La Stampa 20.11.16
Giovani e redditi bassi, il popolo invisibile che fa saltare il banco
Sondaggi
sull’orlo di una crisi mondiale. Non sono stati anni facili per i
sondaggisti. Criticati, a volte a ragione, a volte in modo eccessivo,
per non aver colto i risultati della Brexit in Gran Bretagna o del
referendum sul debito in Grecia. Ma anche delle elezioni in questi due
Paesi. In Italia non sono state viste le impennate del M5S nel 2013 e
del Pd nel 2014. E poi ancora, perplessità per la pessima performance
nel referendum sull’indipendenza della Scozia, dove gli esperti avevano
dato un testa a testa quando ha decisamente prevalso chi voleva restare
nel Regno Unito. Oppure, recentemente, il flop nel prevedere il rifiuto
degli accordi di pace in Colombia, firmati tra governo e guerriglieri
delle Farc, ma rimandati al mittente dal referendum popolare. Nel 2015
c’era stato il caso delle politiche in Gran Bretagna.
Allora i
sondaggi avevano sostanzialmente sottostimato i Conservatori rispetto ai
Laburisti nel voto nazionale. Da un punto di vista storico, in UK sono
stati tra i sondaggi più inaccurati dal 1945. Ce ne erano stati anche
altri, così sbagliati, ma almeno avevano azzeccato il partito vincitore.
Quando invece si sbaglia proprio verso, fa più male. Tant’è vero che
dopo le elezioni le associazioni di categoria hanno promosso una
indagine per capire le ragioni della débacle. Le sue conclusioni -
pubblicate nel 2016 - sono le seguenti: la causa principale degli sbagli
alle elezioni 2015 è dovuta all’utilizzo di campioni non
rappresentativi. I metodi usati dai sondaggisti per raccoglierli hanno
sistematicamente sovra-rappresentato i sostenitori del Labour e
sotto-rappresentato quelli del Partito Conservatore. E gli aggiustamenti
statistici applicati ai dati grezzi non sono riusciti a mitigare il
problema. Nel caso del referendum greco del 2015, i sondaggisti hanno di
molto sottostimato l’entità del No, che ha prevalso nettamente col 61
per cento, rifiutando le condizioni dei creditori per un nuovo prestito.
Tutti concordano sulle difficoltà oggettive affrontate in quella
situazione dagli addetti ai lavori - il referendum è stato annunciato
solo una settimana prima - ma c’è chi ha individuato alcune ragioni per
l’errore grossolano.
Tra queste, proprio il basso tasso di
risposta da parte di alcune fasce di elettori, in particolare i giovani e
quelli con redditi più bassi, ovvero proprio coloro che più
probabilmente erano propensi a votare no. Tassi di risposta più bassi,
ha scritto la ricercatrice Roula Nezi, sono tipici di chi è colpito più
duramente dalle misure dell’austerità. E questo suona come un monito per
prossime consultazioni. Tanto più che la vittoria di Trump a pochi mesi
dal successo del referendum sulla Brexit sembra segnare un nuovo trend
populista per l’Occidente. Dopo il campanello d’allarme del successo del
partito anti immigrati AfD alle elezioni locali tedesche di settembre,
sono diversi gli appuntamenti elettorali in Europa che vengono tenuti
d’occhio, mentre invece il referendum anti immigrati di ottobre in
Ungheria si è rivelato un mezzo flop a causa del quorum insufficiente.
[C.FRE.]