martedì 1 novembre 2016

La Stampa 1.11.16
Settis: l’arte abbandonata dalla politica
“Mancano storici dell’arte e carte geologiche aggiornate. Il ponte di Messina? Una follia”
intervista di Michela Tamburrino

Va in briciole la memoria della nostra storia. Dunque, il senso stesso della vita, quello che eravamo, il perché di come siamo. Perdita dal valore incommensurabile, danno irrecuperabile, oblio per le generazioni a venire». Estremizzando il pensiero di Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte di chiara fama, già direttore della Normale di Pisa e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, si arriva alla distruzione della nostra identità.
Professore, tanto rischiamo?
«Sta sparendo un pezzo di noi stessi, della storia d’Italia. La basilica di San Benedetto a Norcia, simbolo del mondo cristiano di cui resta solo la facciata, è un esempio nitido».
Si può intervenire?
«Considerando l’imprevedibilità di questi fenomeni, bisogna capire come ci si sta muovendo. Io non ho dubbi sul fatto che ci si adoperi, ma purtroppo i funzionari di storia dell’arte sono pochissimi e non possono essere dove serve. Qui paghiamo i vent’anni di non assunzioni ai Beni culturali. Se non ci sono storici dell’arte in grado d’accorrere subito sul posto e di distinguere un monumento del Medioevo da una casa di dieci anni fa, non andiamo da nessuna parte. Anni di negligenza da parte di tutti i governi. Affidare l’inventario a un incompetente è come far curare un malato da uno che medico non è».
Questo a sciagura avvenuta. E per scongiurarla?
«Il secondo aspetto riguarda la prevenzione. Complicata però possibile. I monumenti si devono consolidare cominciando dalle zone più indiziate. Noi italiani siamo generosi, interveniamo di cuore nell’immediato, poi ce ne dimentichiamo. Fino al prossimo disastro. Manca una carta geologica aggiornata per quanto riguarda il 40% del territorio italiano. Fa fede quella di Quintino Sella, che è dell’800. Un’impresa rinnovatrice in questo senso era stata avviata ma poi bloccata dal governo Monti che non la ritenne una priorità... Se le risorse non ci sono, vanno trovate e subito».
Difficile capire dove insistere.
«L’Italia è il terzo Paese al mondo per evasione fiscale, 154 miliardi di tasse non pagate secondo la stima della Confcommercio. Ci attestiamo subito dopo Messico e Turchia. Dati che parlano chiaro, significa che copriamo l’evasione».
Denaro che potrebbe essere utilizzato nella messa in sicurezza. Manca la mentalità?
«Il problema è che continueranno a esserci gli italiani con la pessima abitudine di affrontare la questione su due piani di realtà: la realtà vera è che siamo in un Paese fortemente incline a questi fenomeni, quella finta è che non siamo zona sismica e dunque disponibile anche a ipotesi azzardate come il ponte sullo Stretto di Messina. Progetto quanto mai bizzarro, considerando quanto sia a rischio il sito dove il ponte stesso dovrebbe sorgere. Il terremoto del 1908 in 37 secondi distrusse Messina e Reggio; metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella della città calabrese perse la vita. Non che debba succedere ancora, ma non tranquillizza».
Lei ci dice che, in assenza di un reale problema economico, si tergiversa. Non si affronta la questione. Per sciatteria, perché la si sottovaluta. O peggio.
«Il vero nodo sta nelle priorità che ci diamo. Si costruiscono e si progettano grandi opere e grazie a queste si blocca l’Italia. Penso al Mose che per corruzione costò due miliardi più del previsto, con tutto quello che è seguito, grandi opere che appestano l’Italia. Quando l’unica grande opera è la messa in sicurezza del territorio, perciò dei cittadini. E quando si parla di manodopera che si potrebbe impiegare, si parla della stessa utile per erigere un ponte o per costruire una nuova autostrada là dove non serve. Prendiamo la frana di Giampilieri vicino a Messina, 37 morti e la condanna degli amministratori locali. L’allora responsabile della Protezione civile Bertolaso dichiarò che ci sarebbero voluti due miliardi per intervenire, soldi che non erano disponibili. Contestualmente avvertì che il ponte sullo Stretto si sarebbe fatto. Ecco, bisognerebbe capovolgere queste priorità dando lavoro ai cittadini, uno dei princìpi della nostra Costituzione, e ai giovani disoccupati che potrebbero gestire le opere risanate. Spero solo che il trauma faccia rinsavire chi di dovere».