sabato 12 novembre 2016

La Stampa 12.11.16
“Un mercato senza più vincoli”
La ricetta per rilanciare gli Usa
I fedelissimi del tycoon scrivono il programma economico
Meno burocrazia e meno tasse sul lavoro, più negoziati bilaterali
di Francesco Semprini

Deregolamentazione a tutto campo per sostenere produttività e innovazione tecnologica. Donald Trump si fa guidare dalla stella più alta del firmamento repubblicano, Ronald Reagan. La «Reaganomics», la ricetta economica che ha come ingredienti l’abbattimento della burocrazia in mercati e settori produttivi, e l’alleggerimento della tassazione sul lavoro, è il punto di riferimento del presidente in pectore.
Sebbene «The Donald» non abbia ancora reso noti uomini e programmi a cui affiderà la politica economica dei prossimi quattro anni, giorno dopo giorno emergono elementi utili a capire come «Farà l’America grande di nuovo». Uno spunto arriva da Robert J. Barro, professore di Harvard su cui Trump avrebbe posato gli occhi per un futuro ruolo nella sua squadra di governo. In un recente lavoro per «American Enterprise Institute», osservatorio di orientamento conservatore, Barro utilizza la formula «Job-filled non-recovery», ovvero crescita di posti di lavoro senza una reale crescita economica. Un’«anomalia» generata dal fatto che il governo ha usato e abusato di politiche assistenziali, sussidi di disoccupazione, buoni pasto, pensioni di invalidità e soprattutto l’Obamacare (che tuttavia potrebbe in parte sopravvivere, secondo quanto dichiarato dallo stesso Trump). Secondo Barro si tratta di misure che, sebbene non generose come in certe realtà europee, disincentivano la ricerca di occupazione. E questo crea «l’ingannevole» riduzione del tasso di disoccupati, rapporto tra disoccupati e chi cerca effettivamente lavoro. L’altro effetto, secondo Barro, è che sono stati create posizioni, certo, ma si tratta di lavori spesso part-time o precari e che, in ultima istanza, non aumentano il numero complessivo di ore lavorate. Questo vuol dire - ed ecco il passaggio critico - che la produttività, ovvero quanto ogni individuo produce in un determinato intervallo di tempo, rimane invariata. E quindi non crescono salari e stipendi, prigionieri della stagnazione a cui si è assistito negli ultimi anni e di cui hanno pagato le spese maggiori la classe media. Questa la patologia.
La cura, secondo la Trumpeconomics - è che la produttività cresce facendo diventare più efficienti i mercati, riducendo il peso di regole e burocrazia. In una parola «deregulation», sul modello della Reaganomics a cui deve essere associata una riduzione della tassazione su lavoro e redditi da capitale. Si tratta di un intervento dal lato dell’offerta, mentre su quello della domanda l’imperativo deve essere «mettere i soldi pubblici in investimenti produttivi». «Non dobbiamo fare un ponte solo perché fa crescere il Pil sulla base della semplice equazione keynesiana, - spiegano fonti interne al partito repubblicano -. Per capirci un ponte che non è percorso è come un negozio sfitto, non serve. Un nuovo New Deal alla Roosevelt non serve a nessuno». Su un aspetto invece potrebbero sorgere frizioni in seno alla nuova amministrazione: il commercio. Come fa notare Barro - repubblicano che però non ha sposato in blocco la dottrina Trump - il commercio aiuta l’innovazione tecnologica, che è un motore della crescita, quindi porvi dei limiti è stolto. E come Barro la pensano in molti nel Grand Old Party. «Attenzione però, perché Trump ha sempre parlato male del Tpp, che riguarda Paesi a basso costo del lavoro, ma non del Ttip, il trattato con l’Europa, che è invece fatto di regole volte a migliorare l’efficienza dei mercati», spiegano da ambienti conservatori a Washington. In quest’ottica il presidente eletto potrebbe fare dei distinguo fondamentali. E anche sul tanto criticato Nafta ci potrebbero essere convergenze parallele, visto che sia il presidente messicano Enrique Peña Nieto, sia il premier canadese Justin Trudeau sembrano pronti a ridiscuterne i termini.
Infine, sugli altri fronti Trump potrebbe puntare a negoziati bilaterali, un aspetto di cui parlerà in tempi brevissimi con la premier britannica Theresa May. Deregolamentazione vuol dire anche stracciare la legge Dodd-Frank sul settore finanziario, per sostituirla con un progetto alternativo messo a punto da Jeb Hensarling, attuale presidente della commissione Servizi finanziari della Camera e uno dei papabili al Tesoro. Una misura che, al contrario di quanto sembri, ben si sposa con la volontà di porre paletti alle «vecchie signore» di Wall Street come predica la Trumpeconomics. «La legge ha favorito le grandi banche e penalizzato quelle locali per gli alti costi di “compliance”», spiegano. Ovvero quegli istituti su cui Trump punta per rilanciare il credito alle piccole imprese tagliate fuori dalla crisi. Al Wall Street Journal ieri ha ribadito che «le banche devono tornare a prestare soldi come una volta». Lo stesso Jamie Dimon, a.d. di Jp Morgan e papabile alla guida della squadra economica di Trump, ha ammesso che la legge «è il fossato più profondo che lo protegge dal resto del sistema bancario». E non a caso il collega di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ha commentato all’ipotesi di smantellare la legge in questo modo: «Va bene modificarla ma non mi sembra il caso di eliminarla del tutto».