il manifesto 22.11.16
Ma abortire è sempre più un’odissea
Una legge in pericolo. Servizi sempre più carenti. E i medici obiettori ne bloccano l’applicazione
di Rachele Gonnelli
ROMA
Le donne italiane riescono a evitare sempre di più il ricorso
all’interruzione volontaria di gravidanza, anche grazie all’accesso alla
pillola del giorno dopo o a quella di 5 giorni dopo, ma i servizi
legati all’applicazione della legge 194 sono sempre più carenti. Capita
alle donne che debbano vagare da un ospedale all’altro, addirittura da
una regione all’altra alla ricerca di una struttura che pratichi Ivg,
perché come dice il presidente dell’Aied romano Luigi Laratta «gli
obiettori di coscienza tra i ginecologi sono in costante aumento e non
credo che le aperture del Papa riguardo alla misericordia nel
confessionale modificheranno questa situazione». Secondo Laratta vista
l’applicazione «a macchia di leopardo» della legge, con gravi carenze
soprattutto nelle regioni meridionali, «e dato questo costante e univoco
aumento dei ginecologi obiettori c’è da temere seriamente per la tenuta
dei servizi sul territorio nei prossimi anni».
Gli ultimi dati
sull’applicazione della legge 194 risalgono al 2014 perché la ministra
della Salute Beatrice Lorenzin, come hanno evidenziato recentemente i
radicali Magi e Soldo, si è «dimenticata» di presentare la relazione
annuale, che la legge prevede obbligatoriamente entro il mese di
febbraio dell’anno successivo al monitoraggio. Nel 2014 dunque gli
aborti in Italia sono stati 93.535, cioè il 58,5% in meno rispetto al
1982. Soltanto cinque anni fa erano ancora circa 135 mila l’anno. Con
una tendenza in calo costante del tasso di abortività sempre più
marcata, ha avuto buon gioco Lorenzin lo scorso luglio a rispondere alle
osservazioni del Comitato diritti sociali del Consiglio d’Europa che
minacciava di condannare l’Italia per la mancata osservanza della 194
perché nella maggior parte delle regioni (in tutto il Sud ma anche in
Trentino e in Veneto o a Bolzano), su 10 ginecologi pubblici almeno 8
sono obiettori e non praticano aborti. Lorenzin ha potuto sostenere che,
«a parte qualche criticità organizzativa locale» il numero degli
operatori sanitari non obiettori è proporzionato al numero di aborti
fatti e i loro carichi di lavoro sono «sostenibili», tali da consentire
che si dedichino anche ad altre attività. Solo due Asl, una in Sicilia e
l’altra nel Lazio (a Roma), hanno un carico eccessivo: 9-10 aborti di
media alla settimana.
Casi isolati, dunque, che non l’hanno
distolta da altre attività, come organizzare il Fertilità Day, occuparsi
di irregimentate il più possibile le linee guida dei servizi di
procreazione assistita o partecipare agli incontri internazionali
dell’associazione One of Us, dove quell’uno di cui si parla è
l’embrione, che l’associazione considera soggetto giuridico a tutti gli
effetti.
«Il discorso che fa Lorenzin è falsato», dice Elisabetta
Canitano, ginecologa non obiettrice e presidente dell’associazione «Vita
di Donna» che si batte da anni per l’applicazione della 194. «E’
falsato perché parte dai dati finali, dagli aborti effettivamente
eseguiti, non dalla funzionalità dei servizi, è quindi quella che si
chiama una media del pollo. E’ chiaro invece che i servizi che
funzionano hanno un effetto attrattivo, lei non considera le difficoltà,
la migrazione forzata delle donne. La verità è che la 194 funziona solo
grazie alla buona volontà degli operatori». Strumenti per farla
funzionare, sostiene Canitano, ce ne sarebbero: ad esempio il ministero
non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte alla Regione Lombardia che
consente, in violazione della legge, a interi ospedali di fare obiezione
in blocco all’Ivg.
L’apertura di papa Francesco sul tema
dell’aborto però, anche secondo Canitano, non faciliterà il reperimento
di medici anestesisti e ginecologi non obiettori. Chi determina questo
squilibrio è infatti la lobby degli ospedali classificati e delle
università cattoliche. Tra questi anche «l’ospedale dei papi», il
policlinico Agostino Gemelli, e l’università Tor Vergata, che pur
essendo pubblica si appoggia al Fatebenefratelli. Una lobby ricca e
estesa in tutta Italia, quella della medicina confessionale cattolica,
dove prevalgono visioni oltranziste lontane dall’impegno pastorale di
Bergoglio e più spesso influenzate da studi di bioetica statunitensi che
prescrivono al camice bianco cattolico di non intervenire mai in
presenza di un battito nella vita prenatale. «Non si tratta di semplici
obiettori come quelli con cui eravamo abituati a confrontarci – spiega
Canitano – e con cui si poteva avere un dialogo. Quelli di nuovo conio
sono pasdaran. E lo vediamo soprattutto di fronte a aborti terapeutici o
per come si comportano nelle diagnosi neonatali di fronte a
malformazioni gravissime e quando ci sono rotture del sacco placentare
in fase molto prematura o in casi di gravidanze extrauterine. Mettono a
rischio la salute e la vita della donna pur di non intervenire». La
lobby inoltre è in grado di controllare anche direttori sanitari di
ospedali pubblici e da lì di determinare l’esito di concorsi per le
assunzioni di nuovi medici.
Secondo la presidente
dell’associazione Vita di Donna l’obiettivo neanche tanto recondito
della lobby è quello di controllare in un modo o nell’altro tutti i
punti nascita, scorporare i servizi, cancellare la possibilità di aborti
terapeutici eliminando le terapie intensive neonati, visto che la legge
194 prevede la necessaria possibilità di rianimare il feto, in ultima
analisi boicottare l’applicazione reale della legge o ridurla ai minimi
termini.