La Stampa 7.11.16
Su Cuperlo la rabbia social, riecco l’accusa: “traditore”
di Massimiliano Panarari
Così
come da copione la furia dei social si è abbattuta sul gentile e
mitteleuropeo intellettuale prestato alla politica Gianni Cuperlo. Un
effetto dell’inarrestabile muscolarizzazione e maleducazione che
imperversa in rete tra i leoni e gli avvoltoi «da tastiera», certamente,
ma anche qualcosa che viene da più lontano, e sta scritto nel dna
stesso della sinistra (italiana e internazionale). L’epiteto che si è
sprecato a proposito di Cuperlo, «reo» di avere firmato il documento di
accordo sulla riforma dell’Italicum, è infatti quello infamante di
«traditore»; e l’accusa di tradimento rappresenta un elemento di lunga
durata della storia delle sinistre, dove tertium non datur, ragion per
cui posizioni intermedie (e meditate) vengono pavlovianamente associate
alla figura del voltagabbana. Non per nulla, nei giorni scorsi,
Pierluigi Bersani – che con i suoi aveva ripetutamente votato a favore
della riforma costituzionale – ha messo le mani avanti dicendo di non
essere un «traditore» del Pd (che vorrebbe riconvertire col No al
referendum nella versione, a lui più congeniale, della «ditta»).
Oggi
antirenziani e renziani si imputano reciprocamente di venire meno ai
patti, ma si tratta soltanto dell’ultima puntata di una saga eterna. In
Italia a sconfessarsi reciprocamente, prima e durante il crollo del Muro
di Berlino, erano comunisti, socialisti e socialdemocratici; nel Secolo
breve a darsi la croce addosso come traditori del movimento operaio
furono socialisti massimalisti e riformisti e, risalendo ancora per li
rami, anarchici e marxisti. Del resto, anche la celebre massima
novecentesca del radicale francese René Renoult «Pas d’ennemi à gauche»
(«mai avere nemici a sinistra») lo testimonia, sottolineando i pericoli e
la virulenza degli attacchi che possono venire da qualcuno che, alla
propria sinistra, ti considera un potenziale traditore che si è spostato
dalla casa madre originaria. Ovvero dalla condizione della purezza
ideologica: e l’allontanamento da essa, nella storia delle sinistre
mondiali, non corrisponde a un puro e «semplice» cambiamento di
opinione, ma direttamente al passaggio all’apostasia. Si diventa così
rinnegati e traditori; e le vicende dei dissidenti (considerati alla
stregua di autentici eretici) del Pci – da Ignazio Silone ai
«Magnacucchi» – risultano da questo punto di vista esemplari.
La
sinistra ha una tradizione di altissima litigiosità interna proprio
perché le sue ideologie sono state fondamentalmente delle versioni
immanenti e mondane di una religione della salvezza; e i suoi eredi
attuali hanno vissuto la secolarizzazione completa e la fine di tali
ideologie, ma non hanno perduto certi vizi. Come quello, appunto, di
scagliarsi addosso anatemi e scomuniche: l’accusa di tradimento, insieme
all’estremismo, la si può pertanto considerare una malattia infantile
del postcomunismo (tanto per parafrasare Lenin, ossessionato dal
«traditore e rinnegato» Karl Kautsky).