La Stampa 11.11.16
Il fronte del no e la speranza della “spallata americana”
di Marcello Sorgi
La
corsa a ostacoli per il referendum è finita. O almeno dovrebbe, visto
che la magistratura di Milano ha respinto il ricorso del professor Onida
(che ha subito annunciato appello) e quello di un pool di legali che
miravano alla separazione dei quesiti sulla riforma e a coinvolgere la
Corte Costituzionale, nella speranza che dichiarasse l’illegittimità
della legge istitutiva delle consultazioni referendarie.
La
giudice Dorigo, del Tribunale ambrosiano, s’è presa un po’ di tempo
prima di decidere, ma non si è limitata a un rigetto formale dei
ricorsi. Ha messo per iscritto che l’idea di splittare le domande da
sottoporre agli elettori, separando, ad esempio, il voto sulla
trasformazione del Senato da quello sul rapporto tra Stato e regioni o
sull’abolizione del Cnel non è ammissibile perché riforme le fa il
Parlamento, e ai cittadini tocca accettarle o rifiutarle, non sceglierne
una parte bocciandone un’altra, come se appunto non fossero connesse
tra loro. Essendosi così pronunciata sul merito, la giudice non ha
ritenuto di rivolgersi alla Consulta.
Sebbene in linea teorica
esista la possibilità che il verdetto, pur motivato, venga ribaltato in
appello, tutto spinge a pensare che, avvicinandosi ormai la data del
voto, difficilmente il giudice di secondo grado vorrà assumersi la
responsabilità di far saltare il referendum. Il conto alla rovescia - da
oggi mancano ventiquattro giorni al 4 dicembre - è ripartito, e il
clima in cui si svolgeranno queste ultime settimane di campagna
elettorale sarà, se possibile, ancora più infuocato, grazie anche alla
sorpresa del risultato delle elezioni americane.
Com’era
prevedibile fin dalle prime dichiarazioni che hanno accompagnato la
vittoria di Trump, soprattutto all’interno del fronte del «No» s’è
diffusa la convinzione che la sconfitta di Renzi e del «Sì», motivata da
un voto anti-establishment come quello americano, sia adesso più a
portata di mano. Si tratta ovviamente di atteggiamenti emotivi, non
essendoci alcun rapporto diretto tra l’elezione del presidente Usa e la
consultazione sulla riforma costituzionale. Ma tant’è: attorno al
premier e a Palazzo Chigi c’è una specie di assedio, e Renzi avrà il suo
bel da fare per cercare di romperlo. Ma da un certo punto di vista, la
trincea del «tutti contro uno» potrebbe anche finire con l’agevolare il
presidente del Consiglio, rimasto praticamente solo, a parte l’appoggio
dei centristi, nella difesa della riforma. Chi sta scommettendo tutto
sulla replica della spallata americana, infatti, potrebbe scoprire in
ritardo che la sorpresa di Trump è tale da provocare pure un
contraccolpo.