il manifesto 26.11.16
Incursioni in una cassetta degli attrezzi
Saggi. Un libro di Willer Montefusco e Mimmo Sersante sul recente percorso filosofico di Toni Negri
di Francesco Festa
Un
giornalista americano interrogò l’uomo dinanzi a sé: «qual è la legge
ultima dell’essere?». Marx lapidario: «La lotta!». Télos della vita è
dunque la lotta. Nella storia operaia è lotta d’emancipazione fra la
riappropriazione dei mezzi di produzione e il capitale che tende a
espropriarli.
L’ontologia della lotta di classe è quindi teologia
materialista che interseca Machiavelli, Spinoza e Marx, inseguendo
temporalità e spazialità dell’essere in lotta, ne eccede così gli
svolgimenti delle stesse teorie. È in ottima compagnia il filosofo Toni
Negri, fedele a tale teologia, del volume di Willer Montefusco e Mimmo
Sersante, Dall’operaio sociale alla moltitudine. La prospettiva
ontologica di Antonio Negri (1980-2015), DeriveApprodi (pp. 133, euro
15). Con tali filosofi maledetti Negri ha avuto «buoni incontri» volti
alla conoscenza delle leggi dell’emancipazione tanto da condividervi,
secondo gli autori, destini simili. Marx definito «dottore del terrore
rosso», Negri «cattivo maestro». L’emancipazione passa dalla damnatio
memoriae. Quando la teoria rifugge la fissità, divenendo potenza in
azione, ne vanno cancellate le tracce, pena l’ordine costituito. In
compenso il pensiero di Negri è apprezzato a livello internazionale e
soprattutto è, da sempre, una cassetta degli attrezzi alla quale
accedono spesso militanti dei movimenti sociali.
QUESTO LIBRO
prosegue lo scavo incominciato nel 2012 con Il ritmo delle lotte. La
pratica teorica di Antonio Negri (1958-1979). Sersante segue il filosofo
immerso nelle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta. Nel
«fabbricare concetti», Negri ha indagato le trasformazioni della
composizione della forza lavoro e della lotta di classe: dall’operaio
massa all’operaio sociale. La fabbrica che estende il comando alla
metropoli, l’estrazione di valore che cattura la riproduzione sociale e
l’organizzazione dei tempi di vita dettata dal capitale. Vale a dire,
usando un lessico marxiano, la sussunzione reale della vita al capitale.
Lo
scavo prosegue in questo libro filosoficamente denso giungendo
all’oggi. Gli autori seguono il filo di Arianna dal carcere e
dall’esilio, incontrando quegli autori maledetti, dei quali Negri ne ha
riletto gli scritti addivenendo al concetto di moltitudine che vive
l’immanenza. Con Deleuze, «una vita e nient’altro»: quell’orizzonte
della lotta di classe che è politico, sociale, economico e la vita
stessa. Punto di partenza e di arrivo è dunque la moltitudine: la
composizione sociale e politica della classe, del lavoro vivo, che
cooperando, vive e produce. Se con l’operaio massa la cooperazione era
imposta dall’esterno, con la moltitudine essa è intelligenza collettiva,
general intellect. Obiettivo storico è dunque la riappropriazione della
potenza della moltitudine, del potere come attività, dei mezzi di
produzione sempre più integrati nelle menti e nei corpi del lavoro vivo.
Parimenti, la moltitudine che agisce di concerto è il farsi corpo
politico, dove l’Uno non decide niente, mentre i molti che in lotta
prendono parola esercitano la potenza sotto forma di potere costituente
per costruire un essere etico, sociale, una nuova comunità. Il potere
costituente non è quindi mero concetto politico ma una categoria
dell’ontologia.
INTERMEZZO del volume è un’intervista a Negri
sulle «macchine di pensiero», dalla storica rivista «Quaderni rossi» al
gruppo di ricerca EuroNomade, una cartografia dei dispositivi
organizzativi. Strumento indispensabile di Negri è, qui il legame con la
tradizione filosofica dell’operaismo italiano, la conricerca:
l’inchiesta, cioè, condotta con le lenti della «teoria rivoluzionaria».
Dunque fondamentali è la cassetta degli attrezzi dell’operaismo. Lì dove
altri ne hanno archiviato l’utilizzo, battendo vie reazionarie e
scavando nell’autonomia del politico sino a derive metafisiche o, in
alcuni casi, ipotizzando la fine della lotta di classe e l’anacronismo
del conflitto sociale, Negri ha indagato, rivendicandone l’apologia, le
resistenze biopolitiche, attento al rinnovarsi di una moltitudine
singolarmente e diversamente produttiva nei suoi movimenti.
E
COSÌ, NEL DIBATTITO di una parte della sinistra che aspira a
rappresentare, ma che non riesce a fare i conti fino in fondo con la
crisi della rappresentanza, o non ne coglie i nodi, troviamo chez nous
posizioni annebbiate dall’«onda Trump», che ammiccano a populismi dai
tratti nazionalisti e da tinte rosso-brune; confondono la composizione
di classe con tesi fasciste, razziste e sessiste, senza linee di
demarcazioni.
Negri ha sempre seguito il soffio vitale della lotta
di classe incarnato nella figura del povero, ossia nella condizione
della vita produttiva in quanto tale, emblema della produzione
biopolitica. Amore del povero è amore del comune, ontologicamente
produttivo di nuovo essere, nuovo mondo e nuova socialità, ché è potenza
e movimento del lavoro vivo: potenza espressiva di moltitudini di
desiderio.