domenica 13 novembre 2016

La Stampa 13.11.16
L’eccezione che distingue gli Stati Uniti
di Maurizio Molinari

«È stato un voto per il cambiamento, come nel 2008». E’ David Plouffe, l’architetto dell’elezione di Barack H. Obama, a riassumere la vittoria di Donald J. Trump con lo stesso termine che coniò allora: «Change». L’America che voltò pagina passando dal repubblicano George W. Bush al primo Presidente afroamericano identificando in lui il vettore del «change» è lo stesso Paese che, otto anni dopo, punisce severamente il partito democratico costruito da Obama per consegnare la Casa Bianca al movimento che si rispecchia nel tycoon di New York.
In questi cambiamenti così rapidi e drastici c’è lo specchio dell’eccezione americana ovvero di una democrazia che, sin dalla sua fondazione, si alimenta e rinnova attraverso i contrasti più duri, spietati ma sempre all’interno di regole condivise: come quello che ha distinto l’ultima campagna presidenziale fra Hillary Clinton e Donald Trump.
Tale eccezione ha tre elementi-chiave. Primo: ciò che distingue il legame degli americani con il proprio Paese non è il nazionalismo di tipo europeo ma il patriottismo ovvero non i contrasti su chi è più o meno americano sulla base di nascita, identità o casacca politica ma la fedeltà comune alla Costituzione redatta dai Padri Fondatori con la volontà di «rendere più perfetta l’Unione», adattandola ai cambiamenti imposti dalla Storia. Ciò significa che anche lo scontro più aspro viene ricondotto all’interno di una cornice di valori comuni che è poi il testo della Dichiarazione di Indipendenza del 1776.
Secondo: i contrasti non sono paludati, smussati, e non si superano con i compromessi ma con la vittoria netta di un campo sull’altro. Il «Civil Right Act» di Lyndon B. Johnson, il «Patriot Act» di George W. Bush e la riforma della Sanità di Barack Obama sono esempi di leggi sulle quali la nazione si è lacerata, ha vissuto al Congresso di Washington e fuori scontri feroci, e poi li ha superati quando i sostenitori hanno vinto e gli oppositori hanno perso. Si è trattato di vittorie, parlamentari e politiche, spietate perché il modello di confronto da cui discendono è quello delle comunità di pionieri della nuova frontiera descritta da Frederick Jackson Turner: c’era da decidere dove attraversare un fiume minaccioso, se combattere contro una tribù di nativi, se percorrere una carovaniera infestata dai banditi. Ovvero, scelte esistenziali dove la via di mezzo non poteva esserci. Si votava, a maggioranza, c’era sempre chi vinceva e chi perdeva. Ed i primi avevano la responsabilità di far seguire il voto ad un successo palpabile, inequivocabile. Altrimenti la loro leadership era compromessa, andava perduta a vantaggio dei rivali.
Terzo: quando questi scontri aspri su temi di valore - come la sicurezza o i diritti civili - si succedono consentono alla società americana, nel suo insieme, di crescere in direzioni diverse. Ad esempio, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 il «Patriot Act» ha consentito all’America di Bush di essere la prima nazione a darsi leggi per difendersi da un nuovo tipo di terrorismo così come negli ultimi quattro anni l’impegno di Obama a favore dei diritti gay ha fatto dell’America la frontiera avanzata del loro inserimento, a pieno titolo, nel novero dei diritti civili. La maggioranza, nel Congresso e nel Paese, che ha sostenuto il «Patriot Act» è stata assai diversa da quella che ha fatto avanzare i diritti gay ma in entrambi i casi gli sconfitti hanno accettato l’esito delle dure battaglie. Ed a guadagnarci è stata l’America come nazione, tanto sul piano della sicurezza che dei diritti.
Ciò che muove la democrazia americana dunque è una dinamica fatta di scontri aspri all’interno di una comune cornice di patriottismo con il risultato di far crescere la nazione in direzioni opposte, contrastanti. E’ in tale eccezione americana che deve essere collocato Trump perché ciò che distingue il «change» che propone è la necessità di correggere gli errori della globalizzazione per redistribuire la ricchezza al fine di rispondere allo scontento dei ceti disagiati, rimasti ai margini della crescita di prosperità. Trump vuole dunque andare incontro alla richiesta di diritti di eguaglianza economica, così come Obama ha fatto per i diritti civili nella società post-razziale e George W. Bush per i diritti di sicurezza nell’età del terrorismo. Ecco perché quanto avvenuto Oltreoceano dall’inizio di questo secolo testimonia che resta l’America il motore - imperfetto ma irrinunciabile - delle democrazie occidentali. Grazie ad un’eccezione che nasce dalla genesi dell’Unione ed è indipendente dal nome del Presidente.