domenica 27 novembre 2016

Il Sole Domenica 27.11.16
Unione Sovietica
Il doppio amore di Gramsci
Il leader comunista, prima di amare Giulia Schucht, aveva avuto una relazione con la sorella Eugenia. E non lo nascondeva
Noemi Ghetti, La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924 , Donzelli, Roma, pagg. 220, € 19,50
di Sergio Luzzatto

Cherchez la femme . Non solo nei facili intrecci del feuilleton ottocentesco, o negli intrecci cervellotici del poliziesco classico. Cherchez la femme anche là dove non si penserebbe di doverla trovare. Nella storia vera – proverbialmente pura e dura, almeno da questo punto di vista – del comunismo novecentesco. Nella vita dei «rivoluzionari di professione», quelli che un’intera costruzione ideologica tendeva a rappresentare come refrattari alla seduzione dell’eterno femminino: troppo gloriosamente impegnati nello sforzo di portare la propria pietra all’edificio della rivoluzione per potersi permettere di inciampare, cammin facendo, nei sassolini del sesso, o peggio ancora nel ghiaino dell’amore.
E invece no, cherchez la femme. O addirittura cherchez les femmes, al plurale. Cercatele anche nella vita di Antonio Gramsci. E tanto più cercatele in quella parte della sua vita durante cui l’evoluzione della lotta politica in Italia – la conquista del potere da parte del fascismo – consegna il dirigente comunista a una condizione tipica del rivoluzionario di professione: la condizione dell’esule. Cercatele nella breve stagione sovietica della vita di Gramsci, fra il giugno del 1922, quando giunge a Mosca la delegazione del Partito comunista d’Italia per partecipare all’esecutivo della Terza Internazionale, e il novembre del 1923, quando l’arresto in Italia dei massimi dirigenti del Pcd’I trasforma Gramsci stesso (che si sposta a Vienna) nel leader effettivo del comunismo italiano.
Beninteso, non è certo una scoperta, l’importanza rivestita nella biografia di Gramsci da un trio di giovani donne russe che a lungo avevano soggiornato in Italia: tre delle sorelle Schucht, Eugenia, Giulia e Tatiana. In compenso, è stata un’autentica scoperta – pochi anni fa – quella per cui, grazie agli studi di Maria Luisa Righi, si è riconosciuto come Antonio, prima di amare e di sposare Giulia, avesse amato Eugenia. Triangolo amoroso reso tanto più delicato, oltreché dalla precaria salute psicofisica di tutte e tre i protagonisti, dagli sviluppi della lotta politica in una neonata Unione Sovietica dove si combatteva allora senza esclusione di colpi, ai vertici del Partito bolscevico, la battaglia per la successione di Lenin.
Questo triangolo amoroso costituisce l’oggetto di una raffinata ricerca di Noemi Ghetti: La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924. «A Mosca», come per una variazione sul tema più esclamativo e memorabile delle Tre sorelle di ?echov? In realtà la geografia del triangolo si estende oltre la Mosca del centralissimo hotel Lux dove alloggiavano i dirigenti del Comintern. Si estende alla periferia della capitale, dov’era il sanatorio di Serebriani Bor in cui Eugenia Schucht e Antonio Gramsci si sono incontrati da degenti. Soprattutto si estende alla città industriale di Ivanovo-Voznesenk, 250 chilometri a nordest di Mosca, dove abitavano Giulia e i genitori Schucht. E da dove viene spedita verso il sanatorio di Serebriani Bor, il 16 ottobre 1922, la cartolina postale che dà il titolo al volume. Sorprendente cartolina doppia – l’una disegnata, l’altra scritta – nota agli studiosi fin dal 1987, ma di cui unicamente la scoperta del doppio amore vissuto da Gramsci nella Russia del 1922-23 rende oggi possibile una lettura compiuta.
«Prendetelo, prendetelo, è un controrivoluzionario», esclama nella metà superiore della cartolina disegnata una donna magra e scomposta (Eugenia), nel vano sforzo di trattenere un antropomorfo letto d’ospedale (Antonio) che fuggendo si sottrae al suo abbraccio, e intanto lamenta: «Tutti portan la croce quaggiù». Nella metà inferiore della cartolina è il disegno di «una scena straziante nelle strade di Ivanovo-Voznesenk»: ruspante altrettanto che rampante, un cane (Antonio) ha ragione di interpretare come ammonitori i responsi della sfinge (Giulia) da cui si sente irresistibilmente attratto. Quanto alla cartolina scritta, a Eugenia ricoverata si rivolgono Antonio e Giulia insieme. Non provando nemmeno a nascondere che lo fanno, nottetempo, da una stanza d’albergo. E prendendosi la libertà di ironizzare – a dispetto di qualunque censura postale – sul carattere noiosamente burocratico dell’impegno di partito che li ha condotti in provincia.
Con un esercizio di lettura che assomiglia spesso (talvolta fin troppo) a un pezzo di bravura, Noemi Ghetti muove da questa singola fonte documentaria per suggerire un’interpretazione generale di Gramsci «tra politica e amori». Una filastrocca autoironica quanto sacrilega, La Croce, composta da Antonio in quegli stessi giorni d’autunno del 1922, conferma l’autrice nella persuasione che il dirigente del Pcd’I abbia potuto sentirsi – al passaggio dall’amore di Eugenia all’amore di Giulia – come un uomo che cade dalla padella nella brace: dalla padella di un’Eugenia estremamente rigida e possessiva, oltreché comunista intransigente, alla brace di una Giulia tanto più enigmatica quanto più fascinosa, sia da donna sia da militante; una Giulia terribilmente sfuggente e forse, da ultimo, drammaticamente inattingibile.
La cartolina di Gramsci contiene spunti critici originali, che gli studiosi eviteranno di raccogliere quale oro colato, ma che varranno da stimolo per ricerche e interpretazioni a venire. In particolare, Ghetti suggerisce come un lavoro letterario affidato allora da Antonio a Giulia – la traduzione in italiano del romanzo politico-fantascientifico La stella rossa, di Aleksandr Bogdanov – costituisca una pagina notevole nella vicenda storica del rapporto fra il leader italiano e il comunismo sovietico. Insistendo con Giulia perché traducesse Bogdanov, passato alla storia della Seconda Internazionale come la bestia nera di Lenin, il Gramsci di Mosca si sforzava di mantenere il più possibile libero e aperto, nella fatidica congiuntura della morte di Lenin, l’orizzonte della città futura.
Ma lo spunto più intrigante del libro di Ghetti viene dalla lettura incrociata della filastrocca di Gramsci su La Croce (un testo, fin qui, praticamente sconosciuto) e di una poesia annoverata fra le più canoniche del Novecento italiano: I limoni di Eugenio Montale. Nel momento in cui scherzosamente versificava rappresentandosi come una vittima dell’«anguilla» Giulia, l’Antonio innamorato dell’autunno 1922 teneva davvero a mente – con quella memoria formidabile che era la sua – la «sparuta anguilla» del «proto-Montale», cioè una versione manoscritta degli ancora inediti Limoni che poteva bene aver letto, a Torino, poco prima di partire per Mosca? Ai gramsciologi laureati l’ardua sentenza.