La Stampa 18.11.16
L’Italia porta l’acqua nella Striscia di Gaza
Il nuovo acquedotto rifornirà due milioni di persone che oggi dipendono dai pozzi
di Franco Giubilei
Nella
Striscia di Gaza vivono circa due milioni di persone che, oltre alla
povertà che interessa il 40% della popolazione e a una disoccupazione
pari al 43%, affrontano quotidianamente l’emergenza acqua: dei circa 360
pozzi che riforniscono le case dei palestinesi, la maggior parte pesca
ormai in acque salmastre che non rispondono ai requisiti minimi di
potabilità. Di conseguenza, quanti ne hanno i mezzi economici se la
comprano confezionata, mentre la fascia più indigente si arrangia come
può.
Per risolvere le criticità di un sistema idrico al collasso,
la Banca mondiale, dopo una gara internazionale, ha finanziato un
progetto di acquedotto elaborato da un consorzio italiano formato da
Lotti Ingegneria di Roma e AI Engineering di Torino.
I cantieri in primavera
È
prevista la realizzazione di un dissalatore, che sarà costruito a metà
dei 40 chilometri della Striscia, e di due diramazioni di tubazioni che
percorreranno Gaza in direzione Nord e Sud a partire da quel punto,
sfruttando come tracciato la sede della vecchia linea ferroviaria posata
dagli inglesi agli inizi del secolo scorso. La progettazione
dell’acquedotto, cominciata a febbraio, sarà conclusa entro la fine di
quest’anno, dopodiché, a primavera, dovrebbero partire i cantieri con
l’assegnazione dei primi lotti: un’opera imponente, che una volta
entrata in funzione «segnerà una svolta storica per la qualità della
vita degli abitanti di Gaza», dice Piercarlo Montaldo, di AI
Engineering.
Luigi Cavazza, di Lotti Ingegneria, azienda capofila
del progetto, spiega: «Allo stato attuale la popolazione dispone solo di
pozzi che a breve potrebbero essere inutilizzabili, a causa delle
infiltrazioni di acqua salmastra. La Banca mondiale ha finanziato per
due milioni di euro la progettazione e per 4 la direzione dei lavori.
Poi serviranno altri 200 milioni per l’impianto di dissalazione, a
carico della Banca europea di investimento, e 180 milioni per le opere
necessarie per la rete di distribuzione». Un intervento del genere, in
un contesto difficile sia per l’isolamento politico-militare di Gaza sia
per l’alta densità abitativa della zona, che rende molto impegnativa
l’esecuzione di lavori di questa importanza, è estremamente complesso:
bisognerà trasportare nella Striscia centinaia di chilometri di
tubazioni, con tubi dal diametro fino a un metro e 60, e poi gruppi
elettrogeni e una trentina di stazioni di pompaggio, fra le 10
principali e altre 20 di dimensioni minori che saranno disseminate lungo
la nuova rete.
La conformazione geografica infatti non aiuta:
Gaza è pianeggiante, dunque sarebbe impossibile sfruttare pendenze
naturali che non esistono. D’altra parte, le tensioni
israelo-palestinesi, sfociate solo due anni fa nell’invasione delle
truppe di Gerusalemme, di cui i palazzi più alti recano ancora le
tracce, rendono del tutto sconsigliabile la costruzione di
torri-serbatoio: «I tecnici palestinesi hanno fatto notare che sarebbe
inopportuno - osserva Montaldo -. Durante i nostri sopralluoghi a Gaza,
anche noi siamo rimasti colpiti dal fatto che tutti gli edifici di una
certa altezza, compresi i minareti, portano i segni delle ultime
battaglie del 2014». Ecco perché, per mantenere la pressione lungo la
rete, sarà necessario interrare le stazioni di pompaggio.
L’energia elettrica
«Dovremo
anche studiare l’approvvigionamento energetico, dato che nella Striscia
c’è penuria di energia elettrica, cercando di ottimizzarlo al massimo -
aggiunge Guido Casanova, che partecipa alla progettazione -. Grandi
gruppi elettrogeni dovranno garantire le forniture. Per dare un’idea
delle dimensioni, ogni singola stazione di pompaggio pesa cinque
tonnellate».
Per il completamento della prima tranche di lavori ci
vorranno, se tutto fila liscio, almeno 4-5 anni. A quel punto, i nuovi
impianti dovranno assicurare la dissalazione e la distribuzione di 55
milioni di metri cubi d’acqua all’anno, quantità di cui è previsto il
raddoppio a 110 milioni entro il 2030. Parte dei pozzi attuali potrà
continuare a funzionare, così come la rete di distribuzione alle case:
«Quel che manca ora è la risorsa principale, l’acqua - conclude Cavazza
-. Questo progetto tende proprio a erogarne in misura sufficiente e di
qualità buona».