Internazionale
19.10.2016
Islam
arcobaleno
di
Brian Whitaker, The Guardian, Regno Unito
Secondo
la propaganda ufficiale, nei paesi mediorientali i gay non esistono.
È
solo per questo che leggi estremamente repressive sono applicate di
rado
e
il problema principale è l’atteggiamento ostile della famiglia e
della società
Quando
nel 2015 la corte suprema degli Stati Uniti si è pronunciata a
favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Casa Bianca
ha accolto la decisione con luci arcobaleno (simbolo della comunità
gay e transgender) e tante persone hanno festeggiato aggiungendo quei
colori ai loro profili di Facebook. La sentenza invece ha allarmato
l’Arabia Saudita e l’ha messa in guardia su un pericolo di cui
non si era resa conto. La prima vittima è stata la scuola Talee al
Noor di Riyadh, che per caso aveva la balaustra del tetto dipinta con
i colori dell’arcobaleno. Secondo quanto riferito dalla polizia
religiosa del regno, la scuola ha ricevuto una multa di 100mila riyal
(24mila euro) per aver esposto “il simbolo dell’omosessualità”
sull’edificio. Uno degli amministratori è finito in prigione e la
balaustra incriminata è stata subito ridipinta per abbinarla al
colore blu di un cielo senza arcobaleno. Il caso della scuola di
Riyadh mostra come i progressi raggiunti in una parte del mondo
possano avere l’effetto contrario in un’altra, e serve a
ricordare che ci sono luoghi dove il legame tra l’arcobaleno e i
diritti della comunità lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e
transgender) è una novità o deve ancora essere scoperto. Pochi anni
fa in Afghanistan andava di moda decorare le automobili con adesivi
arcobaleno, forniti da fabbriche cinesi più che felici di venderli.
La moda si è bruscamente interrotta quando l’agenzia di stampa
afgana Pajhwok ha spiegato che quella moda poteva generare dei
malintesi. Su internet si vendono copie del “Corano arcobaleno”:
un’inconsapevole edizione gay del libro sacro con le pagine di
tutti i colori, raccomandata come “regalo ideale per i musulmani”.
Non è come sembra. Tuttavia questo fraintendimento interculturale ha
due facce. In Egitto i turisti occidentali spesso restano sorpresi
quando vedono due uomini, a volte anche soldati in uniforme, che si
tengono per mano in strada. In Libano ci sono uomini eterosessuali
che passano ore ad agghindarsi e in Afghanistan i guerrieri si
truccano gli occhi. Non significa quello che si potrebbe immaginare,
ma è anche meno sorprendente di quanto può sembrare. La
segregazione di genere, che raggiunge livelli estremi nei paesi
musulmani più conservatori, incoraggia comportamenti omosociali,
cioè di vicinanza tra persone dello stesso sesso, perché crea una
situazione in cui gli uomini si sentono più a loro agio in presenza
di altri uomini, e in cui posare la mano sul ginocchio di un altro
uomo è un segno di amicizia, non un invito al sesso. Inoltre in
questi paesi gli uomini si abbracciano e si baciano molto e, secondo
un ex direttore della commissione per le fatwa dell’università di
Al Azhar, in Egitto, non c’è niente di male in un bacio tra
persone dello stesso sesso, purché non ci sia “alcuna possibilità
di tentazione”. In generale la società musulmana è ancora
fortemente patriarcale. Il patriarcato, per sua stessa natura, esalta
la mascolinità. Non è peccato apprezzare la bellezza maschile.
Nella visione coranica del paradiso non ci sono solo 72 ragazze
vergini servizievoli, ma anche bellissimi ragazzi che offrono
un’infinità di bevande analcoliche. Ovviamente le relazioni tra
persone dello stesso sesso non sono solo platoniche. In passato le
società musulmane hanno spesso riconosciuto i rapporti omosessuali,
tollerandoli in qualche misura, anche se non approvandoli.
Nell’ottocento e nel novecento gli uomini perseguitati per la loro
sessualità in Europa trovavano spesso rifugio in Marocco e, molto
prima che in occidente si fantasticasse sul matrimonio tra persone
dello stesso sesso, nelle remote oasi egiziane di Siwa le relazioni
tra uomini erano riconosciute e celebrate con una cerimonia. Sono
diventate oggetto di scherno per la presunta omosessualità degli
abitanti. Una di queste è Idlib, in Siria, un’altra è Qazvin, in
Iran. Secondo un’antica storiella afgana, gli uccelli volano su
Kandahar con un’ala sotto la coda, per precauzione. A un altro
livello, però, c’è poco da scherzare. Oggi in Iran il lavat (la
sodomia) è un reato capitale e spesso è punito con la morte. Anche
in Arabia Saudita, Sudan, Yemen e Mauritania la sodomia è punita con
la pena di morte, ma non si hanno notizie di esecuzioni da almeno un
decennio. In altri paesi arabi, come Algeria, Kuwait, Libano, Libia,
Marocco, Oman, Qatar, Somalia, Tunisia e Siria, la pena è il
carcere, che in Bahrein può arrivare fino a dieci anni. Nei paesi in
cui non c’è una legge specifica contro l’omosessualità, i gay
possono comunque essere perseguiti in base ad altre norme. In Egitto,
per esempio, si ricorre spesso a una vecchia legge contro la
“dissolutezza”. Queste leggi hanno un effetto devastante sulla
vita di chi ha la sfortuna di essere colto in flagrante. Tuttavia,
nonostante sporadici giri di vite, in genere le autorità non danno
la caccia ai gay. Le statistiche sono scarse, ma il numero degli
arresti è inferiore a quello raggiunto durante l’ondata di
omofobia nel Regno Unito negli anni cinquanta. Nel 1952 nel Regno
Unito ci furono 670 procedimenti penali per sodomia, 3.087 per
tentata sodomia o abuso sessuale e 1.686 per atti osceni. Il problema
è che, anche se non sono applicate con vigore, queste leggi
rappresentano la disapprovazione ufficiale nei confronti
dell’omosessualità e, abbinate alle invettive dei religiosi,
legittimano la discriminazione quotidiana e possono anche fornire un
pretesto a chi vuole fare giustizia da sé. Anni prima che il gruppo
Stato islamico cominciasse a lanciare presunti gay giù dai tetti,
altri gruppi in Iraq aggredivano uomini “effeminati”, a volte
uccidendoli lentamente con iniezioni di colla nell’ano. Una
decisione difficile Il numero relativamente basso di azioni penali si
spiega in parte con la narrazione ufficiale secondo cui nei paesi
musulmani non c’è una presenza rilevante di gay. L’omosessualità
è considerata principalmente un fenomeno occidentale, e un gran
numero di arresti metterebbe in discussione questa convinzione.
Alcuni dei regimi arabi più brutali, come l’Iraq di Saddam Hussein
e la Siria sotto la famiglia Assad, hanno mostrato scarso interesse
per i gay, probabilmente perché avevano altro di cui occuparsi.
Tuttavia ci sono periodi di crociate morali e momenti in cui a un
governo fa comodo scaricare i mali del paese su chi è meno in grado
di difendersi. È quello che ultimamente sta facendo il regime di
Abdel Fattah al Sisi in Egitto. L’attivista per i diritti civili
Scott Long sul suo blog documenta in dettaglio gli attacchi di Al
Sisi contro le minoranze sessuali. I gay non sono gli unici, il
regime sta anche lavorando a una strategia per “sradicare”
l’ateismo. Nei paesi arabi gli arresti riguardano spesso gruppi di
uomini che partecipano a feste (a volte descritte come “matrimoni”
gay) o che frequentano gli hammam. Individui e coppie accusati di
pratiche sessuali illegali possono essere arrestati per varie
ragioni, comprese alcune che non sono direttamente legate
all’omosessualità. Sono stati segnalati anche casi di uomini
sospettati di essere gay e arrestati dalla polizia per ottenere
denaro o informazioni. L’effetto sulla vita di chi viene arrestato
è catastrofico, ma la legge non è un grande deterrente e chi è
discreto sulla propria sessualità non corre grandi rischi di finire
in carcere. Per la maggior parte delle persone gay, lesbiche o
transgender, il problema più grave è l’atteggiamento della
famiglia e della società. Una questione che riguarda tutti i gay,
ovunque, a un certo punto della loro vita è il coming out, la
rivelazione del proprio orientamento sessuale. Per i musulmani può
essere una decisione particolarmente difficile. Nei paesi islamici la
pressione a sposarsi è molto più forte che nella maggior parte dei
paesi occidentali. Restare single di solito è considerato un
fallimento sociale e una volta che i giovani hanno completato gli
studi organizzare il loro matrimonio è una priorità per la
famiglia. Le famiglie più tradizionali s’impegnano nella ricerca
di un partner e i matrimoni combinati sono ancora molto comuni. Per
chi non è attratto dal sesso opposto è un grande problema. Alcuni
riescono a rinviarlo prolungando gli studi o andando all’estero.
Altri cedono alle pressioni e accettano un matrimonio indesiderato. I
più fortunati trovano un compagno dell’altro sesso gay o lesbica e
portano avanti un matrimonio finto. Altri ancora stringono i denti e
decidono di fare coming out. La reazione delle famiglie dipende da
diversi fattori, tra cui la classe sociale e il livello d’istruzione.
Nei casi estremi, il coming out porta all’ostracismo o perfino ad
aggressioni. La reazione meno dura è cercare una “cura”:
attraverso la religione o, nelle famiglie più ricche, ricorrendo a
costose e inutili terapie psicologiche. Dopo la strage di Orlando –
avvenuta a giugno nella città della Florida, quando un cittadino
statunitense di origini afgane ha ucciso 49 persone in un locale
frequentato da gay – qualcuno ha osservato che i paesi dove la
sodomia è punita con la morte si giustificano invocando la legge
islamica. Ma dare tutta la colpa all’islam è una semplificazione.
In Egitto e in Libano, paesi prevalentemente musulmani con una
cospicua popolazione cristiana, l’atteggiamento dei cristiani verso
l’omosessualità non è molto diverso da quello dei musulmani.
Inoltre, è appurato che il profeta Maometto non ha mai indicato
alcuna punizione per l’omosessualità. I musulmani hanno cominciato
a discutere delle possibili punizioni alcuni anni dopo la sua morte.
Per i musulmani, come per i cristiani, la condanna dell’omosessualità
si basa principalmente sulla storia della punizione che Dio inflisse
a Sodoma e Gomorra, narrata sia nel Corano sia nel Vecchio
testamento. La versione della Bibbia e quella del Corano sono molto
simili. La differenza sta nel fatto che nel corso degli ultimi
sessant’anni molti cristiani hanno riletto la storia con un altro
sguardo e sono arrivati
alla
conclusione che si riferisce allo stupro maschile e al maltrattamento
degli stranieri, più che al sesso consensuale tra uomini. Finora
invece sono stati pochi i musulmani disposti a rivedere la storia. La
questione principale è che per quanto le parole del testo sacro
siano invariabili e immodificabili, sono pur sempre soggette alle
interpretazioni umane, che possono variare a seconda dei tempi, dei
luoghi e delle situazioni sociali. Ovviamente questo è un aspetto
che i fondamentalisti, sia musulmani sia cristiani, preferiscono
negare. Anche se oggi le società musulmane possono essere descritte
come generalmente omofobiche, è un errore considerare l’omofobia
un problema a sé stante. Invece fa parte di una sindrome in cui i
diritti degli individui sono inglobati negli interessi percepiti
della comunità, spesso con l’obiettivo di mantenere un’identità
“islamica”. Il risultato è che la società attribuisce un grande
valore alla conformità e che le espressioni d’individualità sono
disapprovate. Si pone una forte enfasi sulla difesa delle norme
sociali e sul mantenimento delle apparenze, se non in privato almeno
in pubblico. Il ruolo del genere Il sistema patriarcale gioca un
ruolo rilevante anche in questo, con una precisa definizione dei
ruoli degli uomini e delle donne. I maschi omosessuali, in particolar
modo quelli che hanno tratti femminili, possono essere considerati un
affronto all’ordine sociale. Gli uomini “mascolini” che hanno
rapporti sessuali con altri uomini sono una questione un po’
diversa. Anche se la legge dello stato e quella tradizionale islamica
considerano la penetrazione anale passiva e attiva ugualmente
illecite, l’opinione popolare verso il partner attivo tende a
essere meno ostile: resta un uomo che fa quello che per natura fanno
gli uomini, anche se non con una donna. Il partner passivo invece è
guardato con disgusto: si comporta come una donna e si dà per
scontato che non possa farlo per piacere, quindi si prostituisce. I
rapporti lesbici passano per lo più inosservati, probabilmente
perché in una società che privilegia i maschi, gli uomini non ci
prestano molta attenzione o non la considerano una cosa
significativa. La tradizionale concezione dei ruoli di genere crea
problemi particolari alle persone transgender, soprattutto in paesi
dove la segregazione dei sessi è applicata più rigorosamente e il
travestitismo è criminalizzato. Nel 2007, sotto la pressione dei
parlamentari islamisti, il Kuwait ha emendato il codice penale in
modo che chiunque “imiti il sesso opposto” rischia fino a un anno
di carcere o una multa di mille dinari (circa tremila euro). Nel giro
di un paio di settimane almeno quattordici persone finirono in
carcere per il nuovo reato. Siccome in Kuwait non c’è una
procedura legale per registrare il cambio di sesso, anche le persone
transgender che si sono sottoposte all’intervento chirurgico
rischiano l’arresto per travestitismo. Transgender è un termine
ampio che include persone intersessuali (il cui sesso biologico non è
chiaro o è stato mal attribuito alla nascita), chi ha una disforia
di genere (si sente un uomo intrappolato nel corpo di una donna o
viceversa) oppure chi semplicemente prova piacere o soddisfazione nel
travestitismo. L’islam ha una certa casistica in quest’ambito,
che per certi aspetti lo rende accomodante e per altri no. I
resoconti sulla vita del profeta rivelano che aveva familiarità con
tre tipi di diversità di genere, a parte il dualismo
maschio-femmina. Gli eunuchi (uomini castrati) e i mukhannathun
(uomini effeminati) non erano sottoposti alle regole della
segregazione di genere: potevano entrare nei ginecei, presumibilmente
perché si riteneva che non ci fosse il pericolo di cattive condotte
sessuali. Gli eunuchi spesso acquisivano posizioni influenti
amministrando le case delle ricche famiglie musulmane. I mukhannathun
erano meno rispettabili e avevano la reputazione di frivoli e loschi,
anche se pare che fossero tollerati nei primi anni dell’islam. Non
sembra che fossero associati all’omosessualità durante la vita del
profeta, ma lo furono più tardi. Il terzo gruppo, i khuntha, che
oggi sarebbero chiamati intersessuali, si è rivelato più complesso
dal punto di vista teologico. L’affermazione contenuta nel Corano
che Dio “ha creato ogni cosa in coppia” è alla base di una
dottrina islamica secondo cui ognuno è o maschio o femmina: non ci
può essere una via di mezzo. Questo ha sollevato la questione di
cosa fare con i bambini nati con genitali ambigui, considerato che,
secondo la dottrina, non potevano essere sessualmente neutri. I
giuristi islamici hanno risolto il dilemma concludendo che questi
bambini devono avere un sesso “nascosto”, che aspetta di essere
scoperto. Il problema era come scoprirlo e i giuristi hanno concepito
regole elaborate per farlo. A questo proposito, si è rivelata
particolarmente utile una frase attribuita al profeta sull’urina e
sulle diverse regole di eredità per gli uomini e per le donne. Il
profeta avrebbe affermato che l’eredità è determinata dal “luogo
della minzione” (mabal in arabo). Così nell’anno mille lo
studioso della scuola hanaita Al Sarakhsi spiegò che una persona che
urina “dal mabal degli uomini” dovrebbe essere considerata un
maschio e chi lo fa “dal mabal delle donne” una femmina. Oggi la
rilevanza di queste norme sta nel fatto che giustificano gli
interventi chirurgici per cambiare sesso, purché lo scopo sia
scoprire il sesso “nascosto” della persona. È su queste basi che
le operazioni per cambiare sesso sono eseguite in vari paesi
musulmani, tra cui l’Arabia Saudita e l’Egitto. Intervento
forzato Ma se possono giustificare un intervento nei casi
d’intersessualità, è molto più difficile applicare queste norme
nei casi di disforia di genere. Negli anni ottanta in Egitto ci fu
una controversia che coinvolse uno studente di diciannove anni a cui
era stata diagnosticata una disforia di genere (o “ermafroditismo
psicologico”, come lo definì un medico all’epoca) e si era
sottoposto a un intervento per diventare donna. Il caso divenne di
dominio pubblico quando l’università Al Azhar rifiutò di
riammetterlo, sia come studente donna sia come uomo. Per molti il
concetto di disforia di genere era difficile da capire e per altri si
trattava di un uomo gay che cercava di raggirare il sistema. Il caso
si concluse con una fatwa di Muhammad Tantawi, il gran muftì
d’Egitto, che è ancora citata nei tribunali di tutta la regione.
In linea con l’ortodossia islamica, Tantawi affermò che
l’intervento chirurgico era lecito “al fine di rivelare la parte
nascosta degli organi maschili o femminili”, ma aggiunse che non
era ammissibile “all’unico scopo di soddisfare il desiderio di
cambiare sesso da donna a uomo o viceversa”. In sostanza, la
questione dell’intervento chirurgico nei casi di disforia sessuale
è rimasta irrisolta, consentendo così sia ai sostenitori sia ai
detrattori di interpretare la fawta come preferiscono. Tuttavia nella
pratica sottoporsi all’intervento non è l’ostacolo più grande:
chi può permetterselo di solito va all’estero. È più complicato
ottenere l’accettazione sociale e un riconoscimento ufficiale del
cambio di sesso. Da un punto di vista teologico, l’Iran sciita
sembra avere meno problemi con la disforia di genere rispetto ai
paesi sunniti. Oggi in Iran si eseguono più operazioni per cambiare
sesso che in qualunque altro paese, a parte la Thailandia. A un primo
sguardo l’approccio iraniano al cambio di sesso può sembrare
sorprendentemente liberale, ma in realtà ha un lato oscuro. Una
preoccupazione è che le persone possano subire pressioni per
sottoporsi a operazioni che in realtà non vogliono fare. Ci sono
tante persone transgender che desiderano semplicemente essere
accettate così come sono, senza interventi chirurgici, e il sistema
iraniano non se ne occupa. Inoltre la differenza tra essere
transgender e gay non è pienamente compresa in Iran, neanche dai
medici, e ci sono stati casi di omosessuali spinti a sottoporsi
all’intervento per “regolarizzare” il loro status legale ed
evitare il rischio della pena capitale. Un nuovo attivismo In Medio
Oriente gli attivisti per i diritti degli omosessuali hanno
cominciato a organizzarsi all’inizio degli anni duemila. Nel 2002
un gruppo di donne palestinesi ha fondato Aswat (voci), a cui in
seguito ha aderito un altro gruppo palestinese, Al Qaws
(l’arcobaleno). Entrambi hanno sede in Israele, ma sono attivi
anche in Palestina. Intorno al 2004 un gruppo di attivisti libanesi
ha fondato Helem, la prima organizzazione lgbt a operare apertamente
in un paese arabo. Altri gruppi sono spuntati in diversi paesi,
spesso scomparendo abbastanza velocemente. Anche i siti e i blog
arabi lgbt di solito non durano molto. My Kali, una rivista giordana
che ha l’obiettivo di “parlare di omofobia e di transfobia e
aiutare i giovani a sfidare il sistema binario convenzionale del
genere nel mondo arabo”, esce regolarmente dal 2007. Finora nessuno
ha tentato di organizzare un gay pride in un paese arabo, anche se a
Istanbul si svolgono cortei dal 2003, tra polemiche e contestazioni.
Tuttavia in Libano e altrove si sono svolte diverse iniziative legate
a Idahot, la giornata internazionale contro l’omofobia e la
transfobia, che è tollerata in molti paesi. Le organizzazioni non
governative che lavorano nei paesi arabi spesso devono affrontare
restrizioni governative, e quelle che si occupano dei diritti della
comunità lgbt hanno anche il problema dello stigma sociale. Perciò
alcuni gruppi pongono la questione in modo indiretto, focalizzando
l’attenzione sulla salute sessuale e sulla prevenzione dell’aids
o facendo campagne per i “diritti individuali”. I social network
hanno creato spazi per un attivismo più informale, che sembra aver
avuto successo in un paio di casi. Uno di questi si è veriicato nel
2014, quando la polizia e un canale tv hanno collaborato per fare un
blitz in un hammam del Cairo. Il presentatore
del
programma, che aveva fatto riferimento al “segreto dietro la
diffusione dell’aids in Egitto” è stato fortemente criticato in
rete e in seguito ha avuto problemi con la giustizia. L’altro caso
risale all’anno scorso, quando le autorità di Amman, in Giordania,
hanno annullato all’ultimo minuto un concerto dei Mashrou’ Leila,
un popolare gruppo rock libanese con un cantante dichiaratamente gay.
La protesta sui social network è stata così ampia che le autorità
sono dovute tornare sui loro passi ventiquattr’ore dopo, quando
però era troppo tardi per fare il concerto così com’era stato
pianificato originariamente. Negli ambienti religiosi islamici le
posizioni predominanti sull’omosessualità sono state sfidate
occasionalmente. Ci sono un paio di moschee aperte ai gay e alcuni
imam dichiaratamente gay: Muhsin Hendricks in Sudafrica, Daayiee
Abdullah negli Stati Uniti e il franco-algerino Ludovic-Mohamed
Zahed. Queste eccezioni esistono tutte fuori dal mondo arabo e non
nelle roccaforti musulmane, ma è nella diaspora che l’islam è
costretto a confrontarsi con la realtà piuttosto che nei paesi dove
è tutelato e privilegiato. Un esempio di come potrebbero cambiare le
cose è una vicenda avvenuta nel 2007 nel Regno Unito a proposito
della Sexual orientation regulations, una misura per evitare che le
imprese discriminassero i gay. Il Consiglio musulmano del Regno Unito
si è ritrovato con riluttanza a sostenere la legge insieme ai
difensori dei diritti della comunità lgbt, dato che anche i
musulmani britannici sono una minoranza che rischia di essere
discriminata. Sono piccoli progressi, ma quindici anni fa non ce
n’erano affatto. Non hanno prodotto risultati tangibili nel senso
di persuadere i governi a modificare le leggi, e su questo fronte la
strada è ancora lunga. Ma quello che sono riusciti a fare è rendere
difficile affermare che non esistono musulmani lgbt. Hanno stabilito
un grado di visibilità che, sebbene ancora limitato, è rilevante,
perché la visibilità è il primo passo per ottenere i diritti, e
senza non c’è alcuna speranza di riuscirci. u sg
The
Washington Post, Stati Uniti
Da
sapere I dieci paesi in cui l’omosessualità può essere punita con
la morte.
Afghanistan
L’articolo
130 della costituzione consente di fare ricorso alla sharia, che
prevede la pena di morte per gli omosessuali. Dalla cacciata dei
taliban non sono state eseguite condanne. Arabia Saudita
Un
uomo sposato o un non musulmano che compie atti di sodomia con un
musulmano può essere lapidato.
Emirati
Arabi Uniti
Ci
sono opinioni diverse sulla pena prevista dalla legge federale: per
alcuni prevede la pena di morte in caso di rapporti omosessuali
consensuali, per altri solo in caso di stupro. Iran I rapporti
omosessuali tra uomini possono essere puniti con la morte. Gli uomini
colpevoli di reati minori, come baciarsi, sono frustati. Le donne
sono fustigate.
Mauritania
In
base a una legge del 1984 i gay possono essere lapidati a morte, ma
finora non sono state eseguite condanne. Per le lesbiche è previsto
il carcere.
Nigeria
La
legge federale punisce il comportamento omosessuale con il carcere,
ma diversi stati prevedono la condanna a morte per gli uomini.
Qatar
I
musulmani possono essere condannati a morte per rapporti
extramatrimoniali, a prescindere dall’orientamento sessuale.
Somalia
Il
codice penale prevede il carcere, ma in alcune regioni del sud i
tribunali islamici hanno imposto la sharia e la pena di morte.
Sudan
Chi
è ritenuto colpevole di sodomia per la terza volta può essere
condannato a morte. Per la prima o per la seconda volta la pena
prevista è la fustigazione o il carcere.
Yemen
Gli
uomini sposati colpevoli di rapporti omosessuali sono lapidati a
morte. Gli uomini non sposati sono condannati alla fustigazione o a
un anno di carcere. La pena per le donne è fino a sette anni di
carcere. –
Max
Bearak e Darla Cameron Reato capitale
L’AUTORE
Brian Whitaker è stato editor per il Medio Oriente del Guardian. In
Italia ha pubblicato L’amore che non si può dire (Isbn 2008) e
Arabi senza dio (Corpo60 2015).