaria situazione, ottenere risultati, convertire la retorica antipolitica in consenso e legittimità politici, prima che il credito venisse meno, e prima che l’antipolitica alimentata da lui stesso gli si rivolgesse contro. Anche la sua fretta indemoniata, se la guardiamo in questa prospettiva, diventa molto più che un semplice dato caratteriale.
Ecco: oggi non stiamo assistendo ad altro che al richiudersi di quella trappola. Il credito, almeno in un pezzo importante del Paese, è finito. E il meccanismo di conversione della retorica antipolitica in consenso non ha funzionato. La rottamazione s’è rivoltata contro il rottamatore. Il leader carismatico è diventato capro espiatorio. Non è un caso che il No al referendum sia dato più forte, oltre che tra i giovani, anche al Sud. Ossia fra quegli elettori che più disperano della capacità della politica di risolvere davvero i loro problemi, e tendono perciò a usare il voto per sfogare il proprio risentimento contro l’establishment.
Restano aperte tre domande, a questo punto. La prima ha un valore solo storico: aveva alternative, Renzi? Ne dubito. Di certo, la via che ha scelto non prevede un piano B: se continua a insistere sulla sua strategia di sempre, ancora una volta non è soltanto questione di carattere. La seconda avrà risposta il 4 dicembre: vincendo, il presidente del Consiglio potrebbe sfuggire d’un soffio al richiudersi della trappola. Anche se non ne sarebbe ancora fuori - per quello, dovrà vincere le elezioni. Alla terza non sanno dare risposta i suoi oppositori: se il gigione spaccone debitore dovesse fallire, quali alternative ci propone una politica debole, divisa, e assediata dall’antipolitica?