il manifesto 16.11.16
Putin fa il cinese, arrestato il ministro dell’economia
Russia. All'origine dell'arresto l'accusa di corruzione su un'acquisizione petrolifera
di Simone Pieranni
È
stato arrestato subito dopo l’interrogatorio, a seguito di una sorta di
«prova suprema» raccolta dagli investigatori, ovvero il passaggio di
mazzette (con personale dei servizi segreti nella parte dei
«corruttori»). A dire il vero nella giornata di ieri alcuni media russi –
rendendo dunque un quadro diverso rispetto all’inizio della giornata –
hanno parlato di «intenzione»a recuperare la mazzetta depositata in una
cassetta di sicurezza.
Non cambia l’esito: con grande stupore in
tutto il paese è finito in manette il ministro dello sviluppo economico,
Alexey Ulyukayev (60 anni), già a capo della banca centrale di Mosca e
considerato un «liberale» nella compagine di governo. L’accusa è quella
di aver forzato la tangente di due milioni di dollari per dare «la
valutazione positiva all’operazione che ha permesso alla Rosneft di
completare l’accordo per l’acquisto del 50% detenuto dal governo del
capitale della Bashneft», come ha spiegato il vicecapo del comitato
investigativo Svetlana Petrenko. Il portavoce del Cremlino, Dmitry
Peskov, ha dichiarato al canale Russia Today che le accuse contro
Ulyukayev sono «molto serie» e necessitano «di prove molto serie», e che
«in ogni caso solo un tribunale può decidere». Secondo quanto emerso
ieri, il ministro dell’Economia russo Ulyukayev sarebbe stato sotto
indagine da almeno un anno, seguito e monitorato dai servizi segreti (e
non dal Comitato investigativo e questo è un dato da tenere presente) e
lo stesso presidente Putin – già considerato da ambienti liberali non
proprio estraneo ai fatti – sarebbe stato avvisato del suo arresto.
Ulyukayev
ora rischia 15 anni di carcere, anche se la vicenda in realtà sembra
poter scoperchiare ben altre verità in seno ai circoli di potere che
ruotano intorno a Putin e che gestiscono, di fatto, il paese. Ci sono
molti punti oscuri e potenziali dietrologie. Ad esempio Oleg Feoktistov,
papavero della icurezza interna dell’FSB – sezione che monitorava il
ministro – che ad agosto 2016 è diventare capo della sicurezza di
Rosneft. Inoltre, nei mesi scorsi, l’acquisizione «petrolifera» era
stata osteggiata da alcuni «liberal» all’interno del governo russo, tra i
quali lo stesso Ulyukayev. In questo caso il gruppo di «contrari»
sarebbe finito contro uno degli uomini più potenti del paese, ovvero
Igor Sechin, ex spia, alleato di ferro di Vladimir Putin e soprattutto
amministratore delegato della Rosneft (nata nel 2003 sulle ceneri della
Yukos di Mikhail Khodorkovsky, arrestato e poi scarcerato solo nel 2013)
a sua volta direttamente controllata dal Cremlino.
Ieri
Ulyukayev, ha definito l’arresto una «provocazione» secondo quanto
riferito dal suo avvocato Timofei Gridnev secondo il quale Ulyukayev
«respinge con forza le accuse, sostenendo che ciò che è accaduto ieri in
ufficio della Rosneft è una sfida nei confronti di un funzionario del
governo». «L’arresto del ministro Aleksey Ulyukayev va oltre la mia
comprensione» ha detto ieri il primo ministro russo Dmitri Medvedev,
aggiungendo che «si tratta di un fatto grave e storie come la sua
significano che nessun rappresentante del governo è immune dalla
magistratura».
Secondo i primi commenti che provengono dalla
Russia, la notizia ha provocato stupore e una valanga di altri
ragionamenti: da tempo Putin ha lanciato una campagna anti corruzione
che sembra principalmente uno strumento per regolare conti all’interno
del paese. Putin tiene solitamente in equilibrio tanto le forze più
vicine a lui quanto quelle più liberali.
Evidentemente in questo
caso ha voluto dare un segnale. Anche perché rimane davvero un mistero
come una persona dell’esperienza di Ulyukayev possa aver pensato di
chiedere una tangente proprio all’azienda di una delle persone più
potenti del paese e più vicine a Putin. Un errore clamoroso,
eventualmente, pensare di poterla fare franca nella Russia odierna.