il manifesto 17.11.16
Giorgio Galli: «Il sì è l’ultima toppa al sistema»
Intervista.
Il politologo: da Napolitano a Renzi, sono la conservazione di un mondo
al capolinea. Abbiamo alle spalle anni di tentativi di rappezzare la
continuità. L’ultimo è il governo Renzi. Il No renderà difficile mettere
nuove toppe
intervista di Daniela Preziosi
Al
referendum del 4 dicembre votare sul governo «sarà inevitabile», spiega
Giorgio Galli, decano della politologia italiana, docente di dottrine
politiche all’Università degli Studi di Milano, studioso del
«bipartitismo imperfetto» della Prima Repubblica quando Dc e Pci si
confrontavano senza che questo producesse alternanza. Negli ultimi anni,
fra l’altro, ha analizzato le riforme di Renzi (in L’urna di Pandora
delle riforme, con l’avvocato Felice Besostri). Dunque si voterà su
Renzi «innanzitutto perché lui stesso ha intrecciato la riforma e il suo
futuro di presidente del consiglio. Per questo gli italiani voteranno
più su sui mille giorni del governo che sulla riforma».
Il suo giudizio sui mille giorni di Renzi qual è?
Non
molto positivo. È riuscito a fare molto meno di quello che aveva
promesso. L’economia resta stagnante. Oggi sfida l’Europa come un
euroscettico ma è un’oscillazione notevole rispetto al forte
investimento di credibilità che aveva fatto sull’Europa.
Dal famoso semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione oggi siamo allo sbianchettamento delle bandiere europee.
Nella
prima parte della campagna referendaria ha sostenuto che a differenza
dei suoi predecessori aveva ottenuto importanti risultati in Europa. Ora
invece rinuncia a questo aspetto e mette in evidenza la forza con cui
avanza le richieste.
Renzi dice: il Sì è cambiamento, il No è conservazione.
È
il contrario. Il Sì è la continuità del sistema politico. Il
capitalismo non garantisce più lo sviluppo, quello italiano è ormai
sinonimo di stagnazione permanente. In questa stagnazione si cercano di
porre continuamente delle pezze a un sistema politico al capolinea. Si è
cominciato con la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale: una
toppa per tenere in piedi un sistema. Poi le prime larghe intese con
tutto il centrodestra, le seconde con una parte del centrodestra. Tutti
tentativi di rappezzare un sistema in grave difficoltà. L’ultimo di
questi tentativi è il governo Renzi. Rafforzarlo significa rafforzare la
continuità di questi rammendi. Il No, al contrario, renderà difficile
mettere nuove toppe.
La vittoria del No rappresenta la possibilità di rompere la continuità?
Il
No è la possibilità che i giochi si riaprano. Con un trauma, ma
piccolo. Del resto ormai in tutti i paesi europei si esprime, in diversi
modi, esigenze di cambiamento molto radicali.
Renzi invece oggi si presenta come una forza antisistema. Dice: «Il sistema è tutto schierato per il No».
È
singolare che un governo si presenti antisistema. E comunque è evidente
il contrario: dalla Confindustria alle banche fino all’ambasciatore
americano, il sistema è pesantemente schierato dalla parte di Renzi.
Però non tutto il No è «antisistema». Il No di Berlusconi, ammesso che alla fine voti No, è chiaramente di altra natura.
Berlusconi
sa, e dal suo punto di vista è giusto, che una vittoria del No lo
metterebbe in una posizione di forza quando si ricostituirà un qualche
tipo di Patto del Nazareno, cosa che accadrà in ogni caso. Ma la
vittoria del No va al di là del contingente interesse tattico di ciascun
protagonista. Sarebbe un’altra prova nella sfida al potere economico,
abbastanza in linea con quello che succede in Europa, anche se con
caratteristiche diverse.
Brexit è considerata una vittoria del vituperato populismo.
La
democrazia rappresentativa è in crisi ovunque, in Europa e non solo. E
non a causa di alcuni anni di populismo ma a causa di decenni di
svuotamento del potere politico da parte del potere economico. Oggi il
problema delle democrazie occidentali sono le 500 multinazionali che
governano il mondo, non i populismi. E il piccolo trauma sarebbe
prenderne atto. Finché il potere politico sarà quasi impotente di fronte
al potere economico la continuità è garantita. Il No è la critica alla
continuità. Una possibile sfida al sistema.
Negli Usa Trump è una sfida al sistema?
Al
di là dei protagonisti, negli Usa come nella Brexit si è espresso il
voto degli svantaggiati della globalizzazione. E a questa crisi c’è una
declinazione italiana. Ne ho appena scritto in Scacco alla superclass
(Mimesis Edizioni, ndr), ovvero scacco a quel mondo che si riunisce a
Davos non per decidere i destini del mondo – lo fa in altri luoghi – ma
per celebrare il proprio ruolo. Nella postdemocrazia il potere economico
ha preso la supremazia su quello politico. O la democrazia
rappresentativa affronta il potere economico o è destinata a decadere.
In Italia comanda la finanza, non il governo Renzi?
Nella
stessa misura dei governi che lo hanno preceduto. La crescita del
populismo è l’espressione di questa crisi. Che si affronta solo se il
controllo dei cittadini si estende dall’area della politica a quella
dell’economia.
È l’elogio della cittadinanza a 5 stelle?
I 5
stelle sopravvalutano la democrazia elettronica. Il sogno di Casaleggio
in fondo era una democrazia diretta fatta di tecnologia informatica.
Invece fare in modo che i cittadini si riapproprino della loro
condizione è molto più complicato.