il manifesto 1.11.16
Da sempre uno di noi
Addii. È
mancato ieri mattina, a 82 anni, Remo Ceserani, uno dei maggiori critici
letterari italiani. Ha insegnato a Pisa, Genova, Bologna e Stanford.
Con Lidia De Federicis ha scritto «Il Materiale e l’immaginario», il
manuale che ha rinnovato l’insegnamento della letteratura in Italia. Per
il «manifesto» aveva scritto 412 articoli. In questa pagina viene
ricordato rielaborando il testo uscito su «Between» per i suoi 80 anni;
domani ne scriverà uno dei suoi allievi migliori e più affezionati, il
francesista Pierluigi Pellini
di Francesca Borrelli
Incontrai
Remo Ceserani, per la prima volta, negli interni di una Torre saracena.
La torre consisteva in una colonna di piombo le cui chiavi gli erano
state consegnate dalla redazione culturale del manifesto: era la sua
rubrica, poteva farne quel che voleva. Custode e proprietario di quelle
mura, godeva di un arbitrio assoluto, ma sembrava lo usasse soltanto per
indovinare quel che ci interessava. Puntuale, a ogni scadenza di
rubrica faceva calare tra noi qualche notizia pescata fra il regno del
Materiale e quello dell’Immaginario, portava novità d’oltreoceano
nominando come vecchie frequentazioni scrittori, critici, filosofi dei
quali non avevamo ancora sentito parlare e a volte riusciva a sollevarci
il morale persino con il rendiconto dell’impossibile galateo di una
accolita di convegnisti. Succedeva prima che David Lodge si abbonasse al
manifesto e gli rubasse l’idea.
Erano tempi in cui Remo non
giocava ancora con i treni di carta, o meglio – come sempre – giocava e
scriveva, fissava il lato fantastico delle cose, indagava l’intreccio
delle circostanze, vagliava i temi ricorrenti nelle opere di finzione,
si orientava nelle nebbie a dispetto dell’eco che gli disturbava le
orecchie, finché un giorno non cominciò a maneggiare una macchina
fotografica e con quella immortalò l’occhio della Medusa.
Gli anni
passavano e lui accumulava schede, traduceva, annotava, scriveva,
cancellava, stendeva elenchi, vagliava occorrenze, pescava figure,
allargava il canone occidentale, aggirava quello orientale, tastava il
polso alle influenze, decostruiva ostinate strutture, poi le rimontava.
Gli appunti si accumulavano, il pavimento della Torre saracena cominciò a
cedere, il capitello si inclinò e Remo decise di traslocare da quella
postazione ormai troppo stretta e periclitante per trovare una più ampia
dimora. Subito, le colonne del manifesto si allargarono per far posto
alle molte cassette degli attrezzi e all’intera collezione delle favole
postmoderne che Remo si portava dietro, poi quelle stesse colonne si
allungarono, si moltiplicarono, trasbordarono sulle pagine a fianco; ma
gli affamati del manifesto non erano mai sazi, e così Remo mandava
reportage da università lontane, riflessioni su esoterici seminari,
recensioni, elzeviri; papere però non ne mandò mai.
Da un certo
punto in avanti toccò a me diventare la sua principale questuante:
d’estate lo tormentavo perché avevo le pagine vuote, d’inverno lo facevo
aspettare perché le avevo troppo piene, e a ogni autunno invocavo la
sua onniscienza perché si tenesse pronto a scrivere su candidati al
Nobel provenienti da ogni geografia. Non vinse mai nessuno di quelli che
gli prospettai, così Remo tirava il fiato, ma solo per poco: a ogni
ritorno dai suoi viaggi trova un bel paccone di bozze a aspettarlo, e
poiché non provavo nemmeno a star dietro al suo turbinoso calendario,
anche quando era in viaggio non lo risparmiavo. E credendolo a Pisa
mentre invece era a Rio de Janeiro, a Bologna mentre era a Sidney, a
Stanford mentre era a Zurigo mi appellavo alle sue virtù diplomatiche
perché mi sollevasse da qualche imbarazzo e portasse il tributo di una
recensione a questo o quello dei nostri numi tutelari i cui appetiti
narcisistici non sapevo come meglio placare. Dovunque si trovasse, nel
giro di pochi minuti Remo rispondeva: non ricordo abbia mai detto di no,
credo invece di avere letto, a volte tra le righe, qualche scrollata di
spalle, qualche tentativo di ribellione alla mia subdola alleanza con
il suo vigoroso super Io. Sarà perciò che ho sognato Remo intento a
ristrutturare quella Torre saracena che improvvidamente abbandonò: voci
nel sogno mi hanno sussurrato che stava approntando un nuovo Materiale e
si apprestava a attingere a un rinnovato Immaginario. Non mi resta che
sperare che torni presto a suggerirmi cosa fare: i miei sogni lo
aspettano.