il manifesto 30.11.16
L’ombra di Trump sul futuro di Abu Mazen
Palestina. Al Fatah a congresso
di Michele Giorgio
RAMALLAH
Sulla carta è l’incontro del rinnovamento, dello sguardo rivolto al
futuro e del ricambio generazionale. In realtà i circa 1500 delegati al
VII Congresso di Fatah che si è aperto ieri a Ramallah, a sette anni di
distanza dall’ultimo tenuto a Betlemme, sanno già che i cambiamenti
saranno cosmetici, non strutturali, e che ha ben poche possibilità di
realizzarsi la nuova «piattaforma politica» (di cui si vocifera da
tempo) del movimemento che per decenni ha dominato la scena politica
palestinese, dentro e fuori i Territori occupati, prima di entrare in
crisi con il fallimento degli Accordi di Oslo e cedere terreno al
movimento islamico Hamas. L’ostacolo più grande per le ambizioni di
Fatah, spina dorsale dell’esecutivo dell’Anp, di recuperare i consensi
perduti resta la politica oltranzista del governo israeliano che mina i
pilastri del fronte «moderato» palestinese. Pesano però anche le
rivalità, talvolta feroci, nel movimento mentre da un carcere
israeliano, dove sconta l’ergastolo, segue quanto accade a Ramallah
Marwan Barghouti, il dirigente di Fatah che per prestigio e capacità
politica è in grado di rilanciare il movimento e di ottenere i consensi
per diventare un presidente sostenuto dai palestinesi.
L’INVECCHIAMENTO
della leadership di Fatah – a cominciare dall’81enne presidente
dell’Anp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che è stato riconfermato ieri
pomeriggio presidente di Fatah – apre la strada ai più giovani nel
Consiglio rivoluzionario (132 membri, braccio legislativo) e nel
Comitato Centrale (23 membri, braccio esecutivo). Tuttavia è opinione
diffusa tra i palestinesi che il congresso servirà al presidente Abu
Mazen soprattutto per allontanare i sostenitori del suo principale
avversario Mohammed Dahlan – espulso dal movimento qualche anno fa e
che, si dice, con l’appoggio di Egitto, Giordania ed Emirati punta a
tornare a giocare un ruolo di primo piano nelle vicende politiche
palestinesi – e per consolidare la sua posizione allo scopo di orientare
Fatah nella scelta del suo successore. I pretendenti al trono non sono
pochi, alcuni noti come Jibril Rajoub e Tawfiq Tirawi, altri quasi
sconosciuti, come il capo dell’intelligence Majd Faraj. Tutti uniti nel
contrastare il rientro nel movimento di Dahlan – concorrente temibile,
grazie alle ingenti risorse che gli mettono a disposizione i “fratelli”
arabi – tutti troppo poco stimati dalla popolazione per aspirare alla
presidenza palestinese.
ABU MAZEN FARÀ terreno bruciato intorno a
Dahlan badando allo stesso tempo a non mostrarsi più favorevole verso un
pretendente alla presidenza rispetto ad un altro. «Abu Mazen con ogni
probabilità vincerà questa sfida, ciò però non significa che diventerà
più forte sul terreno e più popolare tra la gente» spiega al manifesto
Hamada Jaber, analista del Palestinian Center for Policy and Survey
Research di Ramallah. «Il Congresso di Fatah è un appuntamento
importante per i dirigenti e militanti del movimento – aggiunge Jaber –
ma non per la maggior parte della popolazione che è distante dalla
politica e soggetta ogni giorno alle conseguenze dell’occupazione
militare israeliana». In alcuni campi profughi, come Balata e Jalazone, e
nella città di Nablus, ricorda l’analista, «ci sono state di recente
vere e proprie insurrezioni contro l’Anp e le sue forze di polizia». A
ciò si abbina la profonda avversione che provano un po’ tutti i
palestinesi verso il coordinamento di sicurezza dell’Anp con Israele. Il
Congresso di Fatah forse ne chiederà di nuovo l’interruzione ma andrà
avanti ugualmente, come è già accaduto in questi anni per decisione di
Abu Mazen. Senza dimenticare che i palestinesi chiedono invano la fine
dello disastroso scontro Fatah-Hamas che dura da dieci anni.
SUL
CONGRESSO DI FATAH grava la vittoria alle presidenziali Usa di Donald
Trump, che non nasconde il suo appoggio alla linea ultranazionalista del
governo Netanyahu e in campagna elettorale ha assicurato che trasferirà
l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme che sarà
riconosciuta come capitale di Israele. «Se Trump manterrà le promesse,
ciò si rifletterà negativamente sulla tenuta della leadership di Abu
Mazen – prevede il docente di scienze politiche all’università di Bir
Zeit, Ghassan Khatib – la nuova Amministrazione americana potrebbe dare
il colpo di grazia al cosiddetto campo moderato palestinese e alla
soluzione dei due Stati, Israele e Palestina, che sempre più persone
ritengono impraticabile a causa delle politiche di occupazione (di
Israele)». Trump negando appoggio alla legalità internazionale e alle
risoluzioni Onu indebolirà ulteriormente Abu Mazen che sulla soluzione
dei «Due Stati» ha fondato per oltre 20 anni tutta la sua strategia. E
l’esito del Congresso di Fatah a Ramallah, qualunque esso sia, si
rivelerà ininfluente su tutto ciò.